è tempo di una nuova recensione!
Oggi voglio parlarvi di un romanzo che era nella mia TBR invernale, Ciò che inferno non è di Alessandro D'Avenia. Prima di questo romanzo non avevo letto altro di questo autore, escludendo alcuni capitoli di Bianca come il latte, rossa come il sangue, che non mi avevano fatta impazzire, ecco perché lo avevo abbandonato. Ma leggendo la trama del suo nuovo romanzo non ho resistito, dovevo leggerlo.
Ciò che inferno non è, edito da Mondadori, è uscito ad Ottobre 2014. Le pagine sono 317 ed il prezzo per il cartaceo è di € 19,00.
Federico ha diciassette anni e il cuore pieno di domande alle quali la vita non ha ancora risposto. La scuola è finita, l'estate gli si apre davanti come la sua città abbagliante e misteriosa, Palermo. Mentre si prepara a partire per una vacanza-studio a Oxford, Federico incontra "3P", il prof di religione: lo chiamano così perché il suo nome è Padre Pino Puglisi, e lui non se la prende, sorride. 3P lancia al ragazzo l'invito a dargli una mano con i bambini del suo quartiere, prima della partenza. Quando Federico attraversa il passaggio a livello che separa Brancaccio dal resto della città, ancora non sa che in quel preciso istante comincia la sua nuova vita. La sera torna a casa senza bici, con il labbro spaccato e la sensazione di avere scoperto una realtà totalmente estranea eppure che lo riguarda da vicino. È l'intrico dei vicoli controllati da uomini che portano soprannomi come il Cacciatore, 'u Turco, Madre Natura, per i quali il solo comandamento da rispettare è quello dettato da Cosa Nostra. Ma sono anche le strade abitate da Francesco, Maria, Dario, Serena, Totò e tanti altri che non rinunciano a sperare in una vita diversa... Con l'emozione del testimone e la potenza dello scrittore, Alessandro D'Avenia narra una lunga estate in cui tutto sembra immobile eppure tutto si sta trasformando, e ridà vita a un uomo straordinario, che in queste pagine dialoga insieme a noi con la sua voce pacata e mai arresa, con quel sorriso che non si spense nemmeno di fronte al suo assassino.
LA MIA OPINIONE
Quando hanno assassinato padre Puglisi, nel 1993, io avevo poco più due anni e di quella pagina della storia palermitana non ho ricordi miei. Per me Palermo all'epoca era il Giardino Inglese, i giri sulle giostre e la passeggiata, per me sempre noiosissima, in via Libertà insieme ai miei genitori una volta finiti tutti i gettoni.
I miei primi ricordi di Brancaccio invece risalgono a quando frequentavo le elementari. Ricordo la facciata di San Gaetano, le stradine, i vicoli, il passaggio a livello che osservavo guardando fuori dal finestrino dell'auto di mio padre. Pensare a Brancaccio mi riportava e mi riporta ancora in mente un colore, quel particolare grigio-verde dei muri di alcune case vicine al passaggio a livello, piccole, cadenti, con le persiane di legno scrostate.Proprio alle elementari, credo in quarta, le mie maestre ci hanno spiegato cos'era la mafia per come lo si può spiegare a dei bambini di dieci anni e ci hanno parlato di padre Puglisi, una figura che da allora ho incontrato più volte nel mio percorso personale e scolastico, soprattutto da quando ho cominciato a frequentare il Vittorio Emanuele, il liceo in cui padre Puglisi ha insegnato fino a poco prima della sua morte.E' proprio tra San Gaetano e questo mare di stradine intricate che la storia raccontata in Ciò che inferno non è prende forma. L'estate del 1993 a Brancaccio non sembra diversa dalle altre: Palermo è immersa nel solito caldo umido, quello che ti fa appiccicare i vestiti addosso nel breve tragitto da casa al panificio e tutto continua a scorrere lentamente, tra i bambini che davanti alle case abbandonate lapidano poveri cani randagi, picciotti che riscuotono il pizzo minacciando i commercianti, persone che affacciate ai loro balconi assistono quotidianamente alla violenza ma non fanno nulla per cambiare le cose. La mafia a Brancaccio ha radici forti e profonde, le persone hanno paura. Ma tra tutti i residenti di Brancaccio c'è padre Puglisi, un uomo che cerca di cambiare le cose, un prete che predica l'amore per il prossimo e che di paura non ne ha. Lui a Brancaccio c'è nato, sa come funzionano le cose. Potrebbe limitarsi a fare il prete e amministrare i sacramenti, invece prende a cuore i bambini e lotta per far aver loro una scuola media e degli spazi migliori delle strade in cui giocare. Oltre alla parrocchia ha aperto il centro Padre Nostro e ha sempre bisogno di una mano per gestirlo e proprio per questo alla fine dell'anno scolastico chiede a Federico, uno dei suoi alunni, di passare da lì per aiutarlo. Federico ha una valigia quasi pronta per un viaggio in Inghilterra e mille domande per la testa alle quali non ha ancora trovato risposta. Non sa ancora chi è, ma il suo viaggio a Brancaccio per aiutare gli ultimi che doveva essere di un solo pomeriggi, si trasforma in un viaggio lungo tutta un'estate. Brancaccio segna la vita di Federico dal primo momento, non può andarsene senza aiutare le persone che stanno lì. Così la sua vita si intreccia con quella di Don Pino, dei bambini del quartiere e soprattutto con quella di Lucia.Prima di leggere questo romanzo, se mi avessero detto che D'Avenia sarebbe riuscito a stupirmi non ci avrei creduto, ma raccontando questa storia c'è riuscito.Questo autore è riuscito a raccogliere in Ciò che inferno non è le mille contraddizioni della mia città, che dopo vent'anni dall'ambientazione del romanzo purtroppo persistono. Nel romanzo Palermo è allo stesso tempo bellissima e spaventosa, capace di splendere, inondata dai raggi del sole di una caldissima estate ma di contenere anche tanto orrore e tanto dolore. Una bellezza triste, capace di spezzare il cuore.
