Io a Ben Stiller non gli voglio molto bene, sapete?
L’ho sempre trovato troppo rinchiuso nel suo solito screen-character e in uno stile di scrittura e di messa in scena televisivo che prediligeva collezionare scenette con un vago filo conduttore.
Una cosa che mi dispiace di lui è che si notava fin dal suo secondo film, Il Rompiscatole, che due anime combattevano per il dominio: quella televisiva e quella un po più autoriale.
La prima anima assecondava la già citata l’uso di sketch in una macrostruttura narrativa poco preponderante, mentre l’altra anima provava ad aggiungere un maggiore spessore alla storia e nei personaggi.
Ciò rendeva i suoi film poco calibrati nel ritmo e schizofrenici nel proporre scene autocontenute che però esibivano improvvise stilettate nei confronti di determinati argomenti nel tentativo di aggiungere più carne sul loro scheletro, però parevano elementi spuri e mal inseriti(piazzandoli in genere al termine di una scena, in un angolino).
Questo è ciò che ha fatto quasi sempre e immancabilmente fino ad ora.
Con questo film Stiller si è quasi del tutto liberato di questi problemi.
Perchè?
Il Walter Mitty del titolo è da lui interpretato con la solita nevroticità che tratteggia un adulto irrisolto, ma in questo contesto diventa qualcosa di molto meno forzato, perchè questo film non cerca di far ridere con scene appositamente predisposte, bensì racconta di un personaggio e di un cambiamento nella sua vita, ovvero la trasformazione nell’uomo che per troppo tempo non ha avuto l’occasione di diventare, che si concede ciò che desidera realmente e che fa ciò che lo fa sentire soddisfatto non solo a livello lavorativo.
Walter quindi incontrerà personaggi e non stereotipi da commedia, tutti adeguatamente tratteggiati seppure aventi poco tempo a disposizione, perchè in fondo non sono loro la cosa più importante, ma lui e ciò che prova.Anche per questo all’inizio il film sembra indugiare sui suoi sogni ad occhi aperti cercando di strappare qualche risata, ma in realtà, come per ogni altra cosa contenuta nel film è solo uno dei modi per definirlo.
Con una delicatezza mai avuta prima, Stiller ha girato un film dal ritmo omogeneo, non molteplici storie con lo stesso personaggio che agisce istericamente davanti a situazioni forzate allo scopo di far ridere(io la chiamo sindrome di Neri Parenti), ma ne racconta una sola, intera.
Ben Stiller con questo film in sostanza è diventato un regista.Se continua così, cioè pensando i suoi film come creazioni intere e non come addizione di più parti/scene, potrebbe diventare di più: Ben Stiller il regista.
Bella la partecipazione breve ma di impatto di Sean Penn, ottima la selezione di brani inseriti nel film, buone le musiche di Theodore Shapiro.
Ringraziamo tutti Steve Conrad per questa sceneggiatura che ha permesso a Stiller di dare il meglio.
Andrea Spiga