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alla graticola. I due autori con mano sicura e linguaggio franco e tagliente strappano alcuni filosofici veli di Maya. Presentano poi i verbali del processo a Dimitri, un testo davvero comico che rasenta l’assurdo. Non fosse costato tante lacrime e tanta galera. I Bambini di Satana vengono forse così odiati e temuti proprio perché aspirano a divenire persone vere e, DIETRO LO SPECCHIO NERO, è uno scritto per conoscere ma anche per conoscersi. Gli autori:
Marco Dimitri, esperto in telecomunicazioni e insegnante di informatica, quale operatore specializzato in primo soccorso ha lavorato tre anni per il Pronto Intervento Sanitario e
cinque per la polizia privata. Possiede il brevetto CMAS di sommozzatore in biologia marina, specializzazione nella
quale è tuttora impegnato. Da oltre vent’anni svolge attività di studio e ricerca nell’ambito magico-religioso nonché sociale, quale leader dei Bambini di Satana. Isabella Lai, psicologa clinica specializzata in arte terapia e counseling espressivo. Ricercatrice e responsabile del settore Nuovi Movimenti Religiosi all’ISPC (Istituto di
Scienze Psico-Criminologiche) di Roma. Esperta e redattrice di articoli sul satanismo religioso, ideologico e musicale. Vive ai Castelli Romani dove studia culti pagani etradizioni magico-religiose del luogo. La recensione di Miriam:
Uno specchio nero è l’ignoto, destabilizza e, spesso, fa paura. Ancor più nero è il pregiudizio di chi, preferendo distogliere lo sguardo da ciò che non conosce, partorisce fantasmi o verga false equazioni. La triste vicenda riportata in questo saggio ha due protagonisti: “Satana” e il pregiudizio, appunto. Ciascuno potrà stabilire a fine lettura quale tra i due demoni sia più temibile. L’opera trae spunto da una ricerca condotta sul campo dalla psicologa clinica Isabella Lai al fine di esplorare e comprendere l’ideologia e l’impianto filosofico-culturale sulle cui basi nasce il gruppo satanista più noto in Italia: I bambini di Satana. La metodologia prescelta è stata quella dell’osservazione non partecipante (il ricercatore osserva direttamente il gruppo senza partecipare alle sue attività) che ha consentito un primo approccio conoscitivo reso poi più esaustivo da un’intervista autobiografica rilasciata dal leader del gruppo, Marco Dimitri. Il testo, risultato di oltre un anno di studi, propone dunque un’alternanza di voci che ci consente di ottenere una duplice prospettiva sull’argomento. Il racconto in prima persona di Dimitri si affianca alla ricostruzione di carattere scientifico e avalutativo posta in essere da Isabella Lai. La prima parte del volume fa luce sull’assetto teorico che dà vita ai Bambini di Satana facendoci comprendere cosa sia effettivamente il satanismo filosofico e sgomberando il campo da alcune mistificazioni. In ottemperanza a un luogo comune, quando si parla di questo fenomeno si tende a pensare a un movimento unico, a una “corrente isterica sviluppatasi all’interno dell’organigramma cristiano” il cui intento è quello di capovolgere violentemente il culto cattolico. In realtà il satanismo si sviluppa in molteplici forme, ideologiche, religiose, filosofiche e solo in alcuni casi sfocia nel crimine (si veda il satanismo acido). I Bambini di Satana, di fatto, si connotano come un’associazione culturale incentrata sul riconoscimento dell’uomo come unica divinità. È lo stesso Dimitri a spiegare: “Noi conduciamo una battaglia in nome delle nostre passioni, di Satana e di noi stessi… per fare questo non è necessario profanare le tombe, stuprare i minori o compiere atti delinquenziali propri della microcriminalità. Noi ci dissociamo da forme di satanismo tradizionale anticristiano”. Quello professato dal gruppo è un credo che è legittimo non condividere ma che in sé non ha nulla di criminale, nel caso specifico però ha finito per diventare oggetto di distorsioni prima e strumentalizzazioni poi, tali da produrre effetti devastanti sulle vite delle persone coinvolte. Dall’analisi teorica si passa così alla ricostruzione della vicenda giudiziaria che tra il ’96 e il ’97 ha visto Marco Dimitri, insieme ad altri membri della setta, salire sul banco degli imputati con l’accusa di aver sequestrato e stuprato due minorenni (una ragazza di sedici anni e un bambino di due anni e mezzo) nel corso di alcuni riti satanici. Si tratta di accuse basate unicamente sulla testimonianza delle due presunte vittime e per le quali non c’è stato mai alcun riscontro oggettivo, tanto che alla fine di un lungo calvario si è giunti a un’assoluzione in formula piena degli accusati − sebbene ciò non abbia risparmiato loro una lunga permanenza in carcere. I due autori ripercorrono le tappe di quest’incubo presentando i verbali del processo. Non opinioni dunque ma fatti che provocano profondo sconcerto perché ci mostrano in maniera incontrovertibile come un libero cittadino possa essere incriminato anche in assenza di prove, se si tratta di un cittadino scomodo. Il quadro che se ne ricava è grottesco al punto che verrebbe da ridere se dietro la tela non ci fosse un essere umano a cui questo gioco perverso è costato lacrime e sangue. Le pennellate che lo compongono non possono che tracciare i contorni di un complotto organizzato allo scopo di demolire un uomo il cui unico crimine realmente commesso è quello di essersi fatto portavoce di un culto non ufficiale, di aver dato fiato a un pensiero inviso alla cultura imperante. A differenza degli altri gruppi, i Bambini di Satana agivano allo scoperto e si proponevano al grande pubblico attraverso i media. Questo carattere di visibilità probabilmente ha contribuito a far sì che il gruppo venisse percepito come una minaccia, se non altro perché forniva un contraddittorio alle informazioni sul satanismo veicolate da teologi esorcisti tendenti a trascurare gli studi di antropologia e psichiatria in cui il diavolo viene demitizzato. Ha il sapore di una moderna caccia alle streghe amplificata dal massacro mediatico, quella rievocata tra queste pagine, una vicenda torbida su cui ancora oggi vale la pena riflettere perché chiama in causa la libertà di pensiero di noi tutti. Così come puntualizza Isabella Lai: “Il problema non sta nel condividere o meno una serie di valori o di scelte comportamentali, discutibili o no. La realtà è che certi movimenti culturali e filosofici diversi suscitano paura. La consapevolezza interiore fa paura”. E la paura non si combatte con i giudizi sommari ma con la conoscenza che passa anche attraverso la tolleranza del diverso.
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