Qualcuno mi ha riferito che uno scrittore italiano che stimo molto disse che sarebbe stato un bene sodomizzare Melissa P. con “Lolita” di Nabokov. È una storia che gira da un po’, e non so se l’abbia detto o meno, ma se l’ha fatto sarà stata solo una boutade tra amici: è una persona da sentimenti solitamente eleganti. Non sono riuscita a finire “Lolita” (e neanche “100 colpi di spazzola”, per la verità), ma ho il sospetto che se questo scrittore avesse letto “La seduzione rudimentale” di Emilia Dagmar, al suo esordio letterario con Senza Patria Editore, forse gliel’avrebbe consigliato (magari senza una cura sodomita). Perché questo romanzo breve in forma di episodi riesce a rendere letteratura l’indicibile, narrando attraverso una serie di rapporti umani filtrati nell’imbuto delle esperienze sessuali un intero mondo sentimentale al femminile.
Non è stata una lettura piacevole in senso lato. Ho sentito molte lacerazioni, riga dopo riga: viene messa a nudo in modo molto scabroso e scucito una capacità di abuso del proprio corpo che mi lascia un grande senso di inquietudine – ognuno ha la sua personale storia di vita che viene lambita dalle storie che legge. Perché in effetti da questa sequela di incontri sessual-sentimentali la protagonista esce di solito sessualmente appagata e in un certo senso anche trionfante, mentre sul piano del sentimento si sente crescere a dismisura la sua fame di amore, la sua inappagatezza affettiva. Il suo continuo rilanciare, andare oltre i suoi limiti e barriere sessuali per sperimentare situazioni anche piuttosto al limite, sembra in realtà avere come ultimo scopo quello di una resilienza offerta in pegno al ricevere un sentimento forte e duraturo, un vero principe azzurro che però, di volta in volta, si ostina a restare un rospo, in alcune occasioni persino più ripugnante.
E nonostante questo, resta tra le righe un candore di intenzioni che mantiene la protagonista sempre lontana dal sordido, dallo squallido. Squallidi semmai i suoi partners, incapaci di amare, alla ricerca di un sesso come antidoto alla paura di essere nulla, di invecchiare, di morire. Spesso ladri di bellezza, anche intellettuale, della protagonista. La raffinatezza del suo personaggio è tutta in un lessico che significa pensiero, ragionamento, cultura: è questo che mi ha condotta alla fine del libro, la perfezione dura dei suoi aggettivi, la potenza delle sue metafore, la scabrosità felicissima delle sue frasi, la penna come un bisturi. Un esordio narrativo veramente pregevole, anche se mi auguro che il prossimo lavoro assomigli meno a un De Sade. Soprattutto per la protagonista.
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