Alla sua opera prima la giovane regista siriana Sarah Fattahi realizza Coma, un documentario intimo sulle conseguenze della guerra civile filtrate attraverso la percezione femminile di tre generazioni di donne a confronto.
In un vecchio palazzo di Damasco vivono assieme nonna, madre e nipote. Tre generazioni di donne che abitano insieme, in uno stato di reclusione, mentre fuori impazza la guerra civile, fioccano i morti e la città è sotto un continuo stato d'assedio. Tra le mura di casa le donne pregano o leggono il corano (la nonna), si annoiano e rimpiangono la loro vita (la madre), si preoccupano per lo stato di cose apparentemente immodificabile (la nipote). La macchinetta del caffè che bolle scandisce l'inizio di una giornata che sarà uguale alle altre, ma diversa, ancora vissuta nella paura, nell'isolamento, in quella condizione frustrante di essere sole e senza soldi. E se la più anziana rimpiange il tempo in cui in casa c'era un uomo (il marito che però è morto), sua figlia ricorda il tempo del suo matrimonio come uno stato ancora peggiore della guerra. Il sottofondo è quello delle tragedie delle telenovelas siriane, che acquiescono quel senso di isolamento ma doppiano il senso della tragedia che va in scena in casa (sulla TV) così come fuori, per le strade. È una guerra interiore ed esteriore quella che vivono (e che accomuna) le tre donne. Donne senza uomini in un mondo di uomini, come ricorda ossessivamente la nonna affermando "qui manca un uomo, qui manca un uomo", e come soffre profondamente sua figlia rispondendo "non dirlo più, mi dà fastidio che tu lo dica". E intanto il tempo è sospeso, sospeso in quella email che non riesce mai a partire, su quella caffettiera che ogni mattina sbolle, e in quel senso di esilio che tutto avvolge, restituendo la realtà drammatica di un Paese in guerra e vite allo sbaraglio, e di una mancanza, assenza ( Coma) che appare giorno dopo giorno sempre più incolmabile, irrisolvibile.
Donne senza uomini
È una coproduzione tra Siria e Libano l'opera prima di Sara Fattahi dal titolo Coma, un lavoro di matrice sperimentale che s'interroga su una serie fitta di tematiche e tutte profondamente spinose: il dramma della guerra e quello dell'esilio, la condizione d'isolamento, la crisi umana ed economica indotte dalla prima. Realizzato con un occhio interessante che sfrutta la claustrofobia casalinga di queste tre donne diverse per idee ed età ma accomunate dalla situazione, Coma è un concentrato percettivo di emozioni e reazioni all'interno di un triangolo famigliare di relazioni e affettività. Tutto ciò che accade tra le mura di casa entra nell'occhio itinerante e nelle inquadrature sghembe, mai centrate della Fattahi. Così come entrano i filmati di qualche tempo prima, dove la presenza dell'uomo (inteso come esponente del sesso maschile) alterava e modificava la percezione casalinga femminile. Ed è proprio quest'elemento a colpire nel lavoro di questa regista, ovvero la preminenza, la rilevanza affidata (nel bene o nel male) al sesso maschile. Al pari (se non più) della guerra o della mancanza di lavoro, sembrano infatti essere gli uomini 'mancati' la principale fonte di conversazione di queste tre donne riunite sotto lo stesso, precario tetto.
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