Vorrei
che nei momenti di disperazione non ti venga in mente di invidiare la
felicità degli altri, le fortune, i successi, le
certezze, i risultati, le luci nelle case degli altri: dappertutto
c’è del bene, dappertutto c’è del male.
Titolo:
Le luci nelle case degli altri
Autrice:
Chiara Gamberale
Editore:
Mondadori
Numero
di pagine: 392
Prezzo:
€ 9,90
Sinossi:
Mandorla
è la bambina felice di una ragazza madre piena di fantasia. Maria,
la mamma, lavora come amministratrice d'immobili e ha lo speciale
dono di trasformare ogni riunione condominiale in toccanti sedute di
terapia di gruppo... Quando un tristissimo giorno Maria muore cadendo
dal motorino, i condomini di via Grotta Perfetta 315, quelli che più
le volevano bene, scoprono da una lettera che proprio nel loro
stabile la piccola Mandorla è stata concepita... ma su chi sia il
padre, la lettera tace. Proprio perché con tutti Maria sapeva
instaurare un legame intenso, nessun uomo tra i condomini si sente
sollevato agli occhi degli altri dal sospetto di essere il padre di
Mandorla. È così che verrà presa la decisione di non fare il test
del DNA su Mandorla, e stabiliscono di crescere la bambina tutti
assieme. È questo il fatale presupposto di una commedia umana che,
con l'alibi del paradosso, in realtà ci chiama in causa tutti. E
mentre, di piano in piano, Mandorla cresce, s'innamora, cerca suo
padre e se stessa, ci si avventura con lei verso rivelazioni luminose
e rivelazioni scomode, si assiste a nuove unioni e a separazioni
necessarie. L'autrice costruisce attorno al cuore pulsante della sua
protagonista un romanzo corale dove i grandi archetipi si mescolano
agli struggimenti contemporanei, la verità e la menzogna cambiano
continuamente di segno per dare vita a una voce fresca e profonda,
che condurrà, fiduciosa soprattutto dei suoi dubbi, verso un finale
sorprendente.
La recensione
“Viviamo
tutti all'oscuro di qualcosa che ci riguarda”. Di solito non ci sto
tanto appresso, agli autori superpubblicizzati e ai casi editoriali.
Figuriamoci se lo scrittore – scrittrice, in questo caso – attira
su di sé attenzioni indesiderate: immancabili le scaramucce, quanto il tuo libro vende e tu sei ospite ricorrente in tivù. Non
pensavo, dunque, che Chiara Gamberale potesse piacermi così tanto, e
non per partito preso ma perché amo di mio le storie più dure, gli
stili ruvidi al tatto, ma il 2014 – possibile, mamma mia, che siano
trascorsi già due anni? - aveva smentito alla grande le mie
supposizioni. Ci sono cose che, a pelle, non mi convincono. Sono
istintivo, testardo, odio cambiare idea. C'era però questa Chiara,
contenta per natura e mica così disimpegnata, che mi aveva
rimbeccato con un sorriso soddisfatto sulle labbra: vedi che sono in
gamba?, te l'avevo detto, io. E Chiara, una di quelle rare autrici a
cui mi rivolgo per nome e non per cognome scrivendone, era in gamba
sì, e tanto solare. Cosa aveva in comune con me, tipo pensieroso e cupo per forza di cose? Mi ero accorto, tra un libro e
l'altro, che facevamo gli stessi stupidi pensieri impossibili. Quando
Quattro etti d'amore, grazie prendeva
polvere da un po' sul mio comodino, entrambi fantasticavamo sul
contenuto dei carrelli della gente in fila alla cassa e pensavamo di
trovare tutto quello che cercavamo – ma cosa cercavamo, poi? - sul
ripiano più alto dello scaffale. Per dieci minuti,
esperimento sociale dal piglio ironico e dal contenuto
autobiografico, ci voleva alle prese con cose mai fatte prima; e se
sbagliavamo, nessuno se la prendeva granché. In L'amore
quando c'era, un racconto da
leggere alla fermata del bus, ci convincevamo invece che i rapporti
sentimentali, a lungo andare, vadano a male e in Arrivano i
pagliacci, forse il mio
preferito, vincevamo la timidezza davanti alle storie (e alle stanze)
dei nostri eventuali locatori. In Le luci nelle case degli
altri, sin dal titolo, tracce
miracolose di un giochetto che facevo da bambino. Affacciato al
balcone, mi domandavo come vivessero quelli del palazzo di fronte:
invidiavo loro l'albero di Natale meglio decorato, l'odore di arrosto
quando invece mamma aveva preparato una tristissima minestra. Perfino
le loro piccole liti ad alta voce, sapete, mi rassicuravano. Allora,
c'era poco da invidiarli; di quelle, avevamo già le nostre in
abbondanza. Come quando di un autore leggi il grosso in una volta
sola e hai paura che possa venirti a noia, però, la Gamberale non l'ho
riletta per un anno intero. Anche se c'era il proposito e anche se
questo romanzo qui m'ispirava molto più di altri. Incartato,
regalato, l'ho ricevuto in un periodo di festeggiamenti e mal di
stomaco, ma ho preferito aspettare gennaio. Sempre a pelle – e, lo
ripeto, i pizzichii, i pruriti e le premonizioni della mia epidermide
sono un sesto senso che di rado fa cilecca -, mi parlava di nuovi
inizi. E dell'infanzia di Mandorla, figlia della portinaia di un
condominio di periferia, che si ritrova con una lettera commovente e
sgrammaticata tra le mani e lo status di orfana. Un incidente in
motorino, mamma Maria che cade ma non sa volare e una notizia bomba
che rotola tra i condomini, durante la lettura del testamento:
Mandorla è frutto di una notte di passione consumata nell'ex
lavatoio, figlia di uno dei presenti. Non si fanno nomi,
però, e tanto grande è la paura che quella bomba possa fare danni,
rovinare una delle cinque rispettabilisse famiglie, che di comune
accordo si decide di allevare la piccola tutti assieme, un po' per
ciascuno. Mandorla si racconta in flashback disordinati, adesso che è
maggiorenne. In gattabuia per un equivoco e un mezzo crimine d'amore,
si domanda se sia giunto il caso di procedere con il test del DNA
oppure no. Fare chiarezza e, con all'orizzonte una nottata che non
vuole passare, lasciarsi andare a pronostici, desideri, ricordi
favolosi. Chi vorrebbe, in cuor suo, fosse il padre
biologico? Nel mio caso, curiosità e entusiasmo hanno
seguito l'andamento di un'altalena nel vento.
