Questa
città non è come le altre. Se la guardi così, camminandoci dentro,
sembra tutta portici e piazze, ma se ci vai sopra con un elicottero è
verde come una foresta per i cortili interni delle case, che da fuori
non si vedono. E se ci vai sotto con una barca è piena di acqua e di
canali che sembra Venezia. Freddo polare d'inverno e caldo tropicale
d'estate. Tortellini e satanisti. Questa città ha sempre una metà
nascosta.
Titolo:
Almost Blue
Autore:
Carlo Lucarelli
Editore:
Einaudi “Stile Libero”
Numero
di pagine: 200
Prezzo:
€ 10,50
Sinossi:
Nessuno
vuole ammetterlo, ma a Bologna c'è un assassino seriale: è
l'Iguana, che assume di volta in volta l'identità delle sue vittime,
per sfuggire alle "campane dell'inferno" che gli risuonano
nelle orecchie. Tocca a Grazia cercare di prenderlo, e più delle
sofisticate tecnologie che usa, le servirà l'intuito e la capacità
di ascolto di Simone, cieco dalla nascita. Mentre cacciatore e preda
si scambiano continuamente i ruoli, vediamo la scena ora con gli
occhi attenti e ansiosi di Grazia, ora con lo sguardo febbricitante e
doloroso dell'Iguana, o la percepiamo come un concerto di suoni e di
voci, un complicato e fantastico arabesco mentale, quando la
soggettiva è di Simone. E la città che così prende forma sotto i
nostri occhi, fitto reticolo di trame e di ossessioni, è insieme la
sorprendente megalopoli italiana che si stende su tutta l'Emilia, e
anche il teatro magico dove tutte le storie possono accadere. Un
thriller nervoso e impeccabile, una storia d'amore e solitudine, una
scrittura che sa dosare tensione emotiva e colpi di scena.
La recensione
Come
presentatore, Carlo Lucarelli piace molto a casa mia. In particolare a mia madre. Dovreste vederla che cucina con la tivù sintonizzata su uno di quei canali in
cui danno sempre polizieschi. Pranzo e cena con la sigla di Law &
Order. E io che le dico che – a furia di
guardare gialli e reportage – un giorno potrebbe
diventare una profiler. O una serial killer: una delle due cose,
comunque. E' l'unica in casa a guardare Rai Tre, e spesso la ricordo
addormentata davanti a Blu Notte. Toglierle
gli occhiali da vista e spegnere tutto, mentre Lucarelli parla di un mistero dei
suoi. Indirettamente, ora che ci penso, sono un paio d'anni che lo
stimo: sua la mente, infatti, dietro le indagini dell'esilarante
Commissario Coliandro; tra le migliori serie televisive italiane
mai prodotte sul nostro territorio. Nonostante la sua abilità retorica, pensavo che non lo
avrei mai conosciuto, e apprezzato, come scrittore. Finché non mi sono
trovato Almost Blue, il suo romanzo più famoso, su una
bancarella. L'ho posato a casaccio, dicendomi e
chissà quando lo leggo, questo. Finito di leggere un romanzo
leggero e in attesa di una consegna da parte del postino, però, ho
preso in mano Almost Blue e l'ho usato a mo' di riempitivo. E'
cortissimo e in una scappata veloce al mare ne ho letto gran parte. Il giorno dopo, l'ho concluso:
giusto in tempo per andare incontro al postino e
scartare il nuovo pacchetto. Come da piano originale. Peccato che nel
piano originale non ci fosse scritto che Lucarelli – che immaginavo tecnico, noiosetto e dalla scrittura tendente al
televisionese – sarebbe riuscito così piacevolmente a cogliermi in
contropiede. Per quello che è poco più di un racconto, ma che
risulta pieno. Per tre punti di vista gestiti come fossero
stimolanti enigmi. Per uno
stile cinematografico che mi è piaciuto da
matti. Almost Blue non
descrive; spesso, Almost Blue
è pura percezione sensoriale. Un tentativo, che a tratti ha quasi
del poetico, di descrivere l'incubo, il buio, l'odore del sangue. Se
è un una tradizionale caccia al colpevole o un thriller psicologico
quello che vi aspettate, temo vi deluderebbe: bazzica i luoghi oscuri
del primo Argento, ma per essere così legato alla messa in scena
dell'omicidio e ai fatti salienti, ha una
strana poetica.
