Dopo
il post precedente con la recensione del film, torno a parlare della
saga di Divergent. E per l'ultima volta. Ho finito ieri Allegiant e,
tra alti e bassi, l'ho trovato una degna conclusione. Quel finale che
tanti hanno trovato distrubante, per me aggiusta tutto, magicamente.
La recensione non contiene spoiler!
Avevo
paura che, se fossimo rimasti insieme, avremmo solo continuato a
cozzare per sempre, e che alla fine tutti quegli scontri mi avrebbero
mandata in pezzi. Ma ora so che io sono la lama e lui è la cote.
Sono troppo forte per rompermi, e ogni volta che lo tocco divento
migliore, più affilata.
Titolo:
Allegiant
Autrice:
Veronica Roth
Editore:
DeAgostini
Numero
di pagine: 540
Prezzo:
€ 14,90
Sinossi:
La
realtà che Tris ha sempre conosciuto ormai non esiste più,
cancellata nel modo più violento possibile dalla terrificante
scoperta che il "sistema per fazioni" era solo il frutto di
un esperimento. Circondata solo da orrore e tradimento, la ragazza
non si lascia sfuggire l'opportunità di esplorare il mondo esterno,
desiderosa di lasciarsi indietro i ricordi dolorosi e di cominciare
una nuova vita insieme a Tobias. Ma ciò che trova è ancora più
inquietante di quello che ha lasciato. Verità ancora più esplosive
marchieranno per sempre le persone che ama, e ancora una volta Tris
dovrà affrontare la complessità della natura umana e scegliere tra
l'amore e il sacrificio.
La recensione
“Sto
con lui perché lo scelgo ogni giorno quando mi sveglio, ogni giorno
in cui litighiamo o ci mentiamo o ci deludiamo a vicenda. Lo scelgo
continuamente, e lui sceglie me.” Dovrei
provare struggimento. Dovrei avvertire le fitte di un cuore infranto.
Dovrei dire che odio la Roth e che, da ora in poi, è mia nemica
giurata, a vita. Dovrei? Sono domande, ma senza punto interrogativo.
Quello manca, ma la risposta c'è. Forse: forse dovrei. Invece sapete
che i mancati lieto fine a me piacciono. Sono quelli che ricordo
malvolentieri; gli unici che ricordo più a lungo. Parto così, dalla
fine di Allegiant, ma senza
svelarvi nulla. Gli stati arrabbiati su Facebook, le emoticon
dall'aria triste, le recensioni che rimandano a notti insonni e a
kleenex umidi, gli articoli e gli spoiler più vari vi hanno messo in
guardia da tempo: le cose non vanno bene per tutti. Veronica Roth è
così, un po' crudele. Come la Collins prima di lei, come Lauren
Oliver. I distopici sono lotte, sono canti che inneggiano alla
rivoluzione, sono parate di gente armata – e le vittime, i martiri,
i militi ignoti sono necessari. Non puoi far guerra senza polvere da
sparo, non puoi farla senza caduti. La Roth non è più coraggiosa,
intrepida o cattiva dei suoi colleghi. Francamente, non è nemmeno
più in gamba: per nulla. Soltanto giusta. Ho finito il libro
e solo la fine mi ha suggerito che, in fondo, mi era piaciuto:
nonostante tutto. Quella fine – forte, d'impatto, senza ritorno -
che fa un effetto strano, ma che fa pur sempre effetto. Non ti
scivola tra le dita con leggerezza. Ha il colore cupo del lutto,
lieve ruvidezza al tatto. Ma non mi è sembrato il frutto sgradevole
della spietatezza di una giovane autrice che gioca a fare Dio, né il
definitivo raggiungimento della maturità di una ragazza – già
nota a livello planetario – che ancora tanto ha da imparare. Non è
una mattanza gratuita. Argina i contagi, limita i danni, salva il
salvabile. Riassume in un gesto i valori di ogni Fazione e mette a
tacere i contrasti idelogici. I vestiti si mescolano, non c'è più
un confine. Lo dice il vestiario grigio pallido degli Abneganti da
cui, liberi, fan capolino i tatuaggi degli Intrepidi. Perché si può
essere sinceri, gentili, altruisti, coraggiosi senza bisogno di
etichette superflue. Il discusso epilogo mette fine a tanto – vite,
istituzioni, mondi – ma in quella tomba chiusa non ci sei anche tu.
Sei all'aria aperta, e hai altra vita ancora, e hai altra speranza
ancora. Le ultime pagine le leggi
con un'ottica diversa. Qualcosa è venuto meno, e più di qualcuno.
