Recensione. AMAZZONIA 3D: se questo è un documentario

Creato il 25 marzo 2014 da Luigilocatelli

Amazzonia 3D, un film-documentario di Thierry Ragobert. Nei cinema il 23, 24 e 25 marzo 2014.Una scimmia cappuccino dispersa in Amazzonia e in lotta per sopravvivere. Il francese Thierry Ragobert ha la buona idea di inserire una traccia narrativa, una storia, nella cornice del classico documentario di natura, con tanto di animale protagonista e star. Purtroppo in questo Amazzonia succede poco, pochissimo, anzi niente, la storia latita, e allora tanto valeva girare il solito doc.
Voto 4
.
Un documentario fictionalizzato. Un documentario che non lo è ma sembra esserlo, o che lo è ma non vuole esserlo, con dentro una narrazione alla Disney d’epoca con protagonista e star una giovane scimmia cappuccino. A dimostrazione di come oggi la categoria filmica del documentario non dico sia sputtanata, però ambigua e indefinibile e indecifrabile sì, ormai ridotta a territorio aperto a ogni incursione e saccheggio e sperimentazione anche maldestra. Che ormai, nel cinema che si autodefinisce e piace pensarsi della realtà, non si capisce più da che parte stia di casa il vero e cosa sia invece rapresentazione, messinscena, finzione e paraculaggine. Dice, il bello dell’ibridazione dei generi. Sì, però delle volte non si capisce più quale oggetto ci tocchi maneggiare, e visionare, e l’impressione di essere presi in giro è più di un’impressione. Almeno qui, in questo film francese, non si bara troppo e la fictionalizzazione è apertamente dichiarata. Certo che quando lo si è trovato quale film di chiusura lo scorso settembre alla mostra di Venezia un bel po’ di delusione c’è stata, e anche qua e la una qualche incazzatura. Perché Amazzonia (in originale Amazonia con una z sola) è davvero poca cosa, nonostante gli evidenti sforzi produttivi, e una idea di partenza non malvagia. Che poi è quella di inventarsi, all’interno dei modi e degli stilemi e pure delle retoriche del documentarione di natura esotica con prede e predatori in stile National Geographic, una traccia di racconto. Di fare dello storytelling. Sorvolando l’Amazzonia profondissima un aereo cade, e la scimmietta cappuccino che vi stava aviotrasportata chiusa in gabbia (non sappiamo mandata da chi a chi) si ritrova a terra, salva e libera. Solo che non è mica il suo habitat quello lì, chi l’ha mai vista l’Amazzonia? La simpatica e sveglia scimmia se la deve vedere con un ambiente ostile, e sarà darwinianamente lotta per la sopravvivenza. Procurarsi il cibo, sfuggire ai predatori, mimetizzarsi, e quant’altro. Intorno a lei paesaggioni e fauna e flora da trip psichedelico. E se, scusate, si son coniate categorie come food porn e ruin porn, ecco, qui potremmo parlare di porn naturalistico, con animali e vegetali glamourizzati, lustrati e feticizzati dalla macchina da presa e offerti al voyeurismo neanche troppo dissimulato dello spettatore. Che è poi la ragione per cui detesto certo cinema e certa tv solo appararentemente virtuosi e pedagogici di belve che sbranan gazzelle, serpenti assassini, ragni-mostro e quant’altro. Purtroppo la buona idea di Amazzonia di drammatizzare e narrativizzare il documentario fauna-e-flora non produce quel che ci si aspetta, la storia è poverissima, alla scimmietta succede poco o niente, e quel poco è massimamente prevedibile. Sì, certo, pedinare con la mdp una scimmia (o più scimie simili, immagino) in Amazzonia non dev’essere stato semplice, ma di sicuro quei geni di Hollywood avrebbero saputo cavarci qualcosa di molto più ricco e avvincente. Qui siamo al quasi niente, e allora tanto valeva girare il solito, l’ennesimo documentario amazzonico di tucani, serpenti e coccodrilli (o son caimani? o son alligatori? mah).


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