8 Flares 8 Flares × Storia del fascismoGiampiero Carocci
Pubblicato daNewton Compton
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La trama:
Il fascismo ha segnato profondamente la storia italiana del Novecento. Il libro di Carocci ripercorre in maniera sistematica e strettamente descrittiva gli eventi che ne hanno segnato l'ascesa e il tragico declino.
Ennio Flaiano scriveva che <<Il fascismo conviene agli Italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il fascismo è demagogico ma padronale retorico, xenofobo, odiatore di cultura, spregiatore della libertà e della giustizia oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli “altri” le cause della sua impotenza o sconfitta>>. È passato oramai quasi un secolo dall’inizio del ventennio fascista ma ancora non si può fare a meno di confrontarsi con ciò che è accaduto. E non si può per una serie infinita di ragioni.
In primo luogo perché, proprio come afferma la citazione, il fascismo non è qualcosa che ha avuto luogo in maniera estemporanea e contingente. È piuttosto l’espressione peggiore e più esasperata di un sentimento recondito che, anche se spesso lo dimentichiamo, aleggia nel sottosuolo dello spirito umano. È l’esito disastroso della volontà di risolvere i problemi in maniera radicale, violenta e definitiva. È l’esito arrogante della scelta di rintracciare la causa delle difficoltà in un qualche nemico che, si suppone, sia continuamente teso a ordire complotti per frustrare la genuina aspirazione alla felicità. È l’esito inevitabile dell’incapacità di analizzare i problemi nella loro complessa articolazione, che costringe ogni discussione ad imboccare la via del conflitto e della sterile contrapposizione. In secondo luogo, non si può fare a meno di parlare di fascismo perché l’Italia è tutt’ora, sotto certi aspetti, un paese fascista. Al di là dei singoli gruppetti di esaltati che si richiamano all’estetica del ventennio (la cui effettiva pericolosità è comunque da tenere sotto attenta sorveglianza), le istituzioni stesse del nostro paese, complice anche la mancanza di una purtroppo mai realizzata autentica rivoluzione liberale, mostrano ancora le tracce dell’impostazione gerarchica, autoritaria e corporativa del regime mussoliniano. Basti soltanto pensare al Codice Rocco o agli ordini professionali tutt’ora in vigore.
Infine, è necessaria una seria riflessione sul tema perché la situazione politica odierna non riesce proprio ad eliminare dal suo lessico la parola “fascista” anche se questa ha ormai perso gran parte del suo significato –ammesso che lo abbia mai avuto- trasformandosi, in maniera qualunquista (e dunque in senso lato fascista), in un termine dai confini non ben definiti e dal contenuto dubbio, usato come spauracchio e come atto d’accusa ultimo e più infangante per l’oppositore politico. Il quale, bisogna tristemente dirlo, spesso accetta l’appellativo di buon grado, denotando così lo steso grado di ignoranza e superficialità dell’avversario.
Il testo di Giampiero Carocci non affronta in modo esplicito queste tematiche, anche se è di certo possibile leggerle tra le righe. Una trattazione approfondita del fenomeno antropologico del fascismo e di tutti gli aspetti ad esso connessi richiederebbe, infatti, ben più delle poche pagine di questo volumetto. Qui, invece, l’autore si limita a descrivere in maniera concisa le vicende che l’Italia ha affrontato nel periodo tra le due guerre, ripercorrendo in maniera cronologica le strategie mese in atto dal movimento di Mussolini per conquistare il potere. Partendo dalla condizione italiana post Grande Guerra, vengono snocciolati i fatti che hanno portato all’ascesa del fascismo e alla sua drammatica conclusione, insistendo in modo particolare sul contesto economico, lavorativo e sociale che l’ha accompagnato. La necessità di una revisione degli “iniqui” trattati di pace, infatti, è stata uno dei motivi di forza del movimento e quello che più di tutti ha portato il regime ad adottare un atteggiamento belligerante nei rapporti diplomatici, permettendo così al Duce di sfruttare l’esaltazione suscitata da un’agguerrita politica estera per distogliere l’attenzione dalle crescenti difficoltà interne. La scelta dell’autore di concentrarsi primariamente sulle questioni economiche è anche dettata, forse, dal fatto che il fascismo non ha mai avuto una vera e propria fondazione teorico-culturale cui richiamarsi, sebbene vi siano stati di certo una schiera di intellettuali di valore che hanno tentato di costruirgliela. Il suo successo, più che a un ideale da realizzare, è legato alla sapiente abilità pragmatica dimostrata da Mussolini nel risolvere -o nel fingere di risolvere- i problemi contingenti, riuscendo spesso a bilanciare il consenso tra le varie parti. L’unico ideale costante, se mai ce n’è stato uno, è stato la conquista autoritaria del potere. Ed è proprio l’abilità nel barcamenarsi in maniera strumentale (e populista) nelle situazioni particolari, senza cioè perseguire alcun progetto lineare e di ampio respiro, ciò che più caratterizza l’affermazione della politica fascista. Come sintetizza l’autore: <<il ventennio, visto da lontano, appare come uno svolgimento coerente; visto invece da vicino, appare come un continuo e quasi caotico mutamento di indirizzi politici>>.
Tali caratteristiche strutturali del fenomeno storico del fascismo, troppo spesso volutamente dimenticate, saltano subito agli occhi per la loro affinità con il presente, e questo nonostante l’approccio del testo si mantenga puramente storico, senza tradire davvero alcun giudizio di valore né alcuna volontà di confronto con l’attualità. Ma ciò non significa affatto che la lettura di Storia del fascismo sia superflua o poco significativa, perché è da una ineludibile base fattuale che bisogna partire per approfondire e riflettere. Se poi, proprio non si vuole sfruttare l’occasione e leggere le vicende alla luce di quei temi, citati all’inizio, che rendono la riflessione importante ed attuale, resta comunque la possibilità di attenersi ai fatti puri e semplici. Anche essi, nella loro essenzialità, hanno un grande valore nel dibattito (si può davvero chiamare così?) odierno dove spesso manca non solo la comprensione della rilevanza socio-culturale del fenomeno, ma anche quella propriamente storica relativa a ciò che è realmente avvenuto in quegli anni. Non siamo tutti un po’ stufi della tiritera sull’efficienza delle ferrovie?
Carlo Monti