Recensione a basso costo: Suite Francese, di Irène Némirovsky
Creato il 10 aprile 2015 da Mik_94
Nel
cuore di ogni uomo e di ogni donna resta una specie di Eden dove non
ci sono né morte né guerre, dove le belve e le cerbiatte giocano in
pace. Si tratta solo di ritrovare quel paradiso, rifiutando di vedere
tutto il resto. Siamo un uomo e una donna. Ci amiamo.
Titolo:
Suite Francese
Autrice:
Irène Némirovsky
Editore:
Garzanti
Numero
di pagine: 415
Prezzo:
€ 4,90
Sinossi:
"Suite
francese", pubblicato postumo nel 2004, è l'ultimo romanzo di
Irène Némirovsky. Scritto agli albori del secondo conflitto
mondiale a Issy-l'Évèque, in Borgogna, è un affresco spietato,
composto quasi in diretta, della disfatta francese e dell'occupazione
tedesca, in cui le tragedie della Storia si intrecciano alla vita
quotidiana e ai destini individuali. È un caleidoscopio di
comportamenti condizionati dalle aberrazioni della guerra, dalla
paura, dal sordido egoismo, dalla viltà, dall'indifferenza, dagli
istinti di sopravvivenza e di sopraffazione, dall'ordinaria crudeltà,
dall'ansia di amore. È il racconto della passione, ambigua e
tormentata, che nasce tra una giovane donna il cui marito è disperso
al fronte e un ufficiale tedesco. Con lucida indignazione ma anche
con pietà, Némirovsky mette a nudo le dinamiche profonde
dell'esistenza umana di fronte alle prove estreme e scrive un
insperato capolavoro della letteratura del Novecento.
La mia recensione
Ho
un'immagine che non riesco a togliermi dalla testa. La Némirovsky
sopresa dai tedeschi mentre, seduta alla sua scrivania, con la stella
a cinque punte cucita sul petto, pensava ai movimenti conclusivi
della sua lunga suite francese. Un poema sinfonico in cinque atti, di
fughe disperate e furtiva dolcezza e poi boh. Appunti sparsi,
indecifrabili, che forse comprendevano altre trame, altro amore;
finalmente la pace. Volano dalla finestra, in una nevicata di fogli
bianchi, e lei viaggia su un treno che non torna indietro e non vola.
Magari anche allora aveva continuato a pensare ai suoi figli e ai
suoi personaggi. Ma non ci si ferma davanti all'odio, all'incompiuto,
e quell'opera a metà – decenni e decenni dopo – è stata
pubblicata postuma. Prima delle aste tra editori e della conquista
delle librerie era già un classico. All'inizio troppo piccolo per
apprezzarlo, poi - nell'età della ragione – incerto su come
parlarne, l'ho inserito nella lista dei desideri sicuro che lì, in
tutta franchezza, se ne sarebbe stato: mi fanno paura le promesse di
capolavori, il senso d'infinito che un punto mancato sa dare, le
pagine vuote. Le melodie che si interrompono perché hanno sparato
sul pianista. Quindi, il sangue sugli spartiti. Suite Francese
era incompleto, ma in che senso? Complice la trasposizione
cinematografica, accolta senza particolari clamori e con tanta
commozione, sono fioccate ristampe in economica e nuove recensioni.
Gli occhi puntati sul racconto, in parte una storia d'amore, e solo
alla fine sul dramma dell'autrice. Irène Némirovsky avrebbe voluto
così, che fosse ricordata attraverso una storia. L'ultima. E
recentemente, coi trailer in tivù e i paragoni, mi sono accorto di come
Suite Francese non stesse
tutto lì, nel pensiero cupo della deportazione, ma fosse un romanzo
vero e proprio; un testamento spirituale e narrativa insieme. Per gli
indecisi cronici, sappiate che Suite Francese si
lascia leggere con impensata velocità, amare e all'evenienza – ma
non è il mio caso - criticare. Non ci sono pensieri e reazioni fuori
luogo; va bene tutto. Diverso da come lo immaginavo, da molti
custodito su una specie di altarino con ceri e incensi, è aperto, e
aperto alle chiacchiere, alle critiche, alle confutazioni di lettori
medi. Che leggono tanto, i classici a tratti li temono e, capaci di
sostenere pazientemente i ritmi lenti dei capitoli introduttivi, non
siano per forza dotati di puzza sotto il naso e gusto sopraffino. Il
romanzo è per tutti e, alla reverenza iniziale, a quello sfogliare
le pagine pianissimo che è un po' come camminare sulle punte, vanno
sostituendosi un interesse vero e un'immediatezza che, al contrario
del libro stesso, invece non è da tutti. Le autrici di oggi si danno
arie da gran dame in melodrammi guerreschi che, con uno stile
infiocchettato che sembra soltanto lento e pacchiano, ambirebbero
alla serietà e invece conquistano scaffali con tutte le sfumature
del rosa.