Sarà che lo spazio
riservato all'agente Grazia Negro – descritta in terza persona, con
lucida oggettività – è astutamente equilibrato con quello in cui
ci parlano direttamente Simone, testimone chiuso nella
sua perenne cecità, e l'Iguana, omicida senza faccia che ruba le
identità di giovani studenti, trovati massacrati
nelle loro mansarde bolognesi. Il primo, che non ha mai visto il
sole, che studia il mondo con l'udito e che, nelle voci degli altri,
riconosce spettri di colore: quella Grazia dall'accento pugliese, ad esempio ha una voce blu. Blu, come
quella di Edith Piaf che cantava la vita in rosa. Il secondo,
che usa la sua pelle come fosse un puntaspilli e si lava in bagni di
fuoco per uscirne rinato, trasformato: le cuffie nelle
orecchie, la musica ad alto volume, per far tacere le campane
dell'inferno. La prima persona è affidata a quei due, coprotagonista
e antagonista, che attraverso gli sbagli delle loro percezioni
rendono confuso e alterato un thriller, altrimenti, dalle
mosse anche prevedibili, se vogliamo. Tra l'innocenza dell'uno e le turbe
dell'altro, anche la detective Negro – protagonista di altre due
storie che recupererò finché fa caldo – si impone con caparbia,
battendo forte i tacchi. Donna femminile e testarda, che ha
combattuto per imporsi in un mondo di soli uomini ma che adesso,
quando un uomo in particolare la chiama bambina,
torna a sentire com'era essere desiderata. Un romanzo che ha quasi vent'anni,
questo, e pagato una sciocchezza, che c'era prima di
Carrisi e Faletti e che, nel suo piccolo, deve avere fatto
scuola, in un Paese chiuso ai generi di importazione e alla narrativa
del mistero. Il tempo ha reso gli autori successi più meticolosi, ma Almost Blue porta
come può i segni del progresso e stupisce ancora per la
crudezza velata e un Lucarelli musicalmente inquietante, che immagino
scrivesse a notte fonda, con l'accompagnamento musicale di Chet Baker
e AC/DC. Mentre la città di Bologna, tentacolare e pericolosa,
chiamava all'appello le volanti della Polizia e giorni tristi
la arricchivano di ennesime, inspiegate morti.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Chet Baker – Almost Blue
Il film
Tre
anni dopo, Almost
Blue è
diventato un film. Prima volta alla macchina da presa di Alex
Infascelli – all'epoca bollato come giovane stella, e vincitore di
un David di Donatello per il migliore esordio -, ha alla regia uno
bravo, ma che non ha mai fatto il boom come ci si sarebbe invece
aspettato e davvero poco più. Nonostante il buon materiale di
partenza, l'intreccio che sembrava di per sé un film di Dario
Argento e lo stile perfettamente cinematografico, Almost
Blue si
rivela pessimo; un'atrocità. Ci voleva più impegno a lavorare
a una trasposizione meno indegna, oppure a
prenderlo e a modificarlo abbastanza impercettibilmente da rovinarlo
del tutto? Risulterebbe anche fedele, se non fosse privo di nessi
logici, fili tra una sequenza e l'altra, una vaga motivazione.Tanto risultavano delineati con scaltrezza, in duecento pagine
scarse, tre personaggi intriganti, quanto qui li troviamo
sgualciti e ridicolizzati: a fare la figura peggiore, proprio la
detective Negro. Da donna dal polso fermo, a gatta morta. Meno buio e
tecnologico anche il mondo di Simone; l'Iguana – invece – è
l'unico a non generare smorfie quando entra in scena. Dialoghi
molesti, situazioni noiose, caratterizzazioni inesistenti. Eppure non
mi spiego come mai la manciata di professionisti che il giovane
regista aveva a disposizione – la Indovina, Santamaria, Giallini –
sembrassero darci, qui, la prova peggiore delle loro carriere. Si
salva solo Rolando Ravello, che dà fisicità al serial killer e,
visto spesso in commedie nostrane, si mostra a proprio agio con il ruolo difficile di antagonista. Mancano la Bologna ingannatrice, la musicalità della prosa di Lucarelli scrittore, una sceneggiatura seria. Infascelli sa
girare il thriller, mostrare la violenza e, in qualche modo, con la telecamera
che balla, riesce con efficacia a scavare un buco nero nel mondo matto
dell'assassino. Ma un poliziesco è fatto anche di dialoghi e forze
dell'ordine e – venendo meno, in quei momenti, il fascino
indiscreto della soggettiva – ci vengono mostrate professioni senza
credibilità e comprimari fastidiosamente sopra le righe. Almost
Blue funziona
quando si uccide, si corre e non si parla. Aprono la bocca e gli
attori, altrove anche in gamba, mandano al rogo il salvabile.
Indifendibile, in definitiva, anche da uno che il cinema italiano contemporaneo, spesso, lo apprezza. Versione in chiave minore di Il
cartaio – che
sarebbe uscito di lì a quattro anni, nel 2004 – e che già mostrava un Argento sul viale del tramonto; e da lì - metaforico capolinea - non si torna. (4)