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Recensione di Se questo è un uomo di Primo Levi

Creato il 06 luglio 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

30 Flares 30 Flares × Recensione di Se questo è un uomo di Primo LeviSe questo è un uomoPrimo Levi
Pubblicato daEinaudi
Data pubblicazione in Italia:
Formato:
Collana:Super ET
Pagine:
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La trama:

Si tratta, come è noto, del racconto dell’esperienza atroce di Primo Levi, torinese di famiglia ebrea, vissuta dentro un non luogo, il lager di Auschwitz, lì dove tutti i bisogni vengono calpestati, annichiliti, annullati, fino a creare ombre fatue, che sono fame vivente. Lo scrittore, chimico, datosi alla macchia l’8 settembre, fu catturato dalla milizia fascista il 13 dicembre 1943. Ebreo, oltre che partigiano, fu consegnato ai nazisti che lo deportarono ad Auschwitz. Per sua fortuna, nel 1944 il governo tedesco, vista la crescente scarsità di manodopera, stabilì di prolungare la vita media dei deportati, comunque da eliminare. La sua laurea in chimica fece il resto. Per questo sopravvisse, uno dei pochi, e tornò a casa, come si racconta nell’altro testo La tregua.

Credo che tutti almeno una volta nella vita debbano leggere Primo Levi, non solo per il valore di testimonianza storica diretta in un’epoca di relativizzazione del tutto e di nichilismo strisciante, in cui forte e presente deve essere la memoria degli orrori della storia, ma anche per il pregio della scrittura che graffia l’anima, la attraversa, vi incide con caratteri indelebili un monito perenne: mai più! Mai più dovere assistere alla violenza inaudita, ai progetti manicomiali di sterminio di una razza, e non venite a dire che anche che anche i Comunisti hanno perpetrato simili eccidi; i morti non si contano, non si pesano, non si catalogano, di fronte a loro bisogna tacere e meditare. Leggere Levi aiuta a capire quel che è stato il più feroce sterminio, sostenuto da un progetto studiato scientificamente a tavolino con la ragione assente e il furore cieco negli occhi. Nessuno mai se non il popolo tedesco ha pensato di sterminare un intero popolo, togliendoli ogni dignità, svuotandolo dentro, annichilendolo psicologicamente, fino a farlo coincidere con quella di nebbia perenne di Auschwitz, sì proprio lì dove è inciso in modo inverecondo e folle: Il lavoro libera. Rileggete Se questo è un uomo e non solo la toccante poesia iniziale, ma tutto il diario, parola per parola e poi ditemi se si può perdonare.

Io dico la mia: quel popolo tedesco non l’ho mai perdonato e provo una avversione ben giustificata e ancoro lo temo ( Timeo Danaos et dona ferentes!). Amo la loro letteratura e il loro culto del classico: H: Hesse, Thomas Mann…ma non posso non pensare quando li sento parlare alla testimonianza di Primo Levi, risento le grida di un popolo che lentamente si spegne perché muore dentro ogni secondo. Sul fenomeno Nazismo è stato scritto molto, ma nessuna opera è al contempo diario e memoriale, elaborazione letteraria e studio sociologico storico e anche filosofico, parlo di filosofia della storia come Se questo è un uomo Già nel monento in cui vengono catturati i deportati cominciato a morire: sradicati dalle loro famiglie, soli, abbandonati dagli uomini a da Dio, ombre solinghe, fuochi fatui, miseria umana, carne, anzi ossa, da macello. Giorni interi senza bere, con i piedi nel fango,senza scarpe, nudi, esposti al ludibrio e all’offesa di chi insensatamente e deliberatamente li deride, li frusta, si diverte a vederli perire ogni giorno, in questa lotta per la sopravvivenza. Lotta impari, perché i più sono chiamati, non si sa perché Mussulmani, e sono quelli che si rassegnano subito, che rispettano gli orari, che eseguono gli ordini, che non rubano, che non fanno nulla per ottenere una razione di pane in più. Questi muoiono tutti e presto; scientificamente provato, non resistono più di tre mesi. Gli italiani ebrei, quelli col numero basso, Primo Levi ha stampigliato sul braccio una cifra a sei numeri, sono tra i mussulmani, lui ce la farà perché venne deportato nel 1944 e perché, chimico, serviva loro , perché smise di fare domande che non avevano risposta e cercò una strategia di sopravvivenza: cercare una razione in più di pane o di nera brodaglia, imparare a farsi un cucchiaio/coltello col le sue mani, convivere col puzzo suo e dei compagni, col vuoto esistenziale, con l’aberrazione mentale di quei folli nazisti.

Era piccolo e gracile, ma forte di ingegno e, pur spegnendosi di giorno in giorno, riuscì a sopravvivere alla discesa negli inferi. Si tratta di un viaggio all’ingiù, come lui stesso dice, verso la bolgia infernale del lager, anche un viaggio, il più doloroso, dentro se stessi, in corpi irriconoscibili: visi e palpebre onfie, piedi piagati e sanguinanti, ferite purulente, scheletri in fila a marciare verso il lavoro insostenibile: travi pesantissime di ghisa da trasportare in un’attività insensata, perché lì di fatto in quel lager nulla si produceva; era tutta una messa in scena per deprimere i bisogni anche minimi dei deportati, per vederli diventare un nulla da camera a gas. Lo scopo ovviamente non era farli lavorare, ma rendere tutto impossibile, togliere tutto ciò che è vitale con un progetto capillare: meglio un colpo di pistola in testa senz’altro. E invece no! L’uomo è più abietto e crudele: gioca con i morti, perché nel momento stesso della deportazione essi smettono di vivere. Giorni da incubo straniante e notti fantasmatiche in cui i bisogni insoddisfatti galleggiano e le torture subite ritornano a boomerang dentro il cervello, si risente lo sparo in mezzo alla fronte a bruciapelo senza motivo che ha posto fine alla non-vita di un compagno.

Ma qui nulla ha senso; qui tutto si ripete fuori dal tempo usuale, qui c’è solo il lager, luogo di nebbia, qui dove l’inverno non passa mai e nulla si vede, perché non c’è speranza, anche se qualcuno ancora si illude, qualcuno presto destinato a morire, anzi già morto. Non si può morire oggi senza aver letto Se questo è un uomo o le opere di Grossman: dobbiamo conoscere l’uomo, la sua ferocia, la sua abiezione, quello si può diventare quando una ideologia folle ci acceca la vista e soprattutto il cuore. L’opera di Levi è un documento il più sincero possibile, un racconto con la misura del classico, un’analisi psicologica e sociologica dell’uomo, un trattato scientifico sull’abisso della mente umana che produce umiliazione, offesa, degradazione…nulla. “ Perciò, non appena il freddo, che per tutto l’inverno ci era parso l’unico nemico, è cessato, noi ci siamo accorti di avere fame…Ma come si può pensare di non avere fame? Il Lager è la fame: noi stessi siamo la fame, fame vivente” Auschwitz è la fame.



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