I milanesi detengono un record: hanno esportato fuori dai confini cittadini il termine schiscetta. Con essa s’intende l’oramai fashionissimo sottovuoto con dentro quelli che una volta erano gli avanzi mentre oggi son visti come manicaretti perfetti per sopravvivere alle mense aziendali che, con l’avvento della crisi, hanno limitato offerta e qualità. Insomma, siamo più poveri e quello che era un umile pasto si è tramutato in una consuetudine cool.
Gli abitudinari dei piatti casalinghi consumati fuori casa, saranno quindi contenti di sapere di aver diffuso un lemma sino a ieri incomprensibile ai più, di far parte di un gruppo in costante crescita e di aver ispirato storie di amore e speranza di talentuosi registi. È il caso di “Lunchbox”, film indiano, presentato a Cannes 2013 dall’apprezzato regista Ritesh Batra. Esordio al lungometraggio che, sfidando le abitudini del grande pubblico del proprio Paese, ha azzardato prendere una via diversa dal classico musical, favorendo una storia di amore dal retrogusto dolce e amaro, che non conosce strazi.
Ila e Saajan si conoscono in modo davvero singolare. Come particolare è scoprire che l’India vanti, sin dal lontano 1890, un’eccellenza unica: il trasporto dei pasti caldi dal domicilio alla scrivania di una moltitudine di impiegati che ogni giorno sfida intemperie e condizioni poco confortevoli pur di raggiungere il luogo di lavoro. Questi trasportatori sono rinomati per essere pressoché infallibili: oltre 5.000 consegne giornaliere, in barba ad eventuali monsoni, grazie ad una staffetta affidabile e precisa che non ricorda un errore.
I due protagonisti sono “vittime” di quell’errore su un milione: il pranzo che amorevolmente la giovane prepara per il consorte finisce nel piatto di uno gentile e attento contabile, un vedovo, prossimo alla pensione. Prende così il via un rapporto epistolare tipico di altri tempi, fatto di brevi ma intensi viavai di bigliettini. Anche dopo aver scoperto l’errore del fattorino, i due decidono di continuare la loro corrispondenza, sottovalutando le inevitabili conseguenze.
Lo scambio dei contenitori di cibo è l’occasione per venire in contatto con qualcuno che altrimenti non si sarebbe mai conosciuto, è quell’evento fatidico che cambia per sempre le nostre vite. L’amico di penna, senza volto ma comprensivo, infonde quel coraggio necessario per cambiare, sempre agognato e mai trovato. E i molti scorci dell’affollata Mubai, da un lato ci rammentano che l’incredibile possa accadere e dall’atro ci ricordano l’importanza dei rapporti umani. Ila e Saajan sviluppano un legame che coinvolge tutti i sensi, olfatto, gusto, tatto, udito e vista sino a toccare il cuore: il profumo di spezie fa emergere ricordi e frustrazioni, mentre tra un boccone e l’altro riaffiorano sogni e speranze, e questo è il motivo per cui, nonostante l’India sia distante, ci sentiamo vicini ai protagonisti.
“Lunchbox” è uno di quei rari casi in cui una pellicola sia riuscita a incuriosire e attirare un gran numero di spettatori sia in patria (e questo è un gran risultato nell’India in cui Bollywood regna sovrana) sia altrove, conquistando il pubblico e le giurie di numerosi prestigiosi Festival Internazionali, e oggi ne comprendiamo il motivo. L’opera è colorata come una commedia, dolce come un film romantico, intensa come un dramma, e vale un’eventuale gita in provincia alla ricerca di un cinema che la proietti.