E’ stata davvero una piacevole sorpresa quella regalatami dall’ascolto del duo “La Bocca” che con il loro minimale esordio “Due”, uscito sotto egida dell’etichetta bresciana (luogo di provenienza dei titolari Jean Riva e Alessandra Lancini) KandinskyRecords sono riusciti letteralmente a incantarmi. I due precedentemente erano già entrati in contatto con il titolare dell’etichetta Paolo Bruno quando entrambi suonavano ne “L’ Ultimo piano”, dove in parte già si potevano cogliere certe sfumature e trame ben espresse e coltivate in questo interessante esordio, un disco in cui sono sfociati tutti i “talenti” nascosti dei due. Otto brani a comporre un progetto davvero insolito per la musica italiana, se escludiamo forse le sperimentazioni dell’altra coppia artistica che si muove su passi simili eppure diversi, vale a dire gli affermati ed acclamati Petra Magoni e Ferruccio Spinetti. Già, solo in parte però l’accostamento fra i due progetti può venire naturale, laddove uno consta di voce e contrabbasso e qui invece la Lancini e Riva si cimentano alla voce e al basso. Ma i due in questione, invece di offrire prove convincenti quanto ostiche all’ascolto, si “limitano” a proporre un pop raffinato, sofisticato, eppure semplice, capace di giungere al cuore dell’ascoltatore e non solo alle orecchie, deliziandole in pezzi armoniosi, sinuosi, dal respiro ampio, nonostante gli arrangiamenti siano necessariamente scarni, trattandosi in pratica di un solo strumento utilizzato. Riva è autore di sei brani, testi e musica. Parole che sono lineari, chiare, inneggianti in più casi all’amore. Non giochi arzigogolati dal punto di vista letterario ma frammenti di poesia nell’eponima “Due”, fluida e rassicurante al cospetto di una stupenda “Rispetto a noi”, invero piuttosto sognante e malinconica. “La vita è un ascensore”, corredata pure da un simpatico video, è più conturbante e obliqua mentre mantengono standard elevati a livello qualitativo “Mai” (dove ai cori fa capolino anche la voce dello stesso Riva) che, anche se leggermente disillusa, per non dire venata di una punta di pessimismo, non scade mai nell’opprimente e la ritmata, solare e positiva sin dal titolo ossimorico “Una notte al sole”, anche questa cantata a due voci. Tutte tracce dove spiccano le doti compositive dell’uno e la grazia, la delicatezza e la limpidezza della voce dell’altra, priva di alcuna sbavatura. A completare il disco due riuscite cover, molto distanti tra loro da un punto di vista temporale e stilistico. Una è del maestro Jacques Brel, l’altra dei più onirici e cupi Depeche Mode. Due mondi apparentemente inconciliabili ma resi magistralmente nello stesso mood dai due, così che, ascoltando “Never let me down again” e la classica, celebre “La Chanson des vieux amants” pare davvero siano state estratte dalla stessa penna. Un esordio clamorosamente uscito in sordina, senza la giusta attenzione che avrebbe meritato e purtroppo poco valorizzato anche da certa stampa di settore che dovrebbe quanto meno stare attenta a uscite di questo genere. Poi però mi dico che di uscite discografiche ce ne sono davvero sin troppe, ed è difficile star dietro a tutto. Ed è un vero peccato che, a causa di questo ingolfamento selvaggio a cui stiamo assistendo da un lustro a questa parte, a essere penalizzate siano gemme così preziose.