Non
c'è fuoco
o gelo
che possa sfidare ciò che un uomo può
immagazzinare
nella sua anima. Buongiorno,
amici! Questa mattina, mi cimento, nel mio piccolo, con
una recensione di un romanzo che certamente non aspettava me per
essere recensito e apprezzato ancora. I classici mi
spaventano un po' e ammetto di essermi avvicinato a questo titolo
solo per ingannare l'attesa e aspettando di vedere finalmente al
cinema l'omonimo film che, sono sicuro, adorerò. Se l'ho comprato
senza pensarci su due volte, è anche merito della collana Live della
Newton Compton. Spendendo meno di un euro, mi sono goduto una storia
che dev'essere assolutamente letta, anche se al momento giusto.
Personalmente, ho trovato l'edizione pratica e molto comoda e non ho
niente da ridire nemmeno sulla traduzione, giudicata da molti
pessima: ho trovato il tutto molto scorrevole, anche se appesantito,
di tanto in tanto, da termini leggermente antiquati. Ma è un
classico, e ci sta. Nella scheda del romanzo, comunque, vi indico i
dati anche della nuova edizione Mondadori: lo acquisterei nuovamente
solo per avere la bellissima copertina del film in bella mostra sulla
mia libreria! Voi avete letto il libro o visto il film?
A presto e buona lettura, M. Titolo:
Il Grande GatsbyAutore:
F. Scott Fitzgerald Editore:
Newton Compton “Live”/ Oscar MondadoriNumero
di pagine: 128Prezzo:
€ 0,99/ € 9,00Sinossi:
L’essenzialità, la finezza descrittiva, i personaggi
indimenticabili hanno fatto di questo romanzo un “classico
moderno”. Il misterioso, affascinante e inquieto Gatsby, con le sue
feste stravaganti, il lusso e la mondanità di cui si circonda, non
mira in verità che a ritrovare l’amore di Daisy. Ma è possibile
ricatturare il passato? Nello scenario dei frenetici anni Venti, di
cui Fitzgerald e la moglie Zelda furono protagonisti, il desiderio di
Gatsby diventa emblema di un sogno di assolutezza, che la realtà
frantuma e disperde. Molti grandi attori hanno prestato il loro volto
a Gatsby e Daisy, tra i quali Robert Redford e Mia Farrow nel 1974,
Leonardo DiCaprio e Carey Mulligan nel 2013. La recensioneRicchezza
e tristezza sono due parole che sembrano stonare all'interno della
stessa frase. Ma,
banale eppur vero, i soldi non fanno la felicità. Ancora una volta,
queste perle di saggezza popolare rispecchiano l'aridità di un mondo
in cui l'uomo è passeggero solitario a bordo di un treno chiamato
vita: un treno destinato a traballare malamente, per tutta la durata
del viaggio, e a perpetui e poco eleganti ritardi. Questa è la
storia del Grande Gatsby. Un uomo nato dal niente. Un arrampicatore
incurante del pericolo che, con mezzi leciti e non, ha percorso
gradino dopo gradino la ripida scala sociale, fino a osservare il suo
squallido, piccolo mondo di poveracci dalla cima dorata di una
piramide a forma di grattacielo. Anima festaiola e frivola della vita
notturna della New York degli anni ruggenti, ma escluso dal consorzio
umano. Fuori asse, fuori dal gioco, fuori posto. Troppo
intraprendente per rimanere povero, troppo generoso per salire sulla
giostra dei nuovi ricchi, si è strappato a forza le sue radici di
dosso, rimanendo senza una casa a cui tornare e senza un posto in cui
trovare ospitalità, voci amiche o parole di conforto. E' un povero
ragazzo ricco che, a suo rischio e pericolo, è sceso a patti con il
vuoto morale dei suoi tempi, perdendo tutto, perfino sé stesso. A
dargli il coraggio sul campo di battaglia, a regalargli intelligenza
e sangue freddo, a spingerlo verso una letale e lenta autodistruzione
è una donna che non ha mai smesso di amare. Daisy. Un pensiero
ossessionante e bellissimo; un angelo etereo che, anziché tornare al
suo paradiso perduto, durante l'assenza del protagonista, si è
adattata al lusso e alla mentalità straniante dei comuni mortali. Si
è sposata, ha avuto una bambina, si è sottomessa volontariamente ai
compromessi della logica borghese. Non l'ha aspettato. E lui è
arrivato tardi, rimanendo davanti a un uscio chiuso appena un attimo
prima del suo affannoso arrivo. Al di là di un muro impossibile per
lui da scavalcare, continua la vita. Continua la festa. Lui - pieno
di orgoglio ferito e rancore - fa l'unica cosa per cui sembra essere
nato: organizzare una festa ancora più grande, in cui tutti lo
nominano e lo temono, ma in cui nessuno lo conosce davvero. Nemmeno
il lettore che, quasi novant'anni dopo, si trova ancora a leggere di
lui e dei misteri della sua esistenza, del suo inglorioso amore e di
una vita oscura, ma trascorsa sotto il confortante e illusorio
bagliore artificiale dei riflettori. A parlarcene è un trentenne
spiantato e in cerca di un posto nel mondo: un trentenne disilluso e
cinico, non poi così diverso da quelli che vivono accanto a noi -
fiaccati dalla crisi e tormentati da un lavoro che non c'è.
