Se qualcuno mi chiedesse “Qual è il brutto di avere tanti impegni?” risponderei sicuramente non tanto la fatica, quanto il poco tempo per leggere… però, anche se nessuno me lo chiede, eccomi di nuovo qui con una recensione del progetto tutta per voi!
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Titolo: Draconis Cor – Libro primo
Autrice: Alessia Piccolo
Genere: fantasy, elfi, draghi
Editore: GDS
Collana: Aktoris
Pagine: 208
Anno di pubblicazione: 2012
Prezzo di copertina: €13,50
ISBN: 9788897587828
Formato: brossura (eBook in ePub o Mobi)
Grafica: Sara Straseggio
Editing: Alfonso Zarbo
Valutazione: Grazie all’autrice per avermi spedito il libro.
RIASSUNTO - Quando la saggezza dei draghi non ha confine possono accadere eventi unici e senza tempo.
In un Regno in cui l’anima di ognuno può andare perduta, un’antica profezia darà nuove speranze ad un popolo che sta ormai per essere sopraffatto.
Tre ragazzi come tanti non sospettano nemmeno di far parte di una storia cominciata molti anni addietro. Le loro vite saranno stravolte dall’arrivo di un bambino a cui orde di nemici danno la caccia. Insieme verranno trascinati in un’avventura che li costringerà ad allontanarsi da tutto quello che hanno di più caro e da ogni certezza.
Una lacrima di cristallo dai poteri magici sconosciuti celerà la chiave di questo mistero, ma da dove arriva? Cosa nasconde? E proprio quando crederanno di essere arrivati, il viaggio avrà inizio…
L’AUTRICE - Alessia Piccolo si definisce una ragazza semplicissima: le piace scrivere, leggere e stare con gli amici a far baldoria. Ha coltivato per alcuni anni la passione delle arti marziali e ha giocato anche a calcio.
Adora fotografare e progettare edifici (non a caso, è geometra) ma, soprattutto, non può fare a meno di sognare ad occhi aperti.
Perché scrive? Semplice, la penna è l’unica arma che ha per catturare i sogni e trasformarli in realtà. A lei succede così, se immagina una cosa resta nella mia testa, ma se la scrive prende vita. Draconis Cor è il suo primo romanzo.
* * *
RECENSIONE
È giunto il momento di parlare di un altro fantasy scritto da una giovane autrice italiana.
Come presumo avrete notato, si tratta di una trama piuttosto classica, ma è risaputo che ciò non è di per sé un male: ho trovato non pochi libri, tra le mie letture, in cui da un’idea assolutamente nella norma nasceva un romanzo delizioso… Invece, purtroppo, questo non è accaduto con Draconis Cor.
Il mio nasino ha cominciato ad arricciarsi già a partire dal prologo:
Le fiamme divampavano alle sue spalle mentre correva verso il dirupo, inciampando sui suoi stessi passi per la fretta di scappare. Era soltanto un allievo della scuola segreta di magia, ma quell’incantesimo gli era riuscito bene e ora le Ombre sarebbero rimaste intrappolate almeno per un altro po’.[…] Di sicuro, una volta tornato a scuola, avrebbe sentito il peso degli sguardi degli elfi su di sé, disgustati per il suo gesto irrispettoso nei confronti della foresta. Ma lui era un mezzelfo, e poteva sorvolare su queste cose. Un fruscio lo riportò alla realtà. Le Ombre non avevano studiato la magia, ma Thriong, il malvagio tiranno che tentava di conquistare il regno di King’s Heaven, aveva mantenuto la promessa donando loro forza e potere in cambio dell’anima. Così adesso le Ombre, un tempo uomini comuni, erano in grado di compiere incantesimi di alta magia nera senza averli mai studiati prima.
Quando ho letto la prima frase evidenziata alla quinta riga dell’incipit, non sono proprio riuscita a impedirmi di pensare “Cominciamo bene!”, e se qualcuno fosse passato di lì in quel momento mi avrebbe certamente visto alzare gli occhi al cielo con un sorriso di compatimento in faccia: si può sapere che vuol dire “per un altro po’”? Per cinque minuti? Cinque ore? Forse centinaia o migliaia di anni?
Se le Ombre sono come loro, speriamo che rimangano intrappolate per un BEL po’!
