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Recensione di Hotel Calcutta di Sankar (Mani Shankar Mukherjee)

Creato il 19 agosto 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

7 Flares 7 Flares × Recensione di Hotel Calcutta di Sankar (Mani Shankar Mukherjee)Hotel CalcuttaSankar
Pubblicato daNeri Pozza
Data pubblicazione in Italia:
Formato:
Collana:Le tavole d'oro
Genere:Narrativa Contemporanea
Pagine:
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La trama:

Sankar è un ex babu che, dopo aver perso il lavoro, riesce a farsi assumere come segretario nell’hotel Shahjahan, il più antico e prestigioso di Calcutta. Nei suoi mesi d’impiego in questo particolare universo, incontra molte persone, e ne racconta le relative storie.

Come si può facilmente immaginare dal titolo Hotel Calcutta, siamo a Calcutta, negli anni Cinquanta, in un hotel, più precisamente l’hotel Shahjahan. Questo è un hotel con molta storia impregnata nelle sue mura, al cui comando si sono susseguiti molti uomini, ognuno con le proprie opinioni, ma tutti con un unico obiettivo: mantenere alto il nome di quel luogo e fare in modo che resti nel tempo un punto di riferimento per gli ospiti della città.

Sankar, un giovane ex babu indiano, è uno degli ultimi assunti allo Shahjahan. Dopo la morte dell’avvocato inglese per cui lavorava, Sankar è costretto a cercarsi un nuovo lavoro, ma la cosa non è così facile nel mercato di Calcutta: si ritrova addirittura a vendere cestini per la carta porta a porta. Ma la fortuna a volte gira, e Sankar s’imbatte in Byron, un “detective” inglese, che sa della fuga segreta di una segretaria all’hotel e quindi della posizione lavorativa scoperta. Byron si presenta quella sera stessa a Marco Polo, il direttore dell’hotel, con la richiesta di assumere Sankar e da questo momento comincia l’avventura. Avventura… per modo di dire. In realtà tutto il libro è solo una serie di racconti delle persone che Sankar incontra: tutte hanno qualcosa a che fare con l’hotel (alcune vi alloggiano più o meno regolarmente o altre vi lavorano), e Sankar ci presenta il loro passato e gli eventi che li vedono protagonisti nel presente. C’è chi ritrova se stesso, chi si perde, chi comincia a vivere e chi invece s’innamora. Scopriamo la storia del nuovo Marco Polo, conosciamo il lato tenero di Bose-da, impeccabile responsabile della reception, incontriamo Connie, una delle “donne nude” del cabaret, e il suo nano, e poi ci sono una bellissima hostess, un barman che un tempo aveva dei sogni, l’accompagnatrice della suite 2 innamorata dell’uomo sbagliato e una società talmente complessa e varia da essere quasi asfissiante.

Tutto il libro Hotel Calcutta è stato come osservare lo scorrere della vita di molte persone, rimanendo però seduta in un angolo della magnifica hall dell’hotel, con i piedi posati su tappeti persiani e con un the fumante sul tavolino. Non c’è nessuna trama precisa, come d’altronde è la vita: s’incontrano persone, si salutano con educazione, per quanto ci è possibile le si aiuta, oppure ci si fa aiutare. È un libro meditativo, che mostra quanto può succedere nella vita di una persona senza che ci si renda veramente conto.

Forse, quando si arriva verso la fine, si comincia a risentire di tutte quelle parole, ognuna impregnata con un odore diverso, di alcol, the o soffitta che sia. Si comincia a non percepire più nulla, o comunque poco, di tutto quello che sta succedendo. Probabilmente si trattava anche di un bisogno dell’autore, poiché si può dedurre che sia un libro abbastanza.

Come molti libri di ambientazione orientale, è spesso difficile tenere a mente tutti i nomi delle persone e ricontestualizzarli nel momento in cui si ripresentano nella storia. Certamente dopo un po’ si comincia a prendere confidenza anche con tutti questi nuovi personaggi, ma non è un passaggio così immediato naturale come può accadere in altri libri. Alla fine degli anni Sessanta da Hotel Calcutta è stato tratto anche un film, Chowringhee (titolo originale del libro).



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