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Recensione: Di chi è la colpa, di Alessandro Piperno

Creato il 14 ottobre 2021 da Gliscrittori
Recensione: colpa, Alessandro Piperno

Libri Recensione di Davide Dotto. Di chi è la colpa di Alessandro Piperno (Mondadori). La ricerca di un'identità in divenire, al di là di una certa concezione della legge, del giudizio e della colpa.

La differenza tra la vita che vivevo e quella che avrei potuto scrivere era tutta qui: la finzione mi offriva un'insperata possibilità, se non di dire a tutti i costi la verità, almeno di smettere di non dirla.Alessandro Piperno,
Di chi è la colpa
Certo che pacchia, poter star bene e scegliere di star male per vizio e dare la colpa agli altri, preferendo su tutti darla alla mamma...Aldo Busi,
El especialista de Barcelona

Di chi è la colpa è l'ultimo romanzo di Alessandro Piperno.


Nelle intenzioni è un romanzo vittoriano ambientato nei nostri giorni, non sono quindi casuali i richiami di un'autrice quale George Eliot (1819-1880).
A far da padrone è un tema che - vero e proprio terremoto - ha un suo epicentro, la colpa, e onde sismiche che si propagano oltre ogni dire, non risparmiando nulla che si trovi nei paraggi. Riguarda e divora ogni cosa. La voragine che si apre è la ricerca di senso di un universo sfaccettato, tipicamente borghese, che pur di non discendere in profondità si accontenta di sostare in superficie. Non studia il terreno su cui poggia i piedi, quasi fosse affare di qualcun altro.


Quel qualcun altro di solito è il colpevole, il diversamente responsabile, l'estraneo, il fuoriuscito, il ribelle, l'esiliato.
Il discrimine è tutto qui: il far parte di una cerchia, dentro la quale ci si sente al sicuro, protetti da una fitta rete di convenzioni, regole e leggi che incanalano più dimensioni.

Chi si pone al di fuori del gruppo cui in origine si appartiene è gettato in una sorta di limbo.

Difficile uscirne, se non avventurandosi negli abissi più profondi, in un altrove che ha tutta l'aria di un Purgatorio dantesco.
Punto di vista e voce narrante è un figlio, prima bambino, poi adolescente, adulto alle prese col senno del poi cui piace la novità ma non la routine.
Qual è il ritratto di questo figlio che di sé sembra non dire niente, e tenderebbe a occupare gli spazi vuoti di un puzzle il cui disegno è un rompicapo? La sua identità sfugge da tutte le parti; il ragazzo - la voce narrante - abbozza la propria fisionomia in ragione dell'ambiente e degli altri. Va alla ricerca di un modello cui vuole assomigliare, scandaglia in giro per scovare la propria essenza, il marchio di fabbrica privo di difetti da riconoscere come proprio.

Passa in rassegna la desolante e sconsolante quotidianità familiare, quella di tutti e di ciascuno, quando ancora si sognano meraviglie e si confida nella loro realizzazione.

Finché - tra le pieghe della giovane età - tutto ancora può succedere, e lo sguardo è rivolto a un altrove incantato, a una svolta.
Tutto sembra ristagnare. Gli anni scorrono uguali a loro stessi, a poco a poco si affaccia il sentore di una lezione male appresa. Il bambino, il ragazzo e infine l'uomo si concentrano su un mondo (ebraico e borghese insieme) che è un certo modo di essere, una dimensione che si allarga a dismisura, una pista d'atterraggio da cui non si decolla.
Tutto ruota intorno alle correnti d'ansia che lo avvolgono, al senso di inadeguatezza che chiama "turbolenta viltà romantica", alla poca dimestichezza dell'arte di stare a galla comunque: volgere gli eventi a proprio favore approfittando di "causalità favorevoli e unità d'intenti".

La colpa è una soltanto: non saper giocare le proprie carte, stare ai margini dell'ambiente piccolo borghese di cui si è (si vuole e si deve far) parte.

La figura dell'inetto che ha alimentato la narrativa del Novecento è quella verso cui si punta il dito. È il padre che ha fatto da modello e a cui non si deve assomigliare, perché riassume un ventaglio di possibilità negate. È il rifiuto di un nome e la speranza di attribuirsene un altro, di mutare casacca, famiglia e destino.
Giunge il momento in cui non è più questione di farsi scudo con i massimi sistemi che alimentano verità di comodo (e la propria comfort-zone), né di distribuire torti e ragioni a man bassa. La difficoltà è - in questo la scrittura aiuta e appiana - porsi su un piano differente e più alto, fino vedere la verità delle cose. Non le si deve guardare in faccia, però, perché se non le si sfugge, si viene pietrificati come con Medusa.