Questo non è che l’inizio, però. L’intero libro, infatti, è costellato di ingenuità stilistiche, nonché dell’altro aspetto già presente sempre nel prologo: l’impulso di spiegare ogni cosa colpisce molto spesso i narratori dei romanzi fantasy e non… e quello di Draconis Cor ci casca tutte le volte. Non c’è un capitolo in cui, messo di fronte a un nuovo personaggio, una città, a un edificio ignoto o che so io, la storia non venga interrotta per qualche riga: queste ci forniscono dei particolari del tutto irrilevanti, perlomeno in quel preciso momento.
In poco più di 200 pagine ne ho contati a decine, se non a centinaia, e tra essi quelli strettamente necessari si contavano sulle dita di una mano. In questo modo la trama risulta tremendamente frammentata, e se da un lato lo stile è semplice e assai scorrevole, dall’altro la smania di dare spiegazioni provoca non poco fastidio.
Non sempre la fluidità dello stile è positiva, ahimè. Aprendo una pagina a caso, ho scovato il seguente paragrafo, in cui è descritto un combattimento:
Meno, molto meno di un attimo. Poi l’estranea estrasse la spada e impegnò Ham in un combattimento senza eguali. Il duello faceva cantare le loro lame, mentre i due sfidanti si intrecciavano in una sorta di danza che sembravano conoscere alla perfezione.
Rik e Zhara li osservavano preoccupati. Tenevano stretto Efram per evitare una nuova disavventura.
Ham non se la cavava male, ma la ragazza sembrava voler giocare con lui: sempre con lo stesso ghigno sprezzante, lo istigava a combattere colpo dopo colpo. Nella foga del combattimento si erano spostati verso il centro della foresta, esibendosi in una serie di attacchi e contrattacchi ricchi di effetto. Dopo alcuni minuti, la ragazza attaccò dall’alto e Ham mise la spada di traverso per parare il colpo. (pag. 61)
Poetico, magari, lo è, ma a che serve se poi un duello viene liquidato così? Ripeto, per fortuna la scrittura è lineare e non si perde in giri di parole inutili, perché a lungo andare anche chi legge, così come il narratore con le spiegazioni, potrebbe non riuscire a resistere ad un impulso.
Di buttare il libro dalla finestra.
O ancora, alla faccia dello Show don’t tell:
Corsero fino alle bestie, salirono in sella e si voltarono a dare un’ultima occhiata al villaggio di Kerik, o a quello che ne restava. Si scambiarono uno sguardo ricco di significato, poi ripresero il viaggio. (pag. 56)
Riguardo alla trama e ai personaggi, le cose non vanno meglio. Per dirla tutta, i protagonisti non mi sono sembrati male, pur rimanendo piuttosto scialbi: la loro caratterizzazione è buona, perlomeno, così come lo sviluppo delle varie personalità, che contribuisce a inspessire la loro psicologia. Ciò che non ho ben digerito è stato il ruolo che hanno nella storia, e soprattutto come questa storia è stata gestita.
Anche se a tratti è rimescolata, la trama di fondo è, infatti, sempre la stessa che gira: tre intrepidi giovincelli, il loro villaggio che viene attaccato dalle Ombre, il più grande stregone di tutti i tempi di nome Gandalf Galdaral che li salva, affida a loro (per poi dileguarsi subito dopo senza rispondere a nulla) una missione di estrema importanza, cioè di tenere al sicuro il bambino prescelto e di trovare un non meglio identificato Varyhar, il tutto per adempiere la misteriosa e antica profezia che li riguarda. E non dimentichiamoci del tiranno superkattivo e del suo oscuro esercito di Ombre, e naturalmente di magia bianca e nera, di elfi, mezzelfi, nani e draghi. Eh sì, cara originalità, riposa pure in pace.
Requiem æternam dona Draconis Cori, Domine…
La cosa singolare riguardo all’onnipresente destino, tuttavia, è la spiegazione che lo stregone Galdaral fornisce ai ragazzi: accenna della profezia e del fato che attende i ragazzi, e fin qui tutto bene; ma subito dopo inizia a parlare dello scopo e del cammino che ciascuno deve intraprendere, che è dettato dalle nostre azioni e che quindi si trova dentro di noi… allora come funziona, la faccenda del destino? È tutto calcolato in partenza o siamo noi a tracciare il nostro sentiero? A giudicare dal corso che prendono gli eventi, la risposta parrebbe la prima (in parecchi punti è chiaro che c’è un disegno che guida i protagonisti, e che quindi non sono loro a tenere le redini della situazione), e invece… mah, non chiedete, tanto è fèntasi!
Un altro aspetto che mi ha fatto storcere il naso per tutta la durata del libro sono i momenti in cui i protagonisti devono tirarsi, in un qