Magazine Cultura
L'importante è non tradirsi. E, ogni tanto, ricominciarsi.
Titolo: Arrivano i pagliacci Autrice: Chiara Gamberale Editore: Mondadori Numero di pagine: 204 Prezzo: € 15,00 Sinossi: Allegra Lunare ha vent'anni, è nel momento in cui la vita, per molti, comincia: invece per lei finisce, e deve trovare il coraggio per iniziarne una tutta nuova. Allora Allegra scrive: per non avere paura, per salvarsi l'infanzia, per non dimenticare il senso delle persone e delle cose che sono stati il suo mondo fino a quel momento. Scrive una lettera ai nuovi inquilini che abiteranno la casa dove ha vissuto con la sua bizzarra famiglia, e prende spunto dagli oggetti che rimangono nell'appartamento e di quei pochi che porterà con sé. Ognuno di essi racconta una storia: quella di suo padre, universitario rivoluzionario, e della mamma, giovanissima modella americana; la nascita di suo fratello Giuliano, con la sindrome di down; l'amore magico tra Adriana e Matilde; l'incontro con Zuellen, che è affamata d'amore e sa trasformare tutto in qualcos'altro; le cose che ha imparato a teatro e al circo, la più importante: che dopo il numero dei trapezi arriva sempre il numero dei pagliacci... La scrittura di Allegra procede come il respiro veloce della giovinezza, quando si ha fretta di capire: per libere associazioni, per assonanze del cuore, accostando ai sentimenti cose che ne sono i correlativi oggettivi, e che spesso li esprimono con maggior potenza. Il suo sguardo si posa su ogni spazio da una prospettiva inattesa, filtrato dalle lenti colorate con cui ha imparato a osservare la vita per non essere lambita dalle sue ombre: e ci restituisce un'istantanea candida e acutissima al tempo stesso. La recensione Nell'ultimo anno e mezzo, non so quante case ho visitato. Più di quanto sia stato necessario o possibile nei diciannove anni direttamente precedenti. E la cosa mi imbarazza, a morte. Nella mia lunga e personale lista di fattori che mi pietrificano, e mi rendono insicuro, e non mi fanno spiccicare più di una manciata di parole di circostanza, visitare le case altrui occupa i primi, primissimi, posti. Dopo parlare a telefono con dei perfetti sconosciuti, chiedere informazioni ai passanti senza balbettare, alzare la mano in una platea che ha orecchie solo per me, sentire la mia voce nelle registrazioni e non riconoscerla, e via dicendo. Io sono uno che si imbarazza facilmente: già. Da bambino, invitato a casa di un compagnetto di scuola, rifiutavo bicchieri di limonata, pezzi di torta, merendine, partite ai videogiochi. Tutto, con un cortese no, grazie. Quasi sempre. Non chiedo acqua, anche se muoio di sete. Non chiedo dov'è il bagno?, anche se rischio di farmela nelle mutande. Adesso: immaginatemi mentre, per un anno di università che sta nuovamente per cominciare, cerco casa. Setacciare gli annunci, staccare i numeri di telefono, digitarli. Contattare telefonicamente estranei: la prima violazione di una voce scritta nella famosa lista, per iniziare proprio al meglio. Figuratevi quando si tratta di calpestare i loro zerbini, gridare un Permesso? di circostanza, mettere il naso tra le loro stanze, anche se una di quelle stanze, poi, potrebbe diventare la mia. Dettagli. Sono comunque un barbaro invasore dai piedi pesanti. Io vivrei in pigiama, penso che tutti vivrebbero in pigiama e, dunque, il realizzare che quei forse futuri coinquilini abbiano indossato jeans, maglietta e scarpe solo per me mi mette come in soggezione. Non mi merito un abbigliamento di tutto punto, ché tanto non so neanche se quella casa la prendo oppure no: pantaloncini ed infradito mi avrebbero fatto sentire meno a disagio, mentre cammino tra le loro vite, e mi dicono che questo è il bagno (e io cerco di non violare la privacy dei loro spazzolini gocciolanti, dei loro sciampi finiti, della loro biancheria messa ad asciugare sul termosifone spento), questa è la cucina (e io non guardo le tazze sporche nel lavello per cui si scusano, le macchie sul tavolino che i libri sparpagliati nascondono, le bottiglie di birra sulla credenza come una collezione), questa è la tua stanza (e qui uno sguardo più lungo posso concedermelo, tanto è spoglia e forse aspetta me, le mie foto, il mio accurato disordine). Spese escluse o spese incluse? Il canone Rai, la caldaia, l'Adsl, il condominio...? Spari di cifre, strette di mano, sorrisi a labbra strette, la promessa di risentirci. Ti farò sapere. E però c'è quella locataria che ti trattiene la mano più del dovuto. Non si limita a stringerla, ma in un gesto, in un attimo, ti tocca la linea della vita, dell'amore, della fortuna e ti offre da bere un caffè sciacquo. Rifiuti, ma lei non sente. Ti inizia a parlare, ma non senti tu. Allegra Lunare dev'essere pazza, ma è una pazza di quelle... gentili. Ci tiene a dirmi che il suo film preferito è Dirty Dancing, che non leggerà mai Proust, che vuole recitare a Broadway, che ha perso la verginità a sedici anni e, tirando su col naso, aggiunge che in quella casa ci è nata e cresciuta. Abbandonarla è difficile, tagliare il cordone ombelicale a vent'anni fa strano e fa male, ma deve. Sa solo lei perché, ma deve. Mi racconta una storia di famiglia di cui, inizialmente, mi frega poco. Non appoggio i gomiti sul tavolo, tengo le braccia conserte, non mi avvicino al bordo della sua verità. Ascolto Allegra, ma come si ascolta un discorso privato che, nonostante le voci alte e gli strilli, non è rivolto a noi. Prende una foto di famiglia e mi indica chi se ne è andato e chi c'è ancora. Chi non c'è più, e chi c'è, ma sotto altre forme e altri tetti. Ma a me che me ne importa della mamma bambina con l'accento americano; del padre che dietro la cattedra da professorino ha nascosto i sogni rivoluzionari che faceva in gioventù, al tempo delle kefieh e dell'amore; delle zie lesbiche, di cui Allegra non si è mai mai domandata se fosse giusto o sbagliato che stessero insieme; del fratellino (-ino, anche se è più grande) down e della migliore amica dal nome storpiato causa Dallas, che morirebbe per un bacio appassionato e una fuga romantica lontano dalle suore?
