Quentin Tarantino è inarrestabile. Potete dire quello che volete su questo eterno Peter Pan del cinema, ma una cosa è certa: si sta divertendo un mondo, e si vede. Django Unchained, il secondo film della fase "matura" inaugurata con Inglorious Basterds, è la prima scorribanda ufficiale del regista nel territorio dello spaghetti western, genere già toccato in un segmento di Kill Bill Vol.2. (Certo, sarebbe più corretto definirlo un "southern", vista l'ambientazione, ma non facciamo i pignoli...) Per la prima volta Tarantino si cimenta con un epico film a base di pistoleri e cavalli, mescolando insieme schiavitù, il mito di Sigfrido, una sana dose di violenza pulp e l'immancabile vortice di citazioni più o meno evidenti ad altri film del passato.
Il classico gioco citazionistico di Tarantino meriterebbe un approfondimento a parte: le sue strizzate d'occhio vanno dall'evidente (il cameo di Franco Nero, il tema musicale del finale) al seminascosto (il nome del saloon, il cameo di Tom Savini), senza tuttavia prendere il sopravvento sulla narrazione. La personale mitologia cinematografica del regista dà vita ad un vortice di omaggi, sfide allo spettatore e anacronismi che fanno infuriare i più pignoli. ("Occhiali da sole nel 1858?!?! AAAARGGH!!") Ma il cinema di Tarantino è fatto così: non chiede permessi e di sicuro non chiede scusa. Doti molto rare, a Hollywood. A Tarantino interessa raccontare le sue storie, omaggiare i suoi personalissimi miti, e spruzzare una dose di ultraviolenza qua e là, e al diavolo tutto. Il bello è che i risultati sono incredibili, e Django Unchained è la prova più eclatante: un film "maturo" in cui fotografia e montaggio sono impeccabili, la colonna sonora variegata (che mette insieme Ennio Morricone, Johnny Cash, Beethoven e RZA) e le scelte di casting una più azzeccata dell'altra.
Tarantino ha un dono quando si tratta di scegliere gli attori per le sue pellicole. Grazie a lui John Travolta ha rilanciato la sua carriera (Pulp Fiction), Pam Grier è tornata sullo schermo (Jackie Brown), Uma Thurman è diventata un'icona (Kill Bill) e il mondo intero ha riconosciuto il talento di Christoph Waltz (Inglorious Basterds). Waltz ruba la scena nei panni dell'educato ma letale cacciatore di taglie Schultz, mentore e liberatore di Django. (Ottima l'alchimia tra i due, a proposito). Jamie Foxx regge più che bene il peso del suo ruolo, passando da schiavo mite a pistolero carismatico nel corso della storia... ma a rubare ulteriormente la scena sono i due villain, ovvero Leonardo di Caprio (Calvin J. Candie) e Samuel L.Jackson (Stephen).
Da Jackson era lecito aspettarsi una performance spettacolare, e l'attore non si è certo tirato indietro: il suo personaggio è tanto infido quanto pericoloso, oltre che sboccato. Ma Di Caprio? In quanti a Hollywood avrebbero osato proporre il celebre ragazzo d'oro nelle inedite vesti di cattivo? Come volevasi dimostrare, il buon Leo ha fatto un lavoro eccellente: l'attore è perfetto nei panni di Candie, un gentiluomo del Sud pieno di carisma... e altrettanto sadico.
Le ottime performance degli attori fanno sì che il film scivoli via come se niente fosse per quasi tre ore. Forse il segmento di Candieland si trascina un pò troppo, ma a ripensarci bene non saprei quali parti tagliare: tutto ciò che vediamo è funzionale allo svolgimento della trama. Ogni dialogo, ogni cavalcata nella neve, ogni sparatoria. Farà piacere a tutti sapere che l'estetica da B-movie tanto amata da Tarantino fa bella mostra di sè anche in Django: ogni sparatoria si trasforma in un bagno di sangue, e la fisica di certi scontri è talmente (e volutamente) esagerata da far sorridere. Non mancano comunque i momenti di vera violenza, tra occhi strappati e uomini sbranati da cani. E là non c'è niente da ridere.
Il Sud pre-Guerra Civile raccontato da Tarantino, seppur coi suoi anacronismi e le sue licenze artistiche (vedi i combattimenti tra Mandingo), è piuttosto vicino alla realtà storica. C'è chi ha accusato il regista di aver "glamourizzato" lo schiavismo, di averlo in qualche modo svilito, di aver glorificato la violenza sugli schiavi (o degli schiavi, a seconda di chi parla). Io credo che, al di là delle polemiche e dei citazionismi, Django Unchained sia uno dei film sullo schiavismo più coraggiosi di sempre. Raccontando quel periodo buio della storia americana in veste di spaghetti western/ exploitation Tarantino ci dà in effetti un'idea piuttosto precisa di come doveva essere la vita per uno schiavo nero dell'epoca, dove "negro" era l'epiteto più gentile in circolazione. Ma d'altronde, se non scatenasse polemiche non sarebbe più un film di Tarantino, giusto?
Django Unchained merita, e parecchio. E' la tappa finale di un percorso iniziato con un film che parlava di "metafore della fava" e di uno scalcagnato gruppo di rapinatori... e ora eccoci qua, con un western epico e di ampio respiro, che omaggia il cinema di genere del passato (quasi tutto italiano), non ha paura di toccare un argomento estremamente spinoso, e contiene delle performance attoriali che vanno assolutamente premiate in qualche modo (vedi di Caprio e Waltz). Tarantino sarà anche un mattacchione, ma l'entusiasmo che trasuda dai suoi film dovrebbe insegnare qualche cosetta a molti registi, americani e non.