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Titolo: Colpa delle stelleAutore: John Green Editore:Rizzoli Numero di pagine: 347Prezzo: € 16,00 Data di pubblicazione: 9 Ottobre 2012Sinossi: Hazel ha sedici anni, ma ha già alle spalle un vero miracolo: grazie a un farmaco sperimentale, la malattia che anni prima le hanno diagnosticato è ora in regressione. Ha però anche imparato che i miracoli si pagano: mentre lei rimbalzava tra corse in ospedale e lunghe degenze, il mondo correva veloce, lasciandola indietro, sola e fuori sincrono rispetto alle sue coetanee, con una vita in frantumi in cui i pezzi non si incastrano più. Un giorno però il destino le fa incontrare Augustus, affascinante compagno di sventure che la travolge con la sua fame di vita, di passioni, di risate, e le dimostra che il mondo non si è fermato, insieme possono riacciuffarlo. Ma come un peccato originale, come una colpa scritta nelle stelle avverse sotto cui Hazel e Augustus sono nati, il tempo che hanno a disposizione è un miracolo, e in quanto tale andrà pagato. La recensione "Sarebbe un privilegio ritrovarmi il cuore spezzato da te".Si può amare un libro già prima di averlo letto? Si può sentire vicina una persona che, in realtà, non abbiamo mai incontrato? Sono sostanzialmente un romantico – mi illudo un po' ogni giorno, mi credo infatuato ad ogni sguardo gentile che incontra il mio -, quindi rispondo, e sempre risponderei alla domanda, con un sonoro e rumorosissimo sì.Si può. E' sbagliato, insensato, folle, ma è quello che ho provato dal primo momento in cui i miei occhi sperduti hanno incontrato quel titolo verde speranza, quelle stelle di polvere e quei palmi tesi in attesa di un colpo di vento. Il destino, la fine.Quello che ho provato nei riguardi del regale coronamento di un amore nato con Cercando Alaska e cresciuto con il divertentissimo Will ti presento Will. Colpa delle stelle, finalmente. Il capolavoro dell'anno. Il capolavoro di John Green. Un po', anche il mio. Questa sarebbe dovuta essere un'ode a un autore e al suo geniale estro. Un elogio all'unico che ho scoperto capace di farmi ridere e piangere insieme, dettatomi dal cuore e nato come un fiore dal mio pugno ancor prima che Colpa della stelle si imponesse prepotentemente in cima alla pila dei tanti libri da leggere. Ancor prima che, senza pensarci troppo, mi decidessi a comprarlo. Ancor prima che la Rizzoli ne annunciasse l'uscita italiana. Ancor prima che l'autore stesso lo pensasse, forse. Avrebbe dovuto rappresentare tutto, tutti. Universale, emozionante, indimenticabile. Il calore e i brividi dietro una casa sempre aperta, con giardini in fiore anche sotto la pioggia autunnale, pupazzi di neve in pieno giugno, dolciumi e uova di pasqua anche a Capodanno e passaggi segreti verso un Polo Nord mai chiuso per ferie. Una confortevole certezza. Era tutto perfetto, come al solito. Un sorriso gioviale dall'altro lato dell'uscio, uno zerbino con tanto di Welcome a fili colorati a darmi il benvenuto, labirinti di stanze più familiari delle mie tasche a garantirmi un tetto sotto cui sentirmi a casa. Eppure, quando i miei piedi si sono lasciati dietro problemi e realtà, dall'altra parte, il gelo. Quel posto che avevo pensato di poter chiamare casa, non era più lo stesso. Diventato un freddo igloo, tra aspettative di troppo e tanti potenziali destinati a non realizzarsi. Questa, sarebbe dovuta essere un'ode a un autore e al suo geniale estro. Quest'ode avrebbe avuto un inizio che faceva più o meno così: « Sono tre gli uomini che amo e ho amato nei miei diciotto anni di vita: il mio papà, Gesù.. e John Green.» Adesso, potrebbero apparire premesse frettolose, parole vuote. Ma, guardandole da un'altra angolazione e sotto una nuova luce, risultano inaspettatamente e ugualmente calzanti. Cronaca lucida e sintetica di strani amori che conoscono lunghe pause di riflessione e momenti no. Tutti e tre mi hanno deluso a modo loro. Con i primi due, ho strepitato e scongiurato. Urlato contro l'autorità del primo e l'immenso cielo del secondo. Colpa delle stelle è l'equivalente del motorino che papà non mi ha mai concesso e del cagnolino, o dell'infinità di criceti e pesci rossi, che nessuna preghiera a Dio ha mai riportato in vita. Il risveglio da un sogno idilliaco. L'amaro in agguato sul fondo del caffè. La conseguenza è il fastidioso tormento di un sentimento a cui non avrei mai associato il nome di questo autore. Il suo essere simpatica canaglia – capace di stare sia sopra le righe che sotto il velo delle apparenze - il suo mescolare saggezza e brio, serio e faceto, non sembravano mai poter alimentare una cieca rabbia. La stessa che, invece, in questi giorni, mi ha reso irascibile e inquieto; la stessa che sta rendendo questa una delle recensioni più sofferte e difficili. Leggiamo un infinità di brutti libri in un anno, che poi riponiamo sullo scaffale insieme alle nostre grandi speranze di partenza. Qual è il problema?Il problema è che Colpa delle stelle non è OGGETTIVAMENTE un brutto libro. E che io, in questo momento, mi sento colpevole e immensamente stupido. Meriterebbe grandi cose (perfino le stelle!), non di essere corroso da quella ruggine che sta crescendo nel vuoto a forma di punto di domanda che mi ha lasciato nel petto. Non è colpa di Green, né degli astri avversi del suo titolo. Sono io a sentirmi