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[Recensione] Dietro i Candelabri (di Steven Soderbergh, 2013)
Creato il 12 dicembre 2013 da Frank_romantico @Combinazione_CMi fa tanto ridere il fatto che, qui in Italia, si proiettino film americani destinati alla televisione. No, davvero, è una cosa talmente assurda che uno stenta a crederci: qui da noi arrivano, nei cinema, film che in altre nazioni vengono trasmessi in televisione. E non perché nelle altre nazioni siano snob, ma proprio perché certi film nascono e muoiono per la tivù, è quella la loro natura, quella la loro destinazione. Ora, immagino già la faccia dei distributori italiani di fronte a un film come Dietro i Candelabri. Li immagino già dare uno sguardo al cast e al regista, leggere che la pellicola è stata in concorso alla 66ª edizione del Festival di Cannes e pensare: questo film deve arrivare nei nostri cinema. Fa nulla che quest'opera scritta da Richard LaGravenese, tratta dal romanzo biografico di Scott Thornson sul musicista Władziu Valentino Liberac (in arte Liberace) e diretto da Steven Soderbergh, sia nato come film per la televisione. In fondo si tratta pur sempre della HBO, sinonimo di garanzia. Certo, il nome di Soderbergh alla regia mi ha fatto storcere il naso, eppure devo ammettere che questo film è stato una sorpresa. E fa capire benissimo come, in altri paesi, la tv non sia più un territorio di serie B.
Dietro i Candelabri è un biopic basato sulla vita di Liberace, pianista e showman vissuto tra gli anni '70 e gli '80 e in particolar modo sulla relazione tra l'artista e il giovane Scott Thornson. Relazione gay in un periodo in cui essere gay poteva segnare la fine di una carriera artistica. Il film segue la relazione dagli inizi alla fine per poi concludersi con la morte di Liberace a causa dell'AIDS.
Alla fine si tratta di un film che parla di una star omosessuale. Nonostante le difficoltà incontrate nel trovare qualcuno disposto a produrlo, io trovo che questo sia un grande traguardo. Perché in questo film l'omosessualità non è il contorno ma il tema focale. E' omosessuale il protagonista, omosessuale il suo rapporto con Thornson, omosessuali i riferimenti espliciti al sesso. Allo stesso tempo l'elemento omosessuale va nascosto, celato, addomesticato. E diventa quasi qualcosa di sintetico. Perché Liberace è cattolico, perché Liberace è un personaggio noto, famoso, perché il mondo ancora non riesce a concedere e accettare la completa libertà sessuale ora, figuriamoci trenta-quaranta anni fa. E forse è proprio questo che impedisce al Liberace uomo di innamorarsi (o di accettare l'amore). Ed è questo che lo porta a cambiare partner con una frequenza tale da renderlo quasi un mostro egoista. Tutta la forma nasconde poi la sostanza: il lusso sfrenato, i gioielli, la ricchezza, le esibizioni sfarzose, sono un sipario che nasconde l'uomo allo sguardo dei suoi fan.
Allora l'artista diventa solo eccentrico, la sua vera natura celata dai candelabri, dagli oggetti di scena, prende forma nell'intimo che non è nemmeno quello della camera da letto, perché anche lì è finzione. Solo quando il mondo del protagonista crolla inesorabilmente, solo allora crolla la figura che egli stesso si era creato, il suo amore smisurato per se stesso. E l'uomo/ragazzo Scott può solo guardalo appassito in un letto, qualche istante prima della morte. Lui, il ragazzo senza famiglia che trova nel suo amante un padre e una sicurezza e che perde tutto nello stesso istante in cui perde lui. Così l'unico modo per sopravvivere diventa quello di sostituire una droga ad un'altra e continuare a vivere nella menzogna di un rapporto non sincero.
Dietro i Candelabri è un bel film, come non ce lo si aspetterebbe da Soderbergh, regista in grado di regalarti la mediocrità ben impacchettata. Certo, è televisivo (perché è questa la sua natura) troppo lungo nonostante il minutaggio per nulla smisurato, con una prima parte briosa e divertente e una seconda fin troppo drammatica, più spenta. Un film cinico, tagliente che si spegne in un finalissimo smielato ed eccentrico. Ma è anche un'opera interessante e lineare con un Michael Douglas che definire perfetto sarebbe un eufemismo, un gigante in una delle sue interpretazioni migliori che contrasta con i suoi soliti ruoli da sciupa femmine (ed è così bello vederlo recitare dopo tutto quello che ha passato) forse il vero artefice della riuscita del film, un Matt Damon che stupisce e il sempreverde Dan Aykroyd che è un piacere vedere sullo schermo. E alla fine ci troviamo di fronte a un prodotto forse troppo pesante, imperfetto ma decisamente superiore alla media. E a un grande personaggio, come non se ne vedevano da tempo.
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