Forse
è meglio pensare alla conversazione come a qualcosa di simile
all'attraversamento di una strada; prima di aprir bocca dovrei
prendere qualche secondo per guardare in entrambe le direzioni, e
soppesare attentamente quello che sto per dire. E se significa che
dovrò passare qualche secondo in più fermo sul metaforico
marciapiede della conversazione, guardando a destra e a sinistra, e
sia, perché è chiaro che non posso continuare a lanciarmi alla
cieca in mezzo al traffico. Non posso continuare a farmi investire in
questo modo.
Titolo:
Le domande di Brian
Autore:
David Nicholls
Editore:
Beat Edizioni
Numero
di pagine: 398
Prezzo:
€ 9,90
Sinossi:
È
il 1985 quando Brian Jackson approda all'università di Bristol.
Buffo e imbranato come tutte le matricole, imberbe diciottenne
innamorato di Kate Bush e della sua musica, Brian cela una grande
dote: sa rispondere a tutte le domande dei quiz. Un formidabile asso
nella manica che gli consente di sbaragliare tutti alle selezioni di
Bristol per la formazione della squadra da spedire all'"University
Challenge", il popolare quiz televisivo che vede i college
inglesi in gara tra di loro. All"University Challenge"
Brian si imbatte nel primo grande problema della sua vita: Alice
Harbinson, bella, leggiadra, femminile, sensuale, con i genitori così
upper class e così anticonvenzionali. In una parola:
irraggiungibile! Per la splendida Alice, Brian perde la bussola,
ignora gli amici, combina disastri e trascura Rebecca, la ragazza
impegnata che sa apprezzare il suo fascino di giovane colto e
sensibile e che considera Alice una gatta morta che
disonora l'intera storia del femminismo.
La recensione
David
Nicholls, a occhio e croce, è uno dei miei autori preferiti. Ha
scritto poco, ma mi ha sempre dato tanto. Possibile? Possibilissimo,
se gli Emma e Dexter di Un giorno – arrivati anche al cinema
– nessuno se li scorda più e se la sua ultima fatica, Noi,
si era rivelata una perla on the road che di strada ne percorreva
tanta, fino a collocarsi tra il dramma familiare e la
leggerezza del viaggiare senza meta. Prima della maturità, romanzi
più modesti: Il sostituto, simpatica commedia su un aspirante
star del teatro destinata alle porte sbattute in faccia, e –
procedendo al contrario – Le domande di Brian. L'esordio che ho recuperato solo adesso. L'ho
acquistato su Libraccio per pochi euro, mesi fa, nell'edizione
Sonzogno: una versione vintage – sfortunatamente diversa da quella
tascabile, con l'adorabile copertina che si sposa con gli altri
romanzi della lista – per una storia vintage. Gli anni '80 e gli
abiti con le spalline, la politica della Lady di Ferro e la gioventù
in rivolta, le canzoni che non ci hanno mai abbandonato e quei quiz a
premi che da noi, scomparso Mike Bongiorno, non sono
stati più gli stessi. Quella volta in cui avevo il treno da
prendere, l'ho visto lì, sul tavolino, pronto per l'uso, e ho deciso
di portarmelo appresso. L'aria condizionata a palla nel vagone
(miracolo), la giornata soleggiata ma non troppo (miracolo) e la
Sessione Estiva che – nel viaggio di ritorno – non c'era più a
procurarmi pensieri angosciosi (miracolo; traguardo) sono stati la
morte sua, come si dice. Le domande di Brian è
il romanzo da ombrellone perfetto o, se sei un fuorisede che va di
fretta, la consolazione pre/post esame. Ambientato nell'Inghilterra
di provincia degli anni più rimpianti in assoluto da chi è
nostalgico per natura, è un romanzo di formazione con tutti i sacri
crismi: voce fresca, triangoli amorosi, scuola e famiglia,
rocamboleschi incidenti di percorso. Ma lo young adult secondo il
nostro David Nicholls è un esordio spassoso, ma non troppo
controcorrente, e una lettura piacevole senz'altro, ma poco
imprescendibile. In parole povere: se volete leggere tutto
dell'autore, mettete questo in coda. Mi aspettavo qualcosa di più, e
forse è colpa mia. Ma ci ha abituati a cose più tutto – profonde,
realistiche, toccanti – e quella, invece, è colpa solo sua. Nicholls
scrive romanzi bellissimi, dunque davanti a un romanzo non brutto,
semplicemente meno bello, carino, si resta un po' così. Vi
direi una bugia, però, se affermassi che, durante la lettura, la
cosa mi è pesata: il romanzo – e non si poteva pretendere
diversamente, con al timone un autore simile – è divertentissimo,
brillante, senza intoppi.
