Voto: Informazioni sul libro
Titolo:Dario Lapenta
Pubblicato da:La Carmellina
Genere:Poesia
Formato e pagine:
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Trama:
Skizo rappresenta la distruzione, la depravazione e la violenza metaforica della poesia moderna; affronta elementi reconditi dell'animo, una dissimulazione iperbole di parole forti ed elementi dissacrati in faccia ai puristi, agli amanti del romanticismo. Libera da ogni canone, questa raccolta poetica sbrana ogni forma di bellezza, viene depredato ogni lieto fine, questo poeta auto proclamatosi “marcio-poeta”, scrive in uno scenario post-nucleare di ogni nefandezza esistenziale. La sua è una De-umanizzazione, un tributo al poeta espressionista tedesco Gottfried Benn, un distacco dalla materia, dall'uomo e dalla letteratura moderna classica, una decadenza nella decadenza.
Lui è davvero giovane per essere un esordiente, per qualcuno forse troppo. Ma oggi nella poesia, come nella musica e nell’arte in generale l’età non è più un tabù. Basta pensare al giovane e spudorato Arthur Rimbaud, uno dei grandi simbolisti francesi che già nei primi anni della sua vita scrisse alcune delle sue opere migliori.
Eppure Dario Lapenta, in arte Flae Dissa ha molto in comune con i celebri “maudits” di una volta, con i poeti assoluti di fine Ottocento che fumavano oppio e giravano per le locande stracolmi di assenzio e laudano con la penna e il taccuino tra le mani per dissacrare tutta quella spocchia nobile, quel conformismo severo che prendeva piede nei salotti culturali dell’epoca. Erano trasgressivi, incompresi, venivano isolati dagli accademici e visti come dei pazzi visionari in cerca di visibilità. Oggi sono osannati da tutti, anche dai nostri grandi critici letterari.
Skizo è una raccolta di quarantacinque versi edita La Carmelina, Roma, tra l’altro prossima alla riedizione visto il sold out, questa silloge poetica mette in risalto un animo ribelle che osserva i muri di questa società crollare e sgretolarsi in mezzo ai volti putrescenti di questi ammassi di carne sperduti.
È il grido di un verme trionfante simile al quadro tracciato da Edgar Allan Poe nella sua poesia, quando dice “guardate\ questo dramma di speranze e timori\ bisbigliano e parlottano sottovoce\ marionette che vanno e vengono \al cenno di immani esseri informi…”
Apre così l’introduzione a Skizo, dove i tratti umani cedono, si sfrondano, l’utero della dea madre si lacera per lasciare spazio ad una carcassa dai denti appuntiti e gli occhi iniettati di poesia virale, poesia selvaggia, dura da digerire, ma efficiente.
Nato in una notte
da un utero marcio
guardo il lugubre asfalto,
dall’alto, una luce brillante
illumina gli occhi piegati.In una notte, nato
con i denti appuntiti
lacero il secco cemento,
nutrito dal degrado,
un colpo rovinato sul cranio.Nato da questo fango che mi appartiene,
nelle pozzanghere rifletto
il decomporsi del vostro futuro
è sciolto fra il grigio di detriti tossici.Refluisce il sangue disperato
dagli squarci alle fogne,
è il nettare che corrode la terra bruciata.Si rinasce morti dai cadaveri dei genitori
marcescenti, dai denti spezzati.Da UNA NOTTE
Un poeta nato morto, nell’eco di una frase che per anni ha caratterizzato questo genere, “La poesia è morta!” un battesimo modello per il giovane “marcio-poeta” romano che a soli 23 anni imprime sulla carta delle trace stravissute. Malgrado nel libro venga citata la fonte d’ispirazione attribuita a Benn poeta di origini germaniche, io ho fatto mia questa raccolta e ho visto riflesso sui versi di Flae Dissa, un altro poeta romano come lui, uno dei più significativi poeti crepuscolari Sergio Corazzini, e benché alcuni di voi storceranno il naso sappiate che questo grande poeta morì a soli 21 anni a causa della tubercolosi, e pubblico gran parte delle sue poesie tra i diciotto e vent’anni. Questo autore, anche lui giovanissimo metteva in risalto le debolezze dell’uomo e la decadenza della morte con una lucida consapevolezza. Corazzini esibiva il suo malessere con una poesia che non aspirava al sublime, cosa che invece facevano i suoi contemporanei, ma all’autenticità della sofferenza. Lui che scriveva: “Questa notte ho dormito con le mani in croce\ dimenticato da tutti gli umani\ povera tenera preda\ e desiderai di essere venduto\ di essere battuto\ di essere costretto a digiunare\ per potermi mettere a piangere tutto solo\ in un angolo oscuro.”