Niente m'importa, così le faccio: Ma io, Allegra Lunare, ti vengo forse a dire che sono mezzo siciliano e mezzo napoletano, ma odio la matematica, le divisioni, le mezze misure e quindi mi sento un po' perso, sapendo che appartengo a due luoghi e a nessuno al tempo stesso; che vivo in Molise, ma il Molise non esiste, quindi ciao; che mia nonna, manco fosse Demi Moore, cinquant'anni fa mi ha trovato un nonno di cinque anni più giovane di lei; che mia mamma la immagino tipo La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo, mentre mio padre scortava delinquenti al nord; che io sono nato con quattro anni di ritardo e che mio fratello è nato per caso, con una spalletta rotta e un soffio al cuore; che... che... che la tua storia è confusa, pazza, sottosopra, sgrammaticata, senza controllo? Guarda, sei uscita dai margini. Sei andata fuori traccia, hai fatto un pasticcio di scolorina e sottolineature, hai mandato a quel paese le care lezioni di grammatica, con frasi chilometriche, salti temporali, bugie. Non si dicono le bugie! Mi stoppo, con tanto di mano spalmata sulla bocca. Non dico i fatti miei alle persone, non dico i fatti miei a personaggi dei libri. Suppongo, tuttavia, che Arrivano i pagliacci lo consenta. Quando certi autori sono onesti con te, tu devi essere onesto con loro. Un ricordo per un ricordo, una vita per una vita. Davanti ad Arrivano i pagliacci, ho reagito come davanti ad Allegra – questa padrona di casa estroversa, impicciona, logorroica, che ti fa trovare l'appartamento pieno di scatoloni. Altri scatoloni da aggiungere ai tuoi, e tu ti chiedi cosa te ne farai. Io, all'inizio, mi sono domandato cosa me ne sarei fatto di Arrivano i pagliacci, il romanzo che non era un romanzo. Le confidenze troppo intime: mi imbarazzano anche quelle. Poi, non so dire quando, mi sono sciolto: messo a mio agio, ma anche liquefatto. L'epilogo, con un colpo di scena fortissimo, mi ha fatto stare male. Gli occhiali rosa della protagonista si erano graffiati e lei, che vive di amori immaginari e non sa come Love Story e Titanic vanno a finire, a vent'anni scopre il dolore. Se fosse una maschera, sarebbe Pierrot: in mezzo al carnevale, ma con una lacrima solitaria sulla guancia. Parlavo io, parlavo Allegra e mi è venuta in mente nonna che, alle rimpatriate, quando beve un sorso di limoncello in più, inizia a straparlare – sempre delle stesse cose – e a costruire per l'aria alberi genealogici e racconti, sui nipoti, le cognate e i generi, i figli pestiferi e le matrigne che sembrano uscite dalla favola di Cenerentola. Stasera la chiamo e glielo dico che ho pensato a lei: la prossima volta, porto con me il libro di Chiara Gamberale. E chi è, la tua fidanzata?, mi chiederà. No, nonna, è una scrittrice e il suo romanzo, ritornato nelle librerie dopo quattoridici anni, mi ha fatto pensare a noi. Mi dirà che lei un po' non ci vede e un po' non sa leggere bene, perché non ha finito le scuole. E' piena di acciacchi, con le medicine che prende a cena le viene sonno, e con i libri scritti in piccolo ancora di più. Lo leggiamo insieme, dico, e la saluto, ricordandole che dopo il numero dei trapezisti arrivano i pagliacci. Un libro piccolo e imperfetto, questo, che mi ha fatto parlare a macchinetta di cose che non interessano a nessuno e ricordare Il favoloso mondo di Amélie, L'ultima ruota del carro, La kryptonite nella borsa e le storie che, a tavola, si raccontano a casa mia, vostra, nostra. Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Andrea Nardinocchi feat. Danti - Le Pareti
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