Non amo i racconti, si
sa, e Le luci nelle case degli altri,
anche se compatto e scritto d'un fiato, ha la vaga struttura di una
raccolta di novelle. Tina, maestra di scuola in pensione e zitella
per sempre, ha il citofono che suona ogni due per tre, un'esistenza
triste e un salotto che si anima per le visite di misteriosi ospiti
notturni; Samuele e Caterina Grò, lui aspirante regista
d'avanguardia e lei avvocato di grido, hanno in mezzo a loro un neonato che piange e l'ombra di una scappatella imperdonabile; Paolo e
Michelangelo, coppia omosessuale e emblema di una nuova normalità,
erano in grande intimità con la portinaia scomparsa: quanto?;
Lorenzo e Lidia, lo scrittore e la speaker radiofonica, sanno che
l'amore non è bello se non è litigarello; l'ingegnere Barilla e
consorte, genitori della ribelle Giulia e del bel Matteo, sono
l'immagine sputata dell'equilibrio e fonte di dubbi amletici.
Mandorla ama Matteo, ma Matteo ama Mandorla? E se dovessero scoprirsi
fratellastri, sai che tragedia! Alcune vincende
inevitabilmente fanno breccia – quella della disperata signorina
Polidoro, ad esempio, o dell'incompreso Samuele, a cui Hollywood ha
rubato lo spunto per Pretty Woman
– e altre si tollerano appena – al quarto piano, si chiacchiera
un filino troppo per i miei gusti. Tipici rischi dei romanzi
affollati, dei cori, in cui può esserci un figurante che non ti
appare utile o, nell'armonia, una voce che non si amalgama al resto.
Le luci nelle case degli altri si
apre con una piccola illustrazione – a pagina uno, proprio un
abbozzo di Via Grotta Perfetta 315 – e capitoli rapidissimi che
riassumono lo sfortunato incidente dell'amichevole Maria, l'arrivo
della notizia nel condominio, i telefoni che squillano a catena e il
piano bizzarro di partecipare collettivamente all'educazione della
piccola.
Mandorla ha così svariate famiglie ma nessun parente di
sangue, una sensibilità unica nel suo genere e qualche problema a
socializzare con i suoi coetanei: per non scontentare i suoi cinque
papà e le sue cinque mamme – a lungo, però, penserà di essere
figlia di un astronauta in missione sulla luna – ha messo su un
guardaroba variopinto, una maschera di ingenuità, abitudini
stranissime. Il romanzo più noto di Chiara è una commedia onirica e
dal gusto parigino, dalla struttura perfettamente suddivisa e dallo
stile farsesco, confidenziale, singolare. Ha il fare trasognato di
Amèlie Poulain, la sua testra tra le nuvole, e un non so che di
L'eleganza del riccio.
A volte è un flusso di coscienza spruzzato di giallo, altre
un'osservazione candida e arguta sui rapporti interpersonali e le
imprevedibili coincidenze della vita. E sempre, alla fine dei
capitoli, c'è ad attenderci una filastrocca di Mandorla;
un'invocazione profana che ha lo stesso spirito della lettera tenerissima firmata da sua madre, all'indomani del parto. Mandorla è
nata settimina, ecco perché già il nome la descrive come piccola e
indifesa, e dinanzi a talune situazioni non sa come reagire.
Desiderarsi, quindi, una tendina, uno striscione del gay pride, un
comune libro di algebra... Un oggetto d'arredo qualsiasi per sentirsi
parte, e per davvero, questa volta, di una casa con tutti i sacri
crismi. Vestita di mille colori e mille tessuti, come uno
spaventapasseri, la narratice si rivolge nelle sue preghiere della
buonanotte a oggetti inanimati, ha paura di un famigerato spacciatore
che un tempo si dice bighellonasse per il quartiere e, come una
spugna, assorbe il necessario dagli adulti che, a periodi alterni, le
danno il benvenuto sull'uscio di casa. Senza pregiudizi, Mandorla
prende da loro il meglio - e, vuoi o non vuoi, il peggio. Se l'erba del vicino è sempre più verde, saranno
forse sempre più luminose e avvolgenti le luci nelle case degli
altri? Esistono i buoni, i cattivi, i talismani e, soprattutto, le
famiglie come nella pubblicità del Mulino Bianco? Cinque piani senza ascensore, cinque storie. E la loro carissima Mandorla, che poi è anche un po' nostra, come costante e posto aggiunto a tavola.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Abba – Mamma Mia