Si legge in questi versi l’espressione dell’inutilità e della precarietà delle cose terrene, così evidenti anche negli scritti di Dissa. Una connotazione pessimistica, a tratti masochistica, dove emerge spesso un disprezzo per la simbologia cristiana in una divina tensione religiosa con la conseguente consapevolezza della sintesi angosciosa.
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Il sangue ci disgusta, non c’è dubbio, scrive Fabian S. Caruso nella prefazione dell’opera, ma allo stesso tempo ci attrae, come nel caso di questi versi che sono un’ode alla decomposizione della materia, dove la carne morta rivive nell’intensità della parola scritta.
Il cielo è un mare a tavola\ ondeggiante di sfumature bianco-grigio,\ gli uccelli, puntini rarefatti\ che si avvicinano, sibilando acuti. Nonostante la pesantezza di alcune metafore e la funzione antisociale prediletta da questo autore si possono comunque gustare dei distacchi dolci, degli squarci intensi di pura poesia che distolgono così il lettore dall’atteggiamento provocatorio, ironico e accattivante di questo saltimbanco marcescente che adora stupire con i suoi elementi metafisici, come in Uomocane o Ai piedi di mia nonna morta in putrefazione, dove si esaltano i gusti per l’orrido uno dei mezzi che il poeta preferisce per sbalordire e imprimere le sue tinte grunge in una continua evoluzione.
Approfondimento
Di Flae Dissa mi ha colpito la scelta delle tematiche, delle metafore. La demistificazione della poesia e del poeta che si auto proclama marcio, forse malato? O degenerato? Figlio di una società decadente in continuo decadimento, morale, fisico, culturale?
Fa un certo effetto leggere la poesia come un frutto marcio o una natura crepuscolare, ma come diceva Corazzini “sfogliamoci, le passioni si staccano dalla vita una a una come i petali dei fiori…” non c’è tempo per guardarci indietro. Possiamo solo seguire questo istinto, questa vena poetica naturale a cavallo di questo secolo irripetibile.
La versificazione di Flae Dissa è diretta a molti, ma non per tutti. Lo specchio di questa società si riversa in questo suo libro, ma sono sicuro che difficilmente verrà capito e apprezzato a dovere com’è accaduto a molti pionieri del passato che hanno portato qualcosa di nuovo nella letteratura.
Di recente si parla di sue apparizioni e incursioni in centri sociali, piazze, addirittura come disturbatore di eventi poetici a Roma, celebre una in particolare documentata da foto e video contro il poeta Guido Catalano, accusato di aver pronunciato troppe banalità, e avere il sostegno dei soliti radical chic della movida romana. In questa sua apparizione il marcio-poeta avrebbe sfidato a suon di versi il Catalano uscendo comunque tra i fischi e gli insulti degli estimatori del suo avversario che certamente non hanno saputo apprezzare il brivido della sfida e il temperamento goliardico di Flae Dissa.
E suona limpido
uno scheletro consueto,
aspetta in su la zattera
cornificata, sopra al fetido lago
di cadaveri ansimanti.
Il mio turno è giunto.Da LA PORCALISSE
Link alla prefazione di Skizo scritta dal rapper Santo Trafficante
Una breve presentazione del collettivo dei Marciopoeti
