Anzitutto, il germe dell’intelligenza esiste? Lungi da noi fare delle considerazioni su questo tema, la risposta è ovviamente no. Ma l’autore pensa che ci si possa scrivere una storia, e vuole mescolare insieme, come già aveva fatto col precedente libro, presente e passato, ma soprattutto personaggi diversi, che hanno alle spalle formazioni differenti. E quindi veniamo catapultati, capitolo dopo capitolo, in diverse realtà: siamo nella New York di oggi insieme al tenente Sullivant e poi con uno dei suoi agenti, Trenan Lyon. Ci ritroviamo in mezzo alle battute e ai modi di fare degli americani, quando un’improvvisa intuizione cambia tutto. Qualcosa di davvero importante.
Nel frattempo, nell’East Cost, una ragazza viene torturata, sottoposta a tragiche sperimentazioni:
Lottare rappresentava l’unico modo per salvare la pelle
Lei è volenterosa e non vuole assolutamente continuare a subire torture. Vuole lottare per riappropriarsi della sua dignità e libertà.
Durante tutto questo, Davide Simoncini trova anche spazio per portarci indietro nel tempo, nella Germania nazista.
L’autore cerca di tessere una trama molto complicata. Il tema trattato, che chiama in causa la biologia mescolata alla fantasia, alla fanta-scienza, è arduo. Come se non bastasse, Davide rende la storia ancora più intricata mescolando l’oggi al ieri, e certo non aiuta il lettore con i vari personaggi, ben delineati, che crea, i cui nomi, troppo spesso, non sono facili da memorizzare.
I capitoli rappresentano un cambio repentino di scena. Spesso occorre tornare indietro di qualche pagina per “fare mente locale”.
Lo stile di Davide è sempre lo stesso, dinamico e caratterizzato da frasi brevi e taglienti. Rispetto a “La bestia dagli occhi di ghiaccio” presenta più maturità, specie in alcune descrizioni, veramente belle. In altre, però, può ancora migliorare. Potrebbe, ad esempio, evitare di fare ricorso agli aggettivi per descrivere un ambiente: “il paesaggio era mozzafiato”, “la sua sofferenza terribile”… perché non descrivere le ragioni per cui la sofferenza è terribile e che cosa rende così mozzafiato il paesaggio? (questi sono ovviamente due esempi generali, nello specifico ci sono diversi passaggi simili nel libro).
Se l’autore ha curato di più lo stile, tratta però un tema e crea delle vicende meno entusiasmanti, ma questo è del tutto soggettivo, rispetto al precedente romanzo. Probabilmente se l’azione serrata e lo stile così dinamico fanno il libro commerciale e da leggere velocemente, i contenuti però lo rallentano. È un romanzo po’ di nicchia, potrebbe non piacere a tutti.
Allo stesso modo, se ci è concesso un’ulteriore paragone tra questo romanzo, Il germe dell’intelligenza, e quello precedente, La bestia dagli occhi di ghiaccio, la cover è meno bella, e ancora una volta è troppo “scientifica”, particolarista.
Quindi, per concludere, è un romanzo riuscito per metà, nel senso che nello stile vuole essere adatto a tutti, ma che nei contenuti, così come nella copertina, prende distanza da molti.
Recensione a cura di Dylan Berro e Laura Bellini