L'approccio utilizzato è inconsueto e particolare, lucido e senza
sentimento. Denso di razionalità fino alla parola più piccola
e trascurabile. Il romanzo - poco più che un racconto lungo - si
lascia leggere che è un piacere: è scorrevole, pragmatico,
equilibrato. Ma, ignorando del tutto il gusto e lo stile di uno degli
autori americani più celebrati del secolo scorso, a una lettura
ingenua, l'ho trovato gelido. Mi aspettavo di trovare su carta, lo
ammetto, quello spettacolo di colori e musiche che senz'altro sarà
il film di quel genio che per me è Baz Luhrmann. Ero pronto a
leggere di bulli e pupe, di gangster e inseguimenti, di omicidi e
rinascite, di un amore più grande e spettacolare della Città che
non dorme. Cercavo l'emozione. Il Grande Gatsby, in realtà, si è
dimostrato completamente altro, nel bene e nel male. Le descrizioni
sono poche ed essenziali; nonostante lo sfarzo delle location, i
dettagli condivisi con il lettore sono poverissimi; c'è grande
umanità, ma non sorretta da uno stile lirico e romanticheggiante. E'
un'opera all'avanguardia, innovativa: un libro che, nella mia
assoluta ignoranza del pensiero e del vissuto di Fitzgerald, ho
trovato parli di un'America agli albori del crack di Wall Street
attuando un'originale sintesi delle concezioni dei pensatori
precedenti. All'interno, a lettura ultimata, riflettendo tra me e me,
tappa dopo tappa, ho trovato sapientemente riassunte tutte le
correnti letterarie studiate in questo ultimo anno di liceo. Gatsby è
un eroe romantico, quasi byroniano: affascinante, disorganico al suo
mondo, acuto nella meditazione e forte nell'emotività. Ma non c'è
disperazione, non c'è rabbia, non c'è amore. Negli stessi anni,
Verga pubblicava i suoi romanzi più famosi e, se è vero che i
grandi pensano allo stesso modo, lui e Fitzgerald devono essere
giunti alle stesse conclusioni. Devono aver letto intensamente
Flaubert, Balzac e Zola e fatto loro quelle particolari tecniche. La voce
fuori campo di Nick Carraway suona come quella di uno scienziato. Di
uno zoologo che, con il registratore alla bocca, esamina i soggetti
di un esperimento e studia la vita di Daisy e Gatsby, quasi fossere
due farfalle. Belle, libere, destinate a volare insieme per un tratto
di strada e a perire, purtroppo, il giorno successivo. Ad amarsi
finché sono giovani, belli e sciocchi come tutti i sognatori. Tra
loro, si ci mette la vita - la stessa che non aspetta quelli rimasti
indietro durante la corsa, la stessa che li mantiene in vita con la
sua fiamma calda e che, alla fine, li consuma tutti. Un pensiero
amaro e triste come, giunti alle conclusioni, è il disincantato
romanzo di Fitzgerald. I racconti delle avventure e dei miracoli di Gatsby sono tratti dall'osservare i suoi movimenti, dal prestare
orecchio agli immancabili rumors che nascono durante i suoi party.
Non si racconta in prima persona: viene raccontato e costruito notizia dopo notizia,
ma, come il titolo urla, è un personaggio grande. Sugli altri mi è
difficile trovare parole gentili: squallidi, bugiardi, vili,
invidiosi, maligni, deboli. Tristemente realistici. Tutti, perfino
Daisy, che, da dolce creatura con il viso gentile della bellissima
Carey Mulligan, sono arrivato quasi a detestare. Donna angelo o femme
fatale? Gatsby non riuscirà mai a vedere fino in fondo la verità.
Non c'è più tempo per salvarla. E non c'è più amore che possa
salvare l'uomo dalla solitudine. L'epilogo è dolorosamente bello.
All'inizio mi ha reso furioso come una bestia, ma più scrivevo, più
comprendevo. Non è accompagnato da una scrittura così potente e
carica da renderlo un pugnalata in pieno petto, ma, come un veleno,
ti consuma poco alla volta. E' amaro e triste più che mai. La festa
finisce e resta solo il disordine lasciato in giro dagli imbucati.
Quando le luci si spengono, non c'è nessuno a farci compagnia nel
buio della fine. Perché, il più delle volte, si vive insieme, ma si
muore soli. La gente cerca il pettegolezzo, il divertimento facile,
l'elisir della lunga vita. La tristezza è noiosa. Spaventa i più. Il Grande Gatsby è un libro
che parla più al cervello che al cuore, che trascina più
razionalmente che emotivamente. A primo impatto, mi ha lasciato
insoddisfatto: chiedetelo agli amici con i quali ho scambiato le mie
impressioni a caldo. Ma più scrivevo, più ci pensavo, più mi
rendevo conto che aveva raggiunto perfettamente il centro
dell'obiettivo: me - che inizialmente pensavo di non averlo nemmeno
compreso fino in fondo, di non essere stato all'altezza di cotanta
grandezza. (Le immagini sono del sito Deviantart) Il
mio voto: ★★★★ Il
mio consiglio musicale: Lana Del Rey – Young & Beautiful(Splendida. E' la "voce" di questo libro.)
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