Alessandro Piperno e il suo personaggio si vestono quindi dei panni di Perseo che, lungi dal soccombere, cambia avviso e metodi, e la prospettiva si fa diagonale.

"In vena di confidenze", il protagonista/voce narrante recupera un ritratto alternativo non solo dei genitori, ma anche di sé. Si volta indietro non per recriminare, ma per mettere nuove e profonde radici, e di nuovo esaminare quello che è stato con una comprensione via via più nuova e ponderata.
Alla fine conquista quello che non si vede, il segreto di un'identità in divenire sottratta all'analisi psicoanalitica (la stessa che attribuisce ragioni e colpe, soprattutto ai padri, non di rado alle madri).

Chissà, forse anche per essere felici, come per amare liberamente, ci vuole un bel po' di carattere. Questo in termini generali. Nello specifico devo dire che, pur senza averne coscienza, già allora la felicità mi lasciava perplesso: e mica per la sua natura intrinsecamente fraudolenta, ma perché sembrava parlarmi non già di ciò che avevo ottenuto ma di ciò che ero in procinto di perdere.Alessandro Piperno,
Di chi è la colpa

Smette di cercare la risposta nella parte sbagliata, cambiano anche gli interrogativi.

Ciò lo spinge a capire cosa lo riguarda veramente, di cosa fa parte sul serio, e cosa significa essere ebreo a tutti gli effetti.

"Dopotutto sei figlio di un'ebrea" mi disse a conferma dei miei sospetti [...]Alessandro Piperno,
E un ebreo non può che essere tale, anche se non sa di esserlo, anche se non vuole esserlo.
Di chi è la colpa

È un'identità che si può acquisire ma non perdere, prescinde dall'etnia e dalla pratica religiosa, cosa che ben sapeva Franz Kafka. È connessa a una certa concezione della Legge (e della colpa). Legge, giudizio e colpa sono da sempre strumenti da maneggiare con cura.

Nulla di diverso avviene nel mondo piccolo borghese, col bisogno di sicurezza e di stabilità che lo permeano.

Alla fine sono gradazioni diverse lungo la medesima corda di violino, ci si muove già lungo l'unica sintesi possibile, la più accomodante. Ogni possibile oscillazione è neutralizzata in una dimensione tutta orizzontale.
Quando e se si suona un'altra nota, la situazione si chiarifica. Vengono alla luce risorse inaspettate: sono la musica, la scrittura, in attesa di esplodere nella propria personale rivoluzione.

Di chi è la colpa

Sinossi

Dare agli altri la colpa della propria infelicità è un esercizio di malafede collaudato, una tentazione alla portata di tutti. Ed è ciò che prova a fare anche il protagonista di questo romanzo. Almeno fino a un certo punto. Figlio unico di una strana famiglia disfunzionale, con genitori litigiosissimi e assediati dai debiti, è stato un bambino introverso, abituato a bastare a se stesso e a cercare conforto nella musica e nei propri pensieri. Cresciuto in una dimensione rigidamente mononucleare - senza mai sentir parlare di nonni e parenti in genere -, sulla soglia dell'adolescenza scopre che naturalmente un passato c'è, ed è anche parecchio ingombrante. Accade così che un terribile fatto di sangue travolga il protagonista facendo emergere i traumi fino a quel momento rimossi. Da un giorno all'altro entrerà a far parte di una famiglia nuova di zecca, in cui inaugurerà una vita di clamorosa impostura. Incontrerà personaggi affascinanti, viaggerà, frequenterà le migliori scuole e svilupperà un'insana passione per la letteratura, sulla scorta del disperato amore verso una cugina eccentrica, amante dei romanzi vittoriani. Ipocrisie, miserie, rancori e infelicità: pensava di esserseli definitivamente lasciati alle spalle, ma dovrà prendere atto che si tratta di veleni che infestano tutte le famiglie. Impossibile salvarsi. In questo romanzo scintillante, trascinante, commovente, Alessandro Piperno compie una magnifica sintesi delle sue identità romanzesche. Torna alla narrazione in prima persona ritrovando l'affabulazione pirotecnica, beffarda, iconoclasta del suo esordio, e la contempera con la vena introspettiva e dolente che percorre Il fuoco amico dei ricordi. Di chi è la colpa è il nuovo, bellissimo romanzo di uno dei più grandi scrittori italiani, vincitore del premio Campiello Opera prima, del premio Strega e, in Francia, del Prix du meilleur livre étranger.

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