Ho recuperato, dopo che qualcuno a casa tempo fa lo aveva registrato tramite MySky (ok, facciamo un po’ di pubblicità gratuita, ma in fondo ne vale la pena!), il film “Acciaio” del regista Stefano Mordini, tratto dall’omonimo libro best seller dell’allora esordiente Silvia Avallone. Un film, a dispetto della tanta eco suscitata dalla diffusione e dal successo del romanzo in questione, in tono minore, sobrio e con tanti momenti di vuoto, un vuoto a più livelli, soprattutto di emozioni. Un vuoto generazionale, quello che si evince dagli sguardi delle due giovanissime protagoniste, dalle preoccupazioni delle loro silenziosi e quasi assenti madre, dal tormento del fratello maggiore di Anna, l’integro Alessio.
Ma laddove nel romanzo l’accento veniva posto in maniera sin troppo marcata e veemente sul desiderio delle due ragazze Anna e Francesca di lasciare una Piombino dominata dalla “fabbrica” per eccellenza, quella delle acciaierie Lucchini, per spostarsi al di là del mare, approdando sull’Isola d’Elba, nel film l’argomento rimane sottotraccia, percepito nei piccoli gesti quotidiani, nella routine giornaliera e annoiata che investe le due adolescenti. Quasi del tutto assente poi l’ambito sessuale, argomento minato e perno dell’intero libro, con Francesca alle prese con una cotta per l’amica del cuore che prevarica il senso dell’amicizia stessa. Chiaro, si è in un delicatissimo passaggio esistenziale, quello che va dalla pre-adolescenza alla giovinezza, e in fondo il regista, che si è avvalso della collaborazione della stessa Avallone in fase di scrittura del soggetto e sceneggiatura, ha voluto soltanto accennare alla cosa. Non c’è nulla di “glamouroso” in questa trasposizione filmica, e d’altronde anche il libro, nonostante l’enorme successo di vendite, non si prestava certo a diventare un fenomeno di costume o tantomeno commerciale. Nel libro abbondano i pensieri, le suggestioni, i dialoghi, nel film invece prevalgono i silenzi, le atmosfere, oscure e tetre se vogliamo, illuminate in parte dalla freschezza delle due protagoniste femminili, le semi esordienti Matilde Giannini, assai magnetica e perfetta per il ruolo di Anna e la più criptica Anna Bellezza, che veste i panni di Francesca, molto più presente nel romanzo che non in questo film. Convincente la prova del più affermato Michele Riondino, alias Alessio, lo sfortunato fratello di Anna, operaio alla Lucchini, mentre marginale è il ruolo della Puccini, che interpreta Elena, la ragazza dei sogni di quest’ultimo, passata al di là della scrivania all’interno dell’azienda.
Un film che per curiosità ho voluto vedere, dopo che il romanzo mi aveva convinto a metà. Trattandosi di un esordio letterario, ho compreso i motivi che hanno portato in luce il talento della Avallone che ha proposto un tema coraggioso, usando un linguaggio anche forte, crudo, nel contesto di una situazione piuttosto “estrema”, ma non mi ha fatto sobbalzare il cuore, come mi capita con la lettura di altri romanzi, tanto che la seconda prova dell’autrice, uscita l’anno scorso, non l’ho ancora acquistata, e forse quei soldi li spenderò per altri libri (solitamente però una seconda chance la do’ agli autori che incontro nella mia strada).