Pochi di voi probabilmente saranno abituati alla sola idea di dover leggere e trovare, tra i vari blog letterari, delle recensioni che riguardino classici latini e greci. Ma la mia passione per la lettura credo sia scaturita grazie a loro, gli unici, o quasi, che continuano ad alimentare perennemente il mio amore per il mondo letterario, la mia fame insaziabile, il mio bisogno di essere invasato dalle parole degli altri uomini, così lontani eppure tanto uguali a me; gli unici che non mi lasciano mai deluso, che insegnano sempre qualcosa, che mi rimangono dentro. Primo di una lunga serie, oggi voglio parlarvi di un trattato filosofico di uno delle più discusse figure dell'epoca imperiale romana: Seneca.
Il De Brevitate vitae, come la maggior parte dei Dialoghi, invita a intraprendere un percorso filosofico-formativo per liberarsi dai corrotti costumi della società romana e essere esempio di virtù, degli antichi "Mores Maiorum" che purtroppo non trovavano più spazio nell'angusta età imperiale, di quel concetto di Humanitas che tanto era stato divulgato da Cicerone. Il senso della fuga del tempo e della precarietà delle cose umane percorre tutta l'opera di Seneca, e il filosofo vi dedica non solo l'intero dialogo De brevitate vitae ma anche varie lettere delle Epistolae morales ad Lucilium: il dialogo sviluppato dal grande latino ha come tema centrale l'opposizione tra l'atteggiamento degli occupati - che scialacquano il proprio tempo in occupazioni futili - ed il sapiens che dedica il proprio tempo alla sola conquista della saggezza. E' una visione quella di Seneca ansiosa ed angosciata del tempo nel disperato bisogno di controllarlo ed esorcizzarne le paure sottese. Ineluttabilmente, anche se noi non lo vogliamo, il tempo scorre "come un fiume"."La maggior parte degli uomini protesta per l'avarizia della natura, perchè siamo messi al mondo per un briciolo di tempo,perchè i giorni a noi concessi scorrono così veloci e travolgenti che, eccetto pochissimi, gli altri sono abbandonati dalla vita proprio mentre si preparano a vivere....Si: non riceviamo una vita breve, ma tale l'abbiamo resa"
Nel trattato filosofico, Seneca riflette sul concetto di tempo e sull'uso che di esso ne hanno gli uomini, un uso inadeguato, avaro, irrispettoso. A differenza della maggior parte della massa, Seneca ritiene che non la natura, ingrata con gli uomini per aver concesso loro un'esistenza breve e effimera, ma noi stessi siamo causa di un tempo che corre troppo in fretta, che fugge e non ci lascia nemmeno il tempo per esalare l'ultimo respiro al momento della morte: noi siamo i colpevoli, noi siamo ingrati nel momento in cui ci lamentiamo di una condizione che noi stessi abbiamo procurato. Seneca nega che la vita sia breve, sostiene che essa appare tale a colui che non ne fa un buon uso, e che invece è abbastanza lunga, "satis longa" , e che, anzi, è anche troppo abbondante per coloro che sanno spenderla bene. Inoltre ricorda che siamo noi stessi che rendiamo breve la vita, impiegando il tempo che dovremmo dedicare alla cura di noi stessi, in attività pubbliche o private.La vita dev'essere spesa bene e Seneca fa il conto di tutti i "pezzi" di tempo sprecati, che doniamo agli altri e quindi sottraiamo a noi, concludendo che anche morendo centenari in realtà noi non viviamo che pochi anni e che riserviamo a noi stessi i rimasugli della vita."Rievoca nella memoria quando sei stato saldo nei tuoi propositi, quanto pochi giorni hanno avuto l'esito che volevi, quando hai avuto la disponibilità di te stesso, quando il tuo volto non ha battuto ciglio, quando non ha tremato il tuo cuore, che cosa hai realizzato in un periodo così lungo, quanti hanno saccheggiato la tua vita senza che ti accorgessi di quel che perdevi,quanto ne ha sottratto un vano dolore,una stolta gioia, un'avida passione, un'allegra compagnia, quanto poco ti è rimasto del tuo..."La lunghezza della vita non viene misurata "dai capelli bianchi e dalle rughe": quello non è vivere a lungo, è esistere a lungo. Tre sono i periodi della vita: passato, presente e futuro. Il presente è breve e inafferrabile il futuro incerto, il passato sicuro, perché acquisizione definitiva e immutabile. Tuttavia solo gli uomini saggi si volgono al passato volentieri, perché sanno di aver vissuto bene, sottoponendo tutte le loro azioni alla censura della coscienza e della sapienza. Al contrario, gli uomini "affaccendati", che trascorrono la propria vita dedicandosi ad attività inutili, come la politica ed il commercio, senza dedicarsi alla ricerca della sapienza, si rivolgono malvolentieri al passato, perché non osano riesaminare le proprie azioni, per non doverne valutare le manchevolezze. Solo coloro che si dedicano al conseguimento della saggezza fanno buon uso del loro tempo e sono gli unici che vivono veramente.