E’ la storia di tre ragazzi, anzi forse il numero esatto non è questo, ma non voglio svelare di più, perché, come sempre, lascio il piacere della scoperta della storia a chi leggerà il libro. A me interessa il linguaggio, e in quest’opera di Giovanni Garufi Bozza, “Selvaggia”, il linguaggio è preminente. Daniel, Selvaggia e Martina parlano molto, e non solo con le parole. La gestualità, i movimenti quotidiani, la vita che scorre in ogni pagina, in ogni riga, sono tutti dialoghi, muti o palesi, per capire e approfondire. Cosa? Il mistero della coscienza. L’autore è uno psicologo e il suo protagonista è uno studente di psicologia, quindi gli approfondimenti sono naturali nella narrazione. L’io narrante scompare quasi davanti alla preponderanza dei dialoghi, diventando anch’esso parte di una interazione muta con il lettore. Le descrizioni sono solo un trait d’union tra una conversazione e l’altra, un legaccio necessario per ambientare i personaggi, per dar loro una fisicità, un confine. Ma ciò che emerge, e probabilmente era questo l’intento di Giovanni Garufi Bozza, sono le personalità, con i loro tormenti, lo stupore, la curiosità, i disagi, quelle caratteristiche tipiche dell’adolescenza che qui, in questo romanzo, acquistano la forza della rappresentazione. Tutti noi abbiamo vissuto quel periodo della nostra vita in cui non sapevamo ancora cosa essere, cosa diventare e, soprattutto, come. In Selvaggia questo dualismo viene visualizzato, e allora succede che ce lo ricordiamo, un po’ come riviverlo col distacco del tempo passato. E sono proprio le descrizioni, dettagliate, cesellate, dell’autore a rendere tutto così vivo e reale. Un romanzo ben scritto, una storia misteriosa e avvincente, dove si respira Roma, con le sue contraddizioni, le sue giornate pigre e a volte insensate, le sue notti odorose di tabù infranti, un racconto da percorrere piano, perché lo svelamento dei protagonisti può essere lo svelamento di una parte di noi.
Magazine Cultura
Recensione di Selvaggia, i Chiaroscuri di Personalità di Giovanni Garufi Bozza, a cura di Cetta De Luca
Creato il 13 dicembre 2013 da Andrea Leonelli @AndreaLeonelli
E’ la storia di tre ragazzi, anzi forse il numero esatto non è questo, ma non voglio svelare di più, perché, come sempre, lascio il piacere della scoperta della storia a chi leggerà il libro. A me interessa il linguaggio, e in quest’opera di Giovanni Garufi Bozza, “Selvaggia”, il linguaggio è preminente. Daniel, Selvaggia e Martina parlano molto, e non solo con le parole. La gestualità, i movimenti quotidiani, la vita che scorre in ogni pagina, in ogni riga, sono tutti dialoghi, muti o palesi, per capire e approfondire. Cosa? Il mistero della coscienza. L’autore è uno psicologo e il suo protagonista è uno studente di psicologia, quindi gli approfondimenti sono naturali nella narrazione. L’io narrante scompare quasi davanti alla preponderanza dei dialoghi, diventando anch’esso parte di una interazione muta con il lettore. Le descrizioni sono solo un trait d’union tra una conversazione e l’altra, un legaccio necessario per ambientare i personaggi, per dar loro una fisicità, un confine. Ma ciò che emerge, e probabilmente era questo l’intento di Giovanni Garufi Bozza, sono le personalità, con i loro tormenti, lo stupore, la curiosità, i disagi, quelle caratteristiche tipiche dell’adolescenza che qui, in questo romanzo, acquistano la forza della rappresentazione. Tutti noi abbiamo vissuto quel periodo della nostra vita in cui non sapevamo ancora cosa essere, cosa diventare e, soprattutto, come. In Selvaggia questo dualismo viene visualizzato, e allora succede che ce lo ricordiamo, un po’ come riviverlo col distacco del tempo passato. E sono proprio le descrizioni, dettagliate, cesellate, dell’autore a rendere tutto così vivo e reale. Un romanzo ben scritto, una storia misteriosa e avvincente, dove si respira Roma, con le sue contraddizioni, le sue giornate pigre e a volte insensate, le sue notti odorose di tabù infranti, un racconto da percorrere piano, perché lo svelamento dei protagonisti può essere lo svelamento di una parte di noi.
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