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Recensione di La storia segreta della rivoluzione (Vol. 2): Un posto più sicuro di Hilary Mantel

Creato il 11 dicembre 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

10 Flares 10 Flares × Recensione di La storia segreta della rivoluzione (Vol. 2): Un posto più sicuro di Hilary MantelVoto:
Informazioni sul libro
Titolo:Hilary Mantel
Pubblicato da:Fazi
Collana:Le strade
Genere:Romanzo Storico
Formato e pagine:
Social:Goodreads
Disponibile su:
in offerta
scontato
Trama:

Rivoluzione francese. Dopo la caduta della Bastiglia verso la Repubblica.


No. Io non odio. L’odio offusca il giudizio.

Dopo la caduta della Bastiglia, in una Parigi divenuta campo di battaglia su cui scorre il sangue dei linciaggi e delle esecuzioni sommarie, la giovane generazione di rivoluzionari si trova ll’improvviso sulla soglia della fama e del potere: Camille Desmoulins la cui effigie è stampata sui piatti di porcellana e sui ventagli, impegna la sua penna caustica per incitare alla ribellione; Danton, acclamato padre della patria, viene eletto al servizio della città e cerca di imporre le leggi rivoluzionarie; Robespierre, amato dagli strati popolari, continua imperterrito la sua opera, circondato sia dallo sconcerto degli amici sia dalla più profonda diffidenza dei colleghi deputati per il suo disprezzo del denaro e la fede incrollabile nelle proprie idee. Né il corpo dei regnanti né i luoghi in cui abitano son più sacri. La tanto agognata repubblica è sempre più vicina.
Ma nessuno sa ancora quale sarà il prezzo da pagare.

Cosa può esserci di più coinvolgente ed affascinante della storia?! se poi si tratta della rivoluzione francese ancor di più. Spesso i romanzi storici sono piuttosto ardui da affrontare, nonostante gli intrecci, questo al contrario scorre fluido, gli avvenimenti ed i fatti storici seguono con un ritmo incessante e travolgente. Ci si appassiona alle vite dei personaggi e alla loro evoluzione e purtroppo anche alle scelte, giuste o sbagliate, che vengono prese. Una riflessione sulla storia e sul potere e soprattutto sul prezzo, a volte troppo caro, che gli ideali e gli obiettivi fanno pagare ai loro protagonisti. La scrittrice ha la grande capacità di entrare nei personaggi storici e farne vivere ogni sfaccettatura, ogni forza ed ogni debolezza restituendone la dignità di uomini che i libri di storia seppelliscono.

 

Approfondimento

Continua la pubblicazione del grande romanzo sulla Rivoluzione Francese dalla penna della più grande scrittrice inglese vivente, vincitrice di due Man Booker Prize con i precedenti romanzi storici, Wolf hall e Anna Bolena, una questione di famiglia. Un potente affresco dell’evento fondante della società moderna. Il primo capitolo della storia della Rivoluzione ha già venduto 300.000 copie in Inghilterra e Hilary Mantel è stata annoverata dal «Time» tra le 100 persone più influenti del 2013.

Hilary Mantel è autrice di tredici romanzi. I suoi due più recenti, Wolf hall e Anna Bolena, una questione di famiglia sono stati entrambi insigniti del Man Booker Prize, il più prestigioso premio letterario di lingua inglese. Un posto più sicuro è la seconda parte di un’imponente opera sulla Rivoluzione Francese, di cui Fazi Editore ha già pubblicato la prima parte.

«Hilary Mantel non scrive romanzi storici. Prende un periodo storico, lo attraversa per anni studiando ogni documento possibile, ne studia i personaggi e poi racconta la loro storia come se fosse un testimone del loro tempo, trasformandoli in persone vere […] Meravigliosa scrittrice… trascinante, poetica, crudele, stordente».
Natalia Aspesi, «Elle»

«Jane Austen, Virginia Woolf, Hilary Mantel. Sappiamo chi sono le prime due. Potrebbe essere il momento di conoscere meglio la terza donna più importante della letteratura inglese».
Enrico Franceschini, «La Repubblica»

Trascrivo per voi la nota finale del romanzo dove la scrittrice racconta della sua “avventura” nella Rivoluzione francese:

“Ho cominciato a scrivere romanzi nel 1974. Avevo ventidue anni e ho scelto la Rivoluzione francese perché pensavo che fosse la cosa più sorprendente e interessante accaduta nella storia universale. Quarant’anni dopo sono ancora alla ricerca di un avvenimento che mi susciti maggior sorpresa. Quando oggi andiamo a visitare Versailles, la sua agghiacciante grandiosità è rimasta intatta. Le mura, le pareti trasudano ancora l’alterigia dell’ancien régime. È noto che la Francia del 1789 era quasi alla bancarotta, che il terreno per la Rivoluzione era pronto: eppure viene da chiedersi, come hanno osato? Uomini, donne normali contro quel potere, quella certezza, quella presunzione di diritti acquisiti da così lungo tempo? L’impressione resta sempre la stessa.

