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Recensione di Super Santos di Roberto Saviano

Creato il 28 aprile 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

8 Flares 8 Flares × Recensione di Super Santos di Roberto SavianoSuper SantosRoberto Saviano
Pubblicato daFeltrinelli
Data pubblicazione in Italia:
Formato:
Genere:Narrativa Contemporanea
Pagine:
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Il libro su Goodreads
La trama:
Quattro bambini e un pallone: il Super Santos, IL pallone, quello che resiste a tutto. Il sogno cui tutti i ragazzini ambiscono. Un semplice pallone che in questo racconto di Roberto Saviano diventa un simbolo, uno strumento di salvezza o perdizione.

Di palloni ce ne sono tantissimi tipi, secondo il gioco che uno vuole fare o delle possibilità economiche che ha. Tango, Super Tele, Super Santos… Quest’ultimo per quattro ragazzini nella Napoli degli anni Ottanta è IL pallone per eccellenza, l’unico adatto a giocare a calcio. Scrive l’autore che il “Super Santos diventava il simbolo di tutto quello che volevi fare: divertirti, stare all’aria aperta, giocare, correre… Era un modo di concepire la vita.” Per Dario, Rino, Giovanni e Giuseppe è tutto questo e diventa qualcosa di più il giorno in cui Tonino Porcello – capo zona dell’area nord di Napoli – li vede giocare e decide di inserirli nel “sistema”, per tutelarsi da polizia e auto civetta. Il modo è molto semplice: i ragazzi, il cui compito è essenzialmente giocare a calcio per tutto il pomeriggio, non appena avvistano un’auto “sospetta” devono gettare il pallone in fondo alla strada gridare a più non posso “‘o pallone!”, avvisando così tutti gli spacciatori e fornitori di crack o altro. Senza intercettazioni o arresti. In pochi secondi.

Questo trucchetto funziona alla grande, finché un giorno Dario per portare a termine un’azione stupenda, non urla “ o’ pallone” facendo portare via dalla polizia parecchie persone. A Tonino Porcello la cosa non piace e punisce il ragazzino, che da quel momento prende gradualmente le distanze da quel mondo corrotto e, da adulto, si trasferisce a Roma. Gli altri tre, invece, fanno carriera nel sistema e continuano a lavorare per Porcello, che un giorno ordina di consegnare il cuore di Vittorio Mero, un buon difensore centrale del Brescia morto in un incidente, a un policlinico di Roma per Francesco Mollo. Francesco Mollo era implicato nell’omicidio di una bambina di due anni e ai tre, in particolare a Rino, non va giù l’idea di dare il cuore di un calciatore a un uomo tanto orribile. Questo è uno dei pezzi del libro che ho preferito, dove in qualche modo, anche un uomo senza scrupoli, che ha venduto la propria anima alla camorra, ritrova un briciolo di umanità, di senso di giustizia e verità nel gioco del calcio, nella figura di quel difensore che giocava per passione. Per un attimo ritrova l’innocenza perduta. Ma andiamo avanti. La consegna viene fatta nonostante gli scrupoli, e Giovanni, Giuseppe e Rino continuano le loro attività. Fino al giorno in cui sono presi in un’imboscata e uccisi: era scoppiata la guerra di camorra. Dario viene a sapere del triplice omicidio dal telegiornale e prende il treno per Napoli. Arriva di notte e dallo zaino tira fuori il super Santos e comincia a giocare la partita da solo, all’americana.

Perché tutto quello che è strano e insensato o forse semplicemente fuori dal comune, come giocare senza portiere, mangiare una pizza con sopra di tutto o rischiare da idioti un incidente mortale, viene definito “americano”. E un uomo solo, nell’oscurità, gioca un’ultima partita in memoria dei compagni di strada, perché, nonostante tutto, quando si gioca a calcio insieme con quel pallone, si resta compagni per sempre. Decisamente all’americana. Un racconto duro, vero e dal modo in cui è scritto, sembra di avere Roberto Saviano di fronte a te che racconta la storia, seduti al tavolo di un bar come vecchi amici. Mi è piaciuto molto il modo in cui un oggetto innocente e semplice come un pallone possa diventare qualcosa di molto più complesso: uno strumento capace di fare del male, di salvare un destino o di riconciliare quattro amici. A Saviano è caro il tema della camorra, ma mi piacerebbe leggere qualcosa di diverso. Tra una denuncia e l’altra la leggerezza non fa male e, qualche volta, il calcio è semplicemente un gioco bellissimo; per questo l’ho valutato tre e mezzo, aspettando un nuovo romanzo cui dare quattro punti su cinque.

Mariateresa Della Chiesa



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