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Recensione di un ricordo.

Creato il 07 aprile 2011 da Duffy
Questa scheda avrebbe potuto benissimo farla nonno Simpson…Mi ricordi una poesia che non mi ricordo e una canzone che forse non è mai esistita…
Si tratta di una serata cui ho assistito un paio di anni fa. Sembrerà un po’ fuori tempo massimo. Se partiamo dal concetto che il passato non esiste, e qualsiasi evento io vi racconti è solo per farvi sbavare, nel caso la cosa vi fosse interessata, ci può stare.
Anche perché è stato un avvenimento tristemente illuminante.
Siamo al Rockaway di Porto Potenza. Non quello dentro Porto Potenza, neanche quello attuale, a Recanati.
Per capirci, quello che faceva un sacco di concerti gratis, con la fila di macchine, il venerdì sera, da qui all’eternità, e la birra ancora non annacquata.
Il 3.0, in definitiva.
Stasera Glan Matlock, diceva il messaggio lanciato via social network.
Bene, benissimo.
Io posso dire, come molte persone, di amare i Sex Pistols. Ma è davanti a queste occasioni che si vede il vero fan dal millantatore.
Tutti conoscono l’amorevole faccino di quell’assassino tossico di Sid Vicious; ma Glen? Così m’informai.
Glen è quello bruttino, che, quando vedete alla tv una carrellata di foto del gruppo, appare e scompare, senza farsi troppo notare ed essere presente nella stessa immagine con il Vizioso di cui sopra.
Perché Sid sostituì Glen. Non sapeva suonare, forse gli dovevano pure cambiare le corde al posto suo - questa è una mia illazione-, ma preserò lui. Questioni d’immagine.
Glen è il compositore, la mente musicale del carrozzone Sex Pistols: quello che ha scritto e registrato i grandi successi del gruppo.
E veniva da noi, gratis.
Non ho più diciotto anni, quindi entrai nel locale con tutta tranquillità, ostentando quasi indifferenza.
Il pubblico in attesa era composto dai classici frequentatori del locale - rocker misti, dal heavy al black metal -, con qualche cosplayers in versione punk anni 70. Più degli infiltrati della discoteva Babaloo, con la stessa consapevolezza di quello che stesse succedendo lì, di quanta ne ho io quando giro per un museo archeologico.
La sala era sgombra, con una console da dj al centro. Glen veniva a mettere musica.
Forse qualcuno avrebbe dovuto prepararci a quello shock, perché quello che ne risultò non fu molto piacevole, soprattutto per lui: un cerchio largo di persone che si limitavano a fare foto a raffica, la pista vuota, e lui a fingere di essere molto preso nel fare ciò che stava facendo.
Fortunatamente, nella sala a fianco, si stava esibendo un gruppo punk nostrano, e a Glen chiesero d’eseguire un paio di suoi vecchi successi, levandolo dall’impaccio iniziale.
Presa dallo sconforto, me ne andai a gironzolare, in cerca dei miei amici.
La serata finì con l’ultima prestazione richiesta all’ospite: la foto con chiunque.
Anch’ io ne ho una. Fui tentata d’infilargli una banconota da dieci euro nello scollo della camicia.
Lo so, sembro irrispettosa, ma quello che mi colpì fu il poco rispetto che tutti noi mostrammo, costringendo un uomo che aveva scritto una parte essenziale della genesi del rock a fare il pagliaccio a nostro piacimento.
Unica nota positiva della serata, registrata su nastro, ora chissà dove, fu l’intervista- rigorosamente in inglese- che Stefano Doffo fece al nostro eroe, per un programma radio da lui diretto.
Lì il rispetto e la voglia di ascoltare, come fa un nipote davanti alle storie di vita del nonno, furono ristabiliti.

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