L'assenza diviene presenza nell'attimo in cui realizzi che è così
che le cose dovevano andare e che sarebbe stato un imperdonabile
passo falso affidarsi a una chiusa alternativa. Termine giusto:
imperdonabile. Non
gliel'avrei perdonato, e Allegiant,
senza quel tocco lieve di disperazione, non sarebbe stato Allegiant.
Il libro che, tra alti e bassi
evidenti, mi è però piaciuto. Per quell'epilogo granata che diventa
stranamente salvifico. Turba, abbindola, e ho lasciato che lo facesse
senza troppe reticenze. Divergent mi
era piaciuto, Insurgent no
– ultime pagine a parte - e Allegiant è
stato una lunga incognita fino alla fine. Ha tanti e troppi difetti,
ma dire addio a quest'avventura senza l'anima in pace mi avrebbe
fatto sentire... sbagliato. Ho potuto farlo grazie a un finale che
disintegra qualcosa, ma aggiusta tutto. Mi ha aggiustato, mi ha
soddisfatto. Gli epiloghi tutti rose e fiori non hanno fatto mai per
me: me l'ha ricordato ieri anche mamma, al telefono. Sono d'altro
tipo quelli che non si scordano. E dell'ultimo capitolo di questa
trilogia il resto si scorda in fretta, purtroppo. L'immagine
conclusiva la ricorderò, il resto meno. In un anno, dopo
l'entusiasmo iniziale legato a Divergent,
ho rivalutato questa serie, iniziata a marzo 2012 letteralmente col
botto. Vedere il film mi ha ricodato quello che mi era piaciuto e
quello che s'era perso, quando i toni – da dinamici e frizzanti -
si erano fatti più seri, ripetitivi, pigri, libro dopo libro. Con
Insurgent avevo avuto
diverse difficoltà: per quanto scorrevole, avevo dovuto combattere
contro il più duro tra gli avversari. La noia. Strategie che seguivo
tra gli sbadigli, pagine superflue, personaggi di cui ignoravo
beatamente l'esistenza e che morivano in passaggi senza sentimento,
una società distopica dai tratti vaghi e sbavati. Comprimari dalle
doppie facce e con ruoli ambigui non dotati di vita propria, ma
agganciati a caratterizzazioni sbrigative che di loro mi facevano
conoscere – a stento – il nome. Poi era arrivato il finale.
Veronica Roth e i finali vanno d'accordo. Avrei voluto sapere, avrei
voluto indagare, avrei voluto conoscere il peso dei segreti nascosti
oltre i confini di Chicago.
Tutto veniva messo in discussione, tutto
era una bugia. Tutto mi aveva elettrizzato. Avrei dovuto aspettare un
anno intero per soddisfare la mia curiosità – come potevo? Ho
iniziato Allegiant con
il terrore di trovarmi tra le mani un secondo, lentissimo Insurgent.
Prevenuto, psicologicamente pronto. Invece la scrittura della Roth è
soggetta a molte pecche, ma non contempla lentezza. Tra i lati
positivi, indubbiamente, una velocità che si scambia per furia e
impeto e fa di queste 538 pagine un intenso concentrato da bere d'un
fiato. Il ritmo serrato è quello che era presente, in parte, nel
primo volume. I difetti sono gli stessi che, più consapevole, ho
riscontrato nel secondo. Lo stile: un tracciato del tutto piatto, che
non asseconda le linee di una trama che prevede cime aguzze e abissi.
Manca di personalità, potenza, luce. Linearissimo, non ha quasi
colore. Le descrizioni rapidissime ed essenziali dei volumi
precedendi lo nascondevano. Qui - quando è richiesta una maturità
aggiunta, una marcia in più – la giovane autrice mette in luce la
sua inesperienza, le sue lacune. Si percepisce per due fattori:
l'introduzione di un duplice punto di vista, il poco discreto e
massiccio intervento della Roth per girare e rigirare le carte in
tavole. Continuamente. L'espediente di una seconda voce narrante –
particolarmente in voga nei romanzi distopici, da Requiem
a Crossed – è di
per sé intelligente, se usato bene. Si possono sperimentare registri
diversi, si può rivoluzionare l'intreccio con uno sguardo tutto
nuovo. Si può, potenzialmente.
Le voci di Tris e Tobias, invece, risultano interscambiabili,
identiche. I nomi all'inizio di ogni capitolo ci dicono a chi
appartengono, altrimenti sarebbe impossibile distinguere lui da lei.
