4 novembre 2013 • Recensioni Film, Vetrina Cinema •
Il consiglio di Maria Giorgia VitaleSummary:
La Jaula de Oro, un viaggio fisico e mentale
La Jaula de Oro (La gabbia dorata) diretto dello spagnolo Diego Quemada Diez, esce nelle sale italiane in un periodo non facile visti i film che stanno sbancando i botteghini negli ultimi giorni. Non è un blockbuster, ma siate certi che non vi pentirete di aver scelto di andare a vedere questo lungometraggio che, per giunta rappresenta l’esordio del coraggioso regista che ha raccontato una storia non semplice, ma estremamente interessante.
La Jaula de Oro narra di Juan (Brandon Lopez) e Sara (Karen Martìnez), due adolescenti dei quartieri poveri del Guatemala che hanno un sogno: raggiungere gli Stati Uniti d’America. Nel loro cammino attraverso il Messico incontrano Chauk (Rodolfo Domìnguez), un indio che non parla lo spagnolo e non ha documenti. Il viaggio sarà un lungo percorso pieno di ostacoli e imprevisti.
Distribuito in Italia da Parthénos, La Jaula de Oro è un’odissea avventurosa intrapresa da tre ragazzi che inseguono sogni e speranze “a stelle e strisce”. Tuttavia scopriranno a loro spese che non è tutto oro ciò che luccica. La pellicola potrebbe sembrare un documentario giacché è arricchita da testimonianze personali di centinaia di migranti, ma il regista è stato bravo a condurre questo racconto su un altro piano narrativo, quello del viaggio che assume due accezioni differenti: una riguarda il vero e proprio viaggio fisico caratterizzato da treni in corsa, da assaltatori, dal timore di essere stuprati e da quello di morire. L’altro significato è connesso ad un piano metaforico in quanto il viaggio rappresenta un percorso mentale di crescita e di consapevolezza al quale sono sottoposti i protagonisti del film, giovani solo a livello anagrafico, ma grandi perché la vita stessa li ha smaliziati fin da subito. Così, il vero viaggio è quello che si deve intraprendere all’interno di se stessi.
Il filo conduttore de La Jaula de Oro è la messa in discussione dei confini che non sono altro che barriere sociali e razziali, e il rischio di perdere la propria vita legato all’avventura che per molti ragazzi dei villaggi poveri dell’America Centrale e del Messico è, come ha affermato lo stesso regista, «una sorta di rito iniziatico». Ecco che la pellicola assume così un valore pedagogico: si impara a comprendere che siamo tutti uguali in quanto abbiamo tutti le medesime esigenze.
Con La Jaula de Oro Diez è riuscito a scuotere il mito americano che è ravvisabile nella teoria weberiana. La gabbia dorata non è altro che quella d’acciaio in cui gli uomini sono prigionieri e, inconsapevoli continuano a illudersi di poter occupare un territorio di un altro per sfruttarlo o guadagnarci. Ed è qui che arriva il messaggio diretto dal regista: forse più che conquistare l’altro, dovremmo conquistare noi stessi.
di Maria Giorgia Vitale per Oggialcinema.net
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