81 Flares 81 Flares × Giulietta non ama RomeoRoberta Manzoni
Pubblicato da0111 edizioni
Data pubblicazione in Italia:
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Collana:LaBianca
Genere:DrammaticoNarrativa Contemporanea
Pagine:
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La trama:
Il drammatico racconto dell'infanzia di Pompea, vissuta nel degrado dello squallido quartiere romano Laurentino, del meraviglioso rapporto con la sorella Sesta, affetta da sindrome di Down, e dei successivi anni in un collegio femminile. Una storia dolorosa che lascia il segno.
Il nome Pompea deriva dal latino e significa “quinta nata”. E’ con questo nome che Giulia, giovane donna del Laurentino, chiama una figlia che, pur essendo effettivamente nata per quinta, è la prima dei suoi figli a rimanere con lei e a non essere venduta. Nata per quinta, ma figlia unica almeno fino alla nascita di Sesta, una sorellina dolcissima affetta dalla sindrome di Down. Pompea, Sesta e Giulia sono una famiglia senza padre, una disordinata società in nuce in cui la più grande delle figlie è costretta a far da madre a sua madre e alla sorella malata. Giulia, costantemente ubriaca o drogata, si trascina dal materasso sporco alle sedie e di nuovo al materasso, prigioniera di se stessa e di una casa che è una stanza soltanto. Sin dalla prima infanzia, gli occhi di Pompea perdono il loro velo d’innocenza e si abituano a incrociare lo sguardo dei luridi amanti di sua madre, a intuirne le perversioni. Giulia non ha granché da insegnare a sua figlia, la cui educazione si concentra in un’unica frase: “Giulietta non ama Romeo”. Di Romei ne sono passati tanti, in quella sporca casa al Laurentino. Romei approfittatori, sporchi dentro, uomini che Giulia non ha mai amato né amerà mai. Pompea si abitua sin da piccolissima a detestare il genere maschile e, per reazione, impara non solo a non temerlo ma anche a difendersi: un coltellino diviene suo fedele amico negli anni scolari. Costretta a crescere troppo presto, impara a corazzarsi e ad affrontare il mondo a muso duro. L’unico essere umano che può godere della sua tenerezza e delle sue amorevoli cure è Sesta, simbolo d’innocenza e purezza. Chiusa nel bozzolo della sua malattia, Sesta custodisce in sé il mondo come dovrebbe essere. Imperfetta nel corpo, è poesia della perfezione, destinata a soccombere alla violenta prosa della realtà. Pompea sembra essere condannata ad un destino di dolore e degrado; tuttavia, la curiosità e l’amore per il sapere che dimostra tra i banchi di scuola suscitano l’interesse di un’insegnante che, pur di salvarla da sua madre e dal quartiere nel quale vive, si offre di pagarle la retta di un prestigioso collegio gestito da suore. Cambiando contesto, però, la vita di Pompea non si scrollerà di dosso il peso della sofferenza. Il collegio, infatti, nasconde insidie e malelingue, dispetti crudeli tra compagne di scuola e aggressività. Disposta a tutto pur di difendere sua sorella Sesta, Pompea si trasformerà in una guerriera della vita, una giovanissima donna che a dieci anni è già vecchia e ha già conosciuto tutte le sfumature più cupe del dolore vero.
Il romanzo di Roberta Manzoni è un calcio che spazza via i falsi buonismi e le tiepide certezze borghesi, spogliando la realtà per rivelarne gli aspetti più oscuri e nascosti. Il racconto di Pompea scorre velocissimo, lo si legge in pochi giorni; il difficile è liberarsi dei personaggi, mandarli via dal cuore dopo aver voltato l’ultima pagina. Pompea non va via: lei è un personaggio che s’incide nel cuore e, ancora di più, lo è Sesta. In una realtà che conosce il male in ogni sua gradazione di colore, Sesta è un angelo destinato a tornare al cielo, una marqueziana Remedios La Bella, troppo pura per restare nel fango. Lei diviene da subito, nello stesso tempo, il punto di forza e di debolezza di Pompea. E’ il punto di forza perché non c’è vita senza lei, perché lo svegliarsi ogni mattina nel degrado di quell’orribile casa è soltanto desiderio di incrociare il suo sguardo. Lei, però, è anche un punto di debolezza: i nemici di Pompea sanno perfettamente che, per colpirla, è sufficiente ferire Sesta. Il legame tra le due ragazze non è un semplice rapporto sororale: il loro è l’Amore universale, il Primo motore immobile del mondo. E’ un sentimento che ingoia tutti i sentimenti e che è amore di madre, sorella, nonna, amica. La speranza finisce dove finisce Sesta.
Giulietta non ama Romeo è un romanzo interamente femminile. Ho apprezzato moltissimo il modo in cui l’autrice ha delineato il profilo di Giulia. A conti fatti, la madre di Pompea è un’alcolizzata e tossica che non ha saputo vivere la sua vita. Non è questa, però, la sensazione che il lettore ricava dalla prosa della Manzoni: Giulia è una potenziale Giulietta shakesperiana che non ha potuto vivere appieno se stessa. E’ protagonista di una tragedia fatta di povertà, abusi, infanzia e adolescenza bruciate. Giulia non dev’essere condannata: lei è il risultato di una serie di circostanze che nessuno ha il potere di giudicare. Interessantissimo è anche il personaggio della vicina di casa, donna tutta d’un pezzo che nasconde in sé un immenso dolore. Pompea si sente molto vicina a questa donna che viene dall’Est e che l’ha vista nascere e in lei, nelle rughe sofferenti che solcano il suo viso, riconosce il suo destino.
Ci sono libri i cui messaggi sembrano quasi contraddire le vicende narrate. Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij sembra un racconto di morte e invece è un inno alla vita. Giulietta non ama Romeo è confezionato come un grido di disperazione ma è un canto di speranza. Pompea è eroina di una tragedia contemporanea e, nella sua storia, si rincorrono amore distruzione e morte in un eterno ritorno; un lettore disattento potrebbe dire “qui non c’è nulla da sperare” e invece è in Pompea, la speranza. E’ in lei che, dopo la morte di una madre che non è mai stata viva, rientra nella casa dell’infanzia e porta con sé le scarpe di vernice rossa che Giulia amava tanto. E’ in lei che non si arrende, che compra le medicine per Sesta, che la protegge dalla crudeltà di un collegio per ragazze di buona famiglia. Pompea è vita che sfida la morte e, seppur non è detto che vinca, è vincente anche solo per aver tentato, per i segni della lotta che le cuciono cicatrici sotto la pelle.
Credo che i romanzi si dividano tra “libri di carta” e “libri di carne”. I libri di carta sono quelli che finiscono con l’ultima pagina e che non lasciano nulla se non un vago ricordo del titolo. I libri di carne hanno una prosa che è bisturi: tagliano e non ricuciono, aprono vuoti e costruiscono nuove consapevolezze. Questo è un libro di carne. Centotrentasei pagine per raccontare tutta la morte che è nella vita ma, soprattutto, tutta la vita che è nella morte.