Così è Palermo: brilla nei quartieri luminosi di ricchi e arricchiti, mentre qualche metro più in là cresce l'inferno destinato a uomini la cui miseria è necessaria alla Mafia per dimostrare che lo Stato è un participio passato.
Per chi arriva a Palermo, tutto è porto. Ma per chi vi è nato: tutta partenza, tutta desiderio, tutta fuga. In cerca di quello che c'è dopo, mai soddisfatti nel tempo del mai.Con un linguaggio ricco, evocativo, quasi poetico, D'Avenia riesce a descrivere questa città in un modo che sembra dare voce a chi a Palermo ci vive da sempre e non ha parole per descriverla. Io per prima mi sono ritrovata a pensare quanto le sue parole fossero vere, le sue metafore azzeccate, le sue descrizioni perfettamente realistiche. Negli scorci che dipinge poco alla volta con le sue parole c'è un grande amore per questa città, ma anche un pizzico di amarezza nell'osservare questa bellezza triste, a volte dimenticata da noi stessi che in questa città ci abitiamo.Ma a fare la storia non è soltanto l'ambientazione.
Con una narrazione che passa dalla prima persona quando a raccontare i fatti è Federico alla terza, quando l'occhio si sposta sugli altri personaggi, tra cui padre Puglisi, alcuni dei bambini che vivono a Brancaccio tra cui Francesco, ma anche alcuni degli adulti del quartiere. Inizialmente non ero molto convinta di questo tipo di strutturazione, ma già dopo pochi capitoli mi sono resa conto di quanto bene funzionasse perché Federico è un personaggio che non può essere raccontato in terza persona. Con il suo amore per le parole, che sono l'unica cosa che lo tiene saldamente ancorato alla realtà ma che allo stesso tempo gli permettono di viaggiare con la fantasia, questo personaggio è unico nel suo genere. Ha mille domande che gli frullano per la testa, deve trovare sé stesso e ha paura che poco alla volta siano i suoi genitori a decidere quale strada debba percorrere. E' proprio grazie a padre Puglisi e all'esperienza al centro Padre Nostro che Federico capisce molto della sua città, della vita che le persone fanno a qualche chilometro da casa sua, al di là di quel passaggio a livello che sembra separare Brancaccio dal resto della città. Per questo rinuncia al suo viaggio in Inghilterra e sceglie di restare per aiutare, cosa che lo aiuterà a capire chi è e cosa vuole fare della sua vita.
Su don Pino credo ci sia poco da dire. E' stato un uomo straordinario pur facendo semplicemente il suo lavoro, una persona che ha saputo portare speranza e amore nella vita di persone che di speranza e amore non avevano nemmeno mai sentito parlare. Da ogni pagina di questo libro emerge questa figura come quella di un uomo semplice, ma che ci teneva tanto a migliorare le cose a a far del bene per gli altri, dimostrando che le persone possono cambiare anche semplicemente dando il buon esempio e un po' d'amore, come lui ha fatto con i suoi bambini.
Più volte nella mia vita, soprattutto nel mio percorso scolastico, ho incontrato questa figura e tante volte mi sono detta che sarei stata curiosa di conoscerlo di persona questo prete dalle orecchie grandi e dal sorriso caloroso, ma mi sono resa conto che almeno un po' lo conosco, anche se soltanto attraverso le parole di chi lo ha conosciuto e mi ha raccontato del suo esempio. D'Avenia è riuscito a raccontare 3P in un modo che ho molto apprezzato e che spero che abbiano apprezzato quei lettori che a questa figura la conoscevano soltanto in modo superficiale.Ciò che inferno non è è un romanzo che vi consiglio assolutamente di leggere, perché mi ha colpita positivamente e mi ha emozionata molto. D'Avenia ha un modo decisamente unico di raccontare i fatti e di descrivere le cose e le persone e una grande capacità di trasportare il lettore dentro questa storia, che è una storia bellissima e terribile, esattamente come Palermo, ma è anche una storia di denuncia e di speranza, anche per tutte quelle persone che a Brancaccio ci hanno vissuto per anni e soltanto negli ultimi hanno visto qualche piccolo cambiamento in positivo.
Da queste parti lo sappiamo bene che, parafrasando Tomasi di Lampedusa, le cose cambiano ma che spesso è tutta un'illusione per mantenere lo status quo, ma è bene non dimenticarsi che un seme importante come quello piantato da padre Puglisi prima o poi darà i suoi frutti. Lo ha già fatto ed io spero sempre che tutti ci impegniamo perché continui a farlo.