Chiamasi polpettoni, quei romanzi: studiati nel dettaglio,
fiutano lo strazio, il profumo delle lacrime, la possibilità facile
di farsi cinema. Ogni tanto mi piacciono, ma Suite Francese
per fortuna è diverso.
Semplice, quotidiano e un filino ironico, perché la Nèmirvosky –
persona che ci sarebbe piaciuta molto – rideva tra se e se anche
allora, coi soldati armati sotto casa e gli sguardi sdegnati dei suoi
concittadini. Il tipo di donna che, come quella di cui canta Hozier,
sghignazza in chiesa e ride ai funerali. Avrei dovuto saperlo, avendo
letto anni fa un suo racconto, Il ballo;
aspettarmi perciò descrizioni evocative, splendide, di quelle che
non si trovano più, e l'umorismo inopportuno ma irresistibile che
ogni tanto rimproverano anche a me. La Némirovsky disprezzava più
il borghese del nemico tedesco, si fidava meno del vicino di casa che
del giovane invasore che sbucciava un'arancia, un mandarino, e con un
sorriso buono offriva spicchi succosi ai bambini. Questa guerra
vissuta nelle campagne e nei borghi delle cartoline scoppia col caldo
e le bombe, mentre i ricchi si riversano per strada con gli abiti dei
giorni di festa e i gioielli cuciti nelle tasche – confidando nel
potere del denaro, che trova la sua kryptonite in una miseria che non
guarda in faccia nessuno – e i poveri sperano, nelle casupole di
paglia che il soffio del lupo fa crollare. Il Suite
Francese che leggiamo noi,
sprovvisto dei tre movimenti conclusivi, è piccolo ma contiene due
volumi.
Nel primo, quello che si muove piano piano, l'autrice – in
terza persona – salta da un punto di vista all'altro, seguendo
personaggi che in molti casi non troveremo andando avanti e scappano per mettere tutti i chilometri possibili tra loro
e il fulcro dell'uragano. Inizia la guerra. La combattono i figli e i
mariti, i giovani, con città abitate solo da donne e codardi radical
chic che si barricano nell'ozio letterario. La signora Péricand che
ricorda il servizio di piatti buono e scorda a casa il suocero;
l'intellettuale Gabriel Corte derubato di un paniere pagato un
capitale; i pacati coniugi Michaud e il loro figlio sfortunato che
sopravvive al conflitto ma non alle insidie dell'adolescenza; la
timida signorina Labarie che si è innamorata del suo ospite, un
soldato ferito, e prega che il marito disperso non bussi alla porta
tanto presto. Il secondo movimento, Dolce,
è la quiete dopo la tempesta. Ma il vento si è fermato in città,
il tifone indossa la divisa di un altro colore e in quella pace
fasulla, al tramonto dell'Armistizio, francesi e tedeschi siedono
alla stessa mensa. Inconciliabili come la pioggia e il fuoco,
coinquilini per forza, tra un silenzio che riempie e la musica del
pianoforte, scoppia con discrezione la passione tra Lucile Angellier
e il tenente Bruno von Falk. Lei misura le parole, sorvegliata da una
suocera gelida, ma bastano ottantotto tasti e lui riesce a mettere in
musica la guerra che ha visto. Sono significativi e si lasciano
leggere in un soffio, loro, ma non perché al centro della più grande
storia d'amore mai raccontata che le fascette promozionali annunciano
- si danno per sempre del lei, si scambiano appena un bacio, ma
diventano esempio di una concordia che ancora non esiste, svariate
generazioni dopo, ma per chi la desidera forte appare comunque a
portata di mano. La Nèmirovsky riconosce con pietà e compassione l'umanità degli stessi uomini che un giorno l'avrebbero uccisa e, se anche
avesse potuto, sfuggita agli orrori di Auschwitz, non sarebbe
ritornata sui suoi passi. Avrebbe ugualmente ignorato l'accento
straniero; riportato la galanteria e la delicatezza di chi obbediva
all'ordine di essere cattivo; descritto quei giovani abbronzati e
biondi che avevano fatto innamorare anche mia nonna, che al tempo era appena bambina; perdonato. Questione di prospettive e punti di vista, e lei
sa mostrarceli tutti. Una vinta tra tanti racconta i vincitori, con la
leggerezza di chi guarda le cose dalla giusta distanza e non mette
chincaglierie a nascondere le crepe delle nostre contraddizioni e i fiori della loro indulgenza.
“Lo sappiamo che l'essere umano è
complesso, molteplice, diviso, sorprendente, ma ci vuole un tempo di
guerra o di grandi rivolgimenti per scoprirlo. E' lo spettacolo più
appassionante e terribile. Non possiamo illuderci di conoscere il
mare senza averlo visto nella tempesta come nella calma. Solo chi ha
osservato gli uomini e le donne in un tempo come questo, li conosce.
Solo lui conosce sé stesso.”
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Patrick Doyle – Kissing in the Rain
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