Si ride e tutto, ma non si pensa granché:
sebbene ci siano, gli spunti di riflessione sono gli stessi già
suggeriti altrove. Oltretutto, poco familiare l'ambientazione, per me
che sono abituato agli anni '80 dei Duran Duran e non di Kate Bush –
la conosco, ma volutamente in modo superficiale: ha acuti così
striduli e sottili che solo i cani percepiscono, e quando li
sentono abbaiano come matti -, alle contestazioni pratiche e non agli
scontri dialettici tra moderni Tory e Whig, alle grasse battute di un
Animal House e non a
un umorismo inglese davanti al quale le traduzioni italiane nulla
possono e si procede, così, per note e asterischi. Però il
protagonista eponimo – uno tipetto brufoloso e sbadato, che ama
termini pomposi come “eponimo” e i pomposi film d'avanguardia –
è una sagoma. Troppo imbarazzante per essere vero, Brian ha
abbandonato la mamma vedova e i suoi scatenati migliori amici per il
grande salto: il mondo universitario. In cui sogna di filosofeggiare
per notti intere nel letto di ragazze splendide, di dormire in
pittoresche mansarde come gli Scapigliati, di guadagnare centrimetri
in altezza e bellezza aggiuntiva, di avere come amante una donna
agèe, come in Il laureato.
Al massimo, però, può ambire a un materasso sul pavimento – che
non fa un futon, per la cronaca -, a due curiosi coinquilini che
distillano birra in casa e al brivido della diretta tivù, grazie a
un famoso quiz. Tra una figuraccia colossale e un
vano tentativo di liberarsi le guance dall'acne, incontra
Alice e Rebecca: si innamora della prima, angelica e popolare, e si
lascia odiare dalla seconda, dark e scortese.
Finché, in quasi
quattrocento pagine, i ruoli si invertono, ancora e ancora:
schiacciando il tasto rosso, lo sciocco Brian – che dice sempre la
cosa sbagliata, nel momento sbagliato, all'interlocutore sbagliato –
giurerà amore all'una o all'altra; alla testa o al cuore? Più ardua
la risposta, mi domando, o reperire la versione cinematografica di quello che, in
lingua, si chiama Starter for 10? Uscito
dieci anni fa, ambientato trent'anni fa e destinato a esigui passaggi
su Sky, da noi, con il titolo Il quiz dell'amore.
Sul triste battesimo, stenderei rotoloni Regina di veli pietosi.
Destino infelice per una commedia che in Patria è stata un
successone e che ha il merito non da poco di avere (a) lanciato
grandi attori britannici, (b) eliminato dal romanzo la ricerca della
risata forzata, (c) trasformato quello che a volte aveva le
esagerazioni di uno chick lit al maschile in una pellicola che, se
fosse stata girata negli anni novanta, avrebbe avuto diritto,
probabilmente, al più galante degli Hugh Grant. Non ci si può di
certo lamentare, però, per la presenza di un giovanissimo James
McAvoy – che potrei odiare, da presidente onorario degli
impresentabili e degli impacciati, perché impersona un Brian assai
meno impresentabile e impacciato, ma che appare abbastanza adorabile
lì dove il personaggio originale era una mezza macchietta -, conteso
dalla bambola Alice Eve e dall'affascinante Rebecca Hall – e sì,
sono tutti più belli che nel romanzo, è il cinema!, ma almeno il
triangolo appare meno inverisimile: è un idiota, lui, ma è un idiota che sembra James McAvoy. Tutt'intorno, allegri comprimari in mezzo ai quali
spicca un Dominic Cooper che si atteggia a Fonzie, un irritante
Benedict Cumberbatch, un tamarro James Corden. E con la sua colonna
sonora da manuale – ma davvero, chi se la sorbiva la Bush? Meglio
lasciare il posto, allora, a Smiths, Cure e compagnia bella – ha più
orecchio, misura e una giusta dose di cultura generale che non guasta. Nicholls alla sceneggiatura, Tom Vaughan alla regia
e – limitato l'esagerato – si raggiunge un appagante compromesso
che suona, in definitiva, come la risposta esatta. Non badate alla
semplicità delle domande, né alla prevedibilità delle risposte:
dall'esterno noi potremmo essere anche certi di chi si metterà con
chi, ma Brian è tutto un dubbio, tutto un'ansia. Un po' come capita nel rapporto tra me e i miei genitori, per capirci, quando li chiamo alla fine degli esami: da
casa, erano tutti certissimi della mia promozione, ma a me che stavo lì,
in corridoio, e tentennavo, e sudavo, e mi agitavo, chi assicurava che tutto sarebbe andato per il verso giusto?
A volte, sarebbe bello darsi per scontati.
Ma è così difficile farla facile.
Il
mio voto: ★★★ Il film: 7
Il
mio consiglio musicale: The Cure – Boys Don't Cry