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recensione a CHINA

Da Dedalus642 @ivanomugnaini

recensione a CHINA Maria Pia Quintavalla, “China”, Milano, Effigie edizioni, 2010

di Ivano Mugnaini

Qualsiasi libro a cui ci poniamo di fronte ci offre e ci chiede un certo grado di esposizione, ci domanda fino a che punto siamo disposti ad avvicinarci al fuoco e al gelo che contiene. Nella maggior parte dei casi il compromesso è relativamente prudente; ci si mantiene in una zona bene illuminata ma tutto sommato tranquilla. Nel caso di questo libro di Maria Pia Quintavalla ci si trova nella condizione di doverla seguire qualche passo più in là. Nel punto in cui le scintille e le schegge di ghiaccio della memoria bruciano e feriscono. L’autrice è profondamente legata alla poesia, alla sfida e alla ricerca di una verità ulteriore. Anche in questo suo “romanzo in versi” è prevalsa la volontà di scavo e di indagine a cui chiama anche il lettore, trasfigurando la realtà e i dati di fatto cronologici senza che niente vada perduto della loro acuminata verosimiglianza. Il tempo descritto, genuinamente vissuto e nitidamente riconoscibile, si fa metafora, orizzonte costellato di simboli.

C’è in questo libro un senso vivido del sacro e del profano, e c’è la loro commistione, il corpo che lega a sé vita e morte, il rito e il gesto concreto. Il racconto si fa parola senza smettere di essere carne, materia pulsante. Una laica, umanissima trasfigurazione: “Prendetene e mangiatene tutti, il mio sangue/ per la nuova ed eterna paura,/ sparsa per voi, fate questa memoria”. Lo spettro della retorica è spazzato via all’istante dalla condivisione della memoria che anche il lettore è chiamato a “fare”, a costruire, mettendosi in gioco. China non è un diario , non è un semplice archivio di ricordi e sensazioni. Lo scarto simbolico è sottile, spesso racchiuso in un dettaglio, un colore, una percezione istantanea, lontana sia dalla storia che dalla cronaca, perfino dall’epos familiare che fa da sfondo agli eventi e ai mutamenti. Il senso, il succo, è nello spazio di una sillaba, un sospiro; quell’alito misterioso, alieno alla logica, trasporta la realtà in uno spazio franco, immune alla sterile razionalizzazione, libero perfino dai ceppi del tempo e della morte.

L’apparato simbolico di questo libro è vasto, ricorre a tutti e cinque i sensi, tramuta il corpo in un sistema di rilevazione di emozioni ad ampio spettro. La musica, innanzitutto, è alimento primario per l’evocazione e la ricostituzione delle scene fondamentali della vicenda narrata. È un Leitmotiv ininterrotto, accompagnamento tra due sequenze di suoni, tra assoli e contrappunti, speranze di armonie e presa d’atto di contrasti. La vita insegue una vita altra, come un violino fa da eco a un pianoforte.

L’attitudine proustiana a rincorrere il tempo è ben viva, pronta a tramutare qualsiasi occasione in memoria. Nella lirica che apre il Prologo, il canto di Bella ciao è perentorio squarcio in un tempo che riemerge all’istante, attualissimo. Le note sono intonate dalla madre della voce narrante. “Si era messa a cantare Bella ciao,/ queste note ascoltavo, come da un’altra sponda”, rivela la protagonista. La sponda è quella che unisce e separa gli affetti, i destini, la vita e la morte, l’amore e quella galassia di terre complesse e multiforme che lo circondano. China è un libro capace di sfuggire a catalogazioni e a tentativi di etichettatura. La sua forza è in quella sincerità nuda, spiazzante e preziosa, in grado di mostrare la complessità delle relazioni umane, soprattutto quelle più strette e intense, sofferte e vissute davvero, nel profondo. In tale ottica, sono proprio gli oggetti e i momenti in apparenza ordinari ad assumere peso e sostanza. Ciò che è lieve, quotidiano, arriva a sfiorare l’essenza.
- È possibile leggere la recensione completa sulla rivista Samgha da cui è stata pubblicata il 22 luglio 2012, a questo link :   http://samgha.wordpress.com/2012/07/22/maria-pia-quintavalla-china-milano-effigie-edizioni-2010/



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