La Rivoluzione è stata opera di migliaia di uomini e donne senza nome, ma molti dei capi, i cui nomi sono stati affidati alla storia, erano giovani e senza esperienza. Antoine Saint-Juste aveva ventisei anni e non aveva mai lavorato, se non come rivoluzionario. Danton e Robespierre ne avevano poco più di trenta quando sono stati divorati dalle forze che loro stessi avevano scatenato. Nel 1789 erano abbastanza giovani da conservare intatte le loro ambizioni e i loro ideali, ma non così giovani da non conoscere il gusto dell’insuccesso e della frustrazione. Le persone di cui seguo la storia sono rimaste coinvolte in una rivolta politica ma anche personale: contro la famiglia, le loro origini, le regole entro cui erano costretti e la loro stessa natura. Ho scelto di scrivere di tre giovani nati nella classe borghese colta. Forse oggi non prenderei la stessa decisione; o piuttosto, mi sarebbe più difficile giustificarla. Il nostro modo di ricostruire la storia di quell’epoca adesso è cambiato. Abbiamo più attenzione per i lavoratori che hanno preso parte alla rivoluzione, per le donne. Ma una romanziera non è davvero in grado di scrivere sui movimenti di massa. Deve scegliere un viso tra la folla. E individuare a chi appartiene e seguirlo fino a casa.

La storia è cambiata anche sotto altri aspetti. I piccoli fatti che avevo riportato alla luce con gran fatica, e che con fatica ancora maggiore avevo controllato, ora possono essere scoperti e verificati battendo qualche tasto di computer. Può essere ordinata un’intera biblioteca restando seduti al proprio tavolino. Allora sono preoccupata di aver commesso degli errori o, non avendo avuto a disposizione tutte le fonti, di non aver neanche trovato il materiale giusto. Gli errori di poco conto si possono correggere. È la storia nel suo complesso a cui devo restare fedele. L’ho scritta per i miei conterranei britannici che preferiscono farsi un’idea della Rivoluzione leggendo un genere di narrativa più fastosa e benevola, regressiva nelle idee e compiaciuta di sfruttare il senno di poi. Si versano lacrime per gli splendidi aristocratici, ma non se ne ha neppure una per i piccoli lottatori sudici che tanto fascino esercitano su di me. Volevo riequilibrare un po’ le cose.

È difficile sapere come verrà letto il libro negli altri paesi. C’è voluto tempo prima che quest’impresa si facesse strada. Ho steso le prime due versioni che non avevo ancora ventisette anni, all’incirca l’età delle persone di cui scrivevo. Ne avevo quaranta alla pubblicazione; un’età che loro non avevano raggiunto. Nel frattempo sono trascorsi altri vent’anni. Oggi questo libro non riuscirei più a scriverlo. Non riuscirei a ritrovare, a sentire dentro di me quello che avevano provato quei giovani: l’entusiasmo di fronte alla prospettiva di un nuovo ordine, di un mondo più pulito e più giusto. Oggi mi sentirei obbligata a essere più ironica e selettiva: a concentrare la mia attenzione su un campo più ristretto. Nel contempo però sarei preoccupata per ciò che resta fuori. La mia Rivoluzione ha come centro Parigi. È talmente tanto quel che c’è da dire sulla capitale, sulle poche strade percorse dai miei rivoluzionari, che m’avventuro appena fino alle frontiere del paese, e ancor meno fino alle colonie.

Quando ho cominciato a scrivere il romanzo uscivo da tre anni di giurisprudenza, ma come molti dei miei personaggi non ero riuscita a diventare avvocato e non avevo grandi prospettive davanti. Simpatizzavo con le cause abbracciate dalla sinistra ma come potenziale rivoluzionaria ero un po’ in ritardo. Sono approdata all’università due anni dopo il tumultuoso attivismo del 1968, in un periodo in cui l’idealismo era stato rimpiazzato dalla stanchezza e dall’apatia. Forse mi sono sentita in obbligo di rielaborare il passato in forme sperimentali, di fondere l’allora e l’oggi, il personale e il politico, di esplorare quello che sarebbe potuto essere e quello che poteva ancora essere. La Rivoluzione francese non smette mai di esistere. Questo è il pensiero che mi ha sostenuto mentre da scrittrice attraversavo il mio deserto. Mi ci sono voluti più di dieci anni per arrivare alla prima pubblicazione e anche quando è accaduto è stato con un libro assai diverso da questo.

Oggi, se cominciassi a scrivere un romanzo, non avrei lo stesso folle coraggio. Forse esigerei meno dal mio lettore. Adatterei il tema alle mie capacità. Ma quando ho iniziato non sapevo quali fossero. Di fronte alle sfide poste alla mia perizia di narratrice tenterei, come i più recenti rivoluzionari, qualsiasi strada sembri funzionare. Scrivendo questa storia ho imparato quello che devono imparare i rivoluzionari: il bisogno di fare compromessi, le pressioni che esercita l’opportunismo. Spero che i compromessi non abbiano oscurato l’impresa e che continuino a brillare i riflessi dell’ambita gloria.”

Isabella D’Amore

Hilary Mantel

è nata a Glossop, nel Derbyshire, nel 1952. Scrittrice prolifica, ha esordito nel 1985 con Every Day is Mother’s Day e molti dei suoi romanzi sono stati finalisti a importanti premi letterari, primo tra tutti l’Orange Prize. Hilary Mantel è stata inserita nella lista delle 100 persone più influenti al mondo secondo il Time.

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