RECENSIONE A FREDDO – C’era una volta un’estate

Creato il 20 gennaio 2014 da Fabioeandrea


Houston abbiamo un problema. Il problema, in particolare, è solo mio e riguarda Steve Carell e la sua mascella quadrata… Non riesco a sopportarlo, se non per un solo film all’anno. E siccome, quest’anno ne ho già visto due, potete ben immaginare quanto non mi abbia fatto piacere ritrovarmelo in C’era una volta un’estate di Nat Faxon e Jim Rash… C’era da stappare lo champagne, proprio!

Eppure, malgrado questo, mi sono fatto coraggio e ho guardato questa commediola su un quattordicenne sfigatissimo (Liam James… che a volte, da quanto non riesce a ribellarsi, ti viene voglia di penderlo a schiaffi e a urlargli in faccia MA TI SVEGLI?!?) che è costretto a sopportare il nuovo compagno (Steve Carell… eh, vedi, manco il protagonista di questo film lo può vedere… e pensate che avevano scelto Jake Gyllenhaal!!!) della madre (Toni Collette, che j’adore… malgrado la faccia da una che ha ricevuto la visita di Samara dopo sette giorni) e che ha trascinato tutti in vacanza assieme ai suoi migliori amici. Il ragazzo, ovviamente, si rompe le palle e, per uscire dalla routine oppressiva, cerca un piccolo lavoretto in un parco acquatico diretto da Maya Rudolph (che malgrado sia Maya Rudolph non garantisce matte risate) e il da-me-sempre-apprezzato-perché-puoi-recitare-tutto-quello-che-ti-pare-che-per-me-sarai-sempre-number-one-mitico! Sam Rockwell, il quale riuscirà a tirare fuori il vero carattere del ragazzo, mentre l’armonia pseudo-familiare va a puttane e senza neanche un preservativo.

Ora, una cosa che apprezzo di questo genere di commedie indipendenti è che sanno essere furbe perché chi le fa, lavora molto su quello che è il vero cuore di un film: la sceneggiatura. Così che, anche senza un particolare stile di regia alle spalle, la pellicola esce bene. E questo è il caso di C’era una volta un’estate. Apprezzabile. Non lo nego. Non mi sono stufato, non è una presa in giro per lo spettatore e, anzi, si fotografa abbastanza bene quella specie di assemblaggio di famiglie sfasciate da divorzi, con l’unione forzata di spazi e tempi di elementi improponibili che farebbero andare su per il colon chiunque per la innaturale disarmonia sociale.

Risultato: un’opera dinamica e che riesce a distrarre lo spettatore. Anche stimolante, per certi versi.

Fabio Secchi Frau


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