strano, sbagliato, sommerso da una rabbia che imputo solo a me stesso. Per non averne capito forse l'intento; per non averci sbattuto la testa contro fino a renderlo un livido parte di me; per non esserne stato all'altezza."Non puoi scegliere di essere ferito in questo mondo, ma hai qualche possibilità di scegliere da chi farti ferire", afferma uno dei protagonisti. Io avevo scelto di essere ferito da John Green. Avevo gettato via le corazze, esposto il mio petto nudo. Pensavo di uscirne segnato a vita da una delle cicatrici che Hazel e Augustus volevano lasciare nel loro mondo, ma ne sono uscito soltanto molto rattristato. Ed era più il peso della delusione, che del dramma che si stava consumando. La storia non racconta nulla di nuovo, è nuovo il modo di raccontarla, ed è proprio quello a non avermi convinto. Tanto umorismo, quella contrapposizione che ho sempre adorato tra periodi logorroici e frasi brevissime, i “ma” e gli “e” in posizione enfatica che, senza nemmeno prendersi la briga di andare al rigo successivo, ne spezzano uno insieme al tuo cuore, rendendo magnificamente l'imprevedibilità di un destino che non si prende mai la briga di avvisarti, prima di scoccarti un colpo tra anima e cervello.Lì per lì, ho riso come un idiota alle cattivissime battute e agli atteggiamenti così nerd dei protagonisti, ma, come gli sketch di uno show itinerante, si fanno dimenticare alla pagina successiva. Colpa delle stelle non è di certo il primo tentativo di unire una vena comica alle cellule cancerogene, ma tra i tanti è quello che mi ha lasciato più insoddisfatto. Non ha l'irruenta volgarità di 50/50, né il solare romanticismo di Il mio angolo di Paradiso; se fosse un film, sarebbe L'amore che resta, di Gus Van Sant. Pungente, elegante, minimalista, indipendente, destinato a stimolare testa e cuore ma nessuno dei due insieme. Quasi ermetico. Che rimane di lui oltre a maratone di videogiochi, personaggi Alleniani e ombre proiettate sul grigio cemento che fanno sorgere le riflessioni più intense e foscoliane sul senso della vita, della sua avida gemella e del ricordo?"Alcuni pensano che Amsterdam sia la città del peccato, ma in realtà è la città della libertà. E nella libertà la maggior parte della gente vede il peccato".La perfezione di attimi tragici e delicati, commoventi e spaccacuore, che sono così poco nello stile di Green, ma allo stesso tempo così immensamente suoi. E' quando ripudia l'idea di mettere chilometri e chilometri tra sé e i vari Sparks che riesce a brillare. Dotato di una grande voce, non ha bisogno di emulare nessuno né di temere cadute di stile e cliché. E' quando dice addio a quella gelida patina intellettualoide, quando ci mostra gli angoli più intimi e sanguinanti di questa sfortunata e bella avventura, che ho riconosciuto il “mio” Green. Coriandoli di neve che cadono dagli olmi olandesi, date e accordi di una guerra civile combattuta non con un male estraneo ma con una parte di sé stessi, cene a lume di candela con calici di champagne e completi da funerale, diciassettenni che in un letto bagnato d'urina lasciano il loro pudore e la loro dignità, “esilarantemente” tragici discorsi pronunciati a un malinconico e strambo prefunerale. Loro, un intreccio informe di tubi, cuori e corpi. "Mi sono innamorata così come si ci addormenta: piano piano, e poi tutto in una volta. Mi piaceva Augustus Waters. Mi piaceva proprio ma proprio tanto. Mi piaceva la sua voce. Mi piaceva che avesse fatto tiri liberi esistenzialmente pregni. Mi piaceva che fosse un docente del Dipartimento di Sorrisi Leggermente Truffaldini con una nomina presso il Dipartimento dell'Avere Una Voce Che Fa Sentire la mia Pelle come una Vera Pelle". Hazel, ipercritica, irritante e leggermente saccente, è l'adolescente media – tutta scenate e ribellione – solo con meno tempo per tormentare il prossimo. Augustus, invece, è bello e consapevole di esserlo; brillante, presuntuoso, prolisso e, parola del suo amico Isaac, incapace di “farsi una pisciata senza meditare sulle abbondanti risonanze metaforiche dello spreco di liquame umano.” Entrambi senza forzature, senza freni, senza paura. Frutto di lunghi di stesura, l'ultimo successo di John Green e il suo lavoro più completo, ma anche quello in cui ho trovato una sua impronta meno profonda. C'è più consapevolezza, più studio, più labor limae, ma meno della sua essenza. Per buona parte del romanzo ho faticato ad ammettere che mi stesse deludendo ed è stato solo alla fine, quando tutto sembrava perduto, che ho trovato qualche traccia di lui, tra le tristi corsie di uno ospedale e le foto confuse di ultimo (?) viaggio insieme. Un libro bello, ma con un'anima leggera e fuggevole come il vento di Marzo. Pazza ed incostante.Razionalmente, non saprei come valutarlo, ma, seguendo quel cuore a cui il libro non è riuscito ad arrivare in tempo, le mie quattro stelline anobiiane non gliele toglie nessuno. Solo, però, perché tre sarebbero troppo poche. Il punto è che Green non ha bisogno di un contentino, non si merita la mediocrità. Si arrampica sulla vetta a colpi di sincerità ed emozioni, mette in pace ragione e sentimento, e giungere ad una valutazione tirata “a sorte” non è degno della sua certificata grandezza. Il mio voto: ★★★★Il mio consiglio musicale: Life is Beautiful - Vega 4
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