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Informazioni sul libro
Titolo:Sergio Bitar
Pubblicato da:Sandro Teti Editore
Collana:Historos
Genere:Biografia
Formato e pagine:
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È la drammatica cronaca delle condizioni di vita e delle esperienze quotidiane degli alti dirigenti politici e sociali del governo di Unidad Popular di Salvador Allende che sopravvissero al golpe di Pinochet dell’11 settembre 1973. Deportati su un’inospitale isola della Patagonia, 17 anni dopo ricostruiranno la democrazia in Cile.
L’11 Settembre del 1973, con un golpe militare, Pinochet rovescia il governo del presidente Allende e prende il potere in Cile.
Nei giorni immediatamente successivi, ministri del governo, collaboratori, oppositori della dittatura e semplici cittadini democratici vengono arrestati con uno stratagemma, un bando pubblico per la richiesta di presentazione. Privati della loro identità (il loro nome sostituito da un numero), saranno costretti a vivere in condizioni impossibili da cui si salveranno grazie alla loro forza di volontà e all’aiuto provvidenziale della Croce Rossa internazionale.
Tra i prigionieri anche Sergio Bitar, allora giovane ministro delle miniere, membro e fondatore del Partito per la Democrazia (Ppd), che viene arrestato e rinchiuso per più di un anno, insieme ai principali collaboratori di Allende, a Isola Dawson, il più meridionale campo di concentramento della storia, in condizioni climatiche paragonabili a quelle della Siberia, che il protagonista è costretto ad affrontare armato solo di giacca cravatta e mocassini.
Dawson Isla 10 è il fedele resoconto della sua prigionia, scritto di getto nei mesi immediatamente successivi alla detenzione (nel periodo di reclusione, infatti, ai prigionieri era proibito avere carta e penna) e solo successivamente rielaborata. Nelle tinte neutre della cronaca, Bitar descrive gli interrogatori, le privazioni e i soprusi sul piano fisico e psicologico a cui è stato sottoposto insieme ai suoi compagni. Le sue parole costituiscono non solo un’importante testimonianza storica e politica, ma anche una toccante vicenda umana.
Quello che colpisce rispetto ad altri celebri diari di prigionia, a mio parere, è infatti la commovente solidarietà che tiene uniti i prigionieri. Nonostante le condizioni drammatiche, la durezza della natura, le giornate di lavoro sfiancante, la fame e l’insensatezza della loro condizione, i personaggi non perdono mai di vista la propria umanità; al contrario, lottano strenuamente gli uni per gli altri, non solo per rimanere in vita ma anche per conservare la loro dignità di uomini.
Liberato nel 1974, dopo oltre un anno di detenzione senza processo né accuse precise, Sergio Bitar viene rilasciato e costretto all’espatrio. Esule per dieci anni, vive prima negli Stati Uniti e poi in Venezuela, dove si dedica con successo all’attività imprenditoriale. Nel 1984 rientra finalmente in Cile, e milita nell’opposizione di centro-sinistra alla dittatura di Pinochet.
Dal libro, già tradotto in molte lingue, è stato tratto l’omonimo film del 2009.
Approfondimento
Nella prefazione all’opera, Walter Veltroni definisce Dawson Isla 10 un libro “bello e terribile nella sua pacatezza che rifugge le emozioni senza però cancellarle”. Mi pare una buona definizione. Inizialmente, in effetti, si rimane un po’ spiazzati di fronte al tono piatto con cui Bitar racconta la tremenda avventura sua e dei suoi compagni. Per una vicenda tanto drammatica e sconvolgente, ci si aspetterebbe forse un po’ più di pathos.
In realtà, Bitar rivide il proprio diario tra il 1984 e il 1986, cioè a più di dieci anni dalla fine della prigionia. In questa occasione, l’autore e i suoi collaboratori, pur cercando di mantenere lo stile di cronaca originario, operarono “per smorzare qualche tono forse troppo appassionato, alcune espressioni cariche di ineludibile emotività. Con il passare degli anni quel fervore stava svanendo, per far emergere con tutta la loro potenza i fatti in sé, spogliati di ogni aggettivo.”
Ecco quindi spiegata la scelta stilistica dell’autore: rinunciare all’enfasi delle parole per dare pieno risalto alla potenza degli avvenimenti. Che in effetti non hanno bisogno di alcun ulteriore commento.
Giulia Mandrioli
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Una foto pubblicata da Leggere a Colori (@leggereacolori) in data: 10 Lug 2015 alle ore 02:47 PDT