Tobias si omologa al solito coro, canta nella tonalità scelta –
due libri prima – per Tris. Il più interessante è lui. Sarà che
la fermezza della protagonista, a volte, si scambiava per freddezza
e, nei suoi confronti, erano cresciuti minuscoli momenti di
insofferenza; sarà che, in un plot a tratti ripetitivo, lui è la
novità autentica ed è novità autentica leggere sensibilità e
vulnerabilità nel cuore dell'uomo che non ha paure. In mezzo a
comparse fugaci, a comprimari di cui tra qualche tempo dimenticherò
perfino l'esistenza, degno di nota il personaggio di Caleb: il
fratello, il traditore. Ha qualcosa – e non so cosa – che,
nonostante i suoi vecchi gesti, rende aberrante l'idea di marchiarlo
come un capro espiatorio. Sbaglia, impara, resiste agli schiaffi e
alle occhiate torve della sorella con impassibilità assoluta. E' di
un'umanità che comprendi.
“La
pelle del viso di lui e quella delle nocche di lei hanno la stessa
sfumatura, tra il viola, il blu e il verde, come se se la fossero
colorata con i pennarelli. Questo è quel che succede quando due
fratelli si scontrano, si fanno male entrambi nello stesso modo.”
Mentre
i rapporti familiari risultano alquando ben delineati, l'intreccio
scivola su cardini non bene oleati. E ho usato la parola intreccio
non a caso, tra tanti possibili sinonimi. Di Allegiant si
vedono da lontano, ad occhio nudo, i fili e le trame che ne
compongono l'ordito. Tutto è molto macchinoso, schematico: a
determinate azioni seguono determinate reazioni, perché è così e
basta. Lo dice la Roth. L'autrice non ti porta gradualmente alla
meta. Delimita una strada precisa che non puoi oltrepassare, lungo la
quale devi obbligatoriamente proseguire: come lungo le rotaie del
tunnel della paura di un luna park standard. La distopia, in
Allegiant, si rivela
quel luna park fatto di rotaie fisse. Nel secondo fa una promessa
solenne e, sin dalle prime pagine, il compito dell'autrice è quello
di portarti a vedere cosa c'è fuori.
Come vivono oltre la Recinzione? Immaginavo un colpo di scena alla
The Village, in cui
una comunità senza tempo si teneva lontana dalla nostra società e
dall'avvento della modernità per scelta. Invece, scoprire che tra
dentro e fuori
passa una differenza trascurabilissima mi ha deluso profondamente. Si
nascondono, lì, segreti che non sconvolgono e lotte che, di peso,
sono trasportate dal mitico covo degli Intrepidi a laboratori
tecnologici che hanno fatto di Chicago un esperimento vivente.
Momenti di stasi non ne sono presenti e l'azione pura, di tanto in
tanto, viene stemperata con qualche raro momento di intimità. Ci
sono troppi baci tra i protagonisti, ma l'intimità sincera, reale,
si respira solo alcune volte. Baci che, ripetuti, esasperanti,
onnipresenti, diventano l'atto meno romantico di questo mondo. Ci
sono, in Allegiant e
nella saga tutta, cose che oggettivamente non vanno: tratti da
cesellare, una “personalità stilistica” da creare dal nulla,
scivoloni grossolani. A volte, anche la struttura della distopia
stessa – tutt'altro che infallibile - sembra fare acqua e il
messaggio appare semplicistico e vago. Il solito. Le cose brutte, da
dire, apparentemente superano numericamente quelle belle, ma tre
libri sono passati in fretta e l'anno prossimo, senza il bisogno di
aspettarne uno nuovo, potrei sentirne una certa mancanza. Le
sensazioni negative, con un po' di inevitabile malinconia, sono
surclassate dalle positive. Tutto merito – o colpa? - di un finale
che si fa ricordare, anche se in un volume non perfetto. Dopo gli
epiloghi svogliati di Multiversum
e Delirium, quello
della trilogia di Divergent è
il primo – quest'anno – a convincermi. E' coerente. Coerentemente
si trascina dietro i difetti di sempre, coerentemente rende omaggio a
personaggi privi di contraddizioni. Allegiant,
infatti, è fatto di
quella tristezza che non deprime. Non è una mezzanotte che scende
per non abbandonarti mai più. Non è eclissi totale del cuore.
Potrebbe giocarti un tiro mancino, ma sa portati su luoghi che
conosci e lasciarti nel posto giusto. Nel modo giusto. Dove tutto è
iniziato e dove un salto nel vuoto può ricordati di cosa hai paura,
perché hai paura, e che la vertigine che percepisci la percepisci
perché, in te, scorre ancora vita liquida. Intorno, gli amici, le
nuvole, la cenere. Ricordi sparsi di prime volte che hanno imparato a
non far più male.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Ellie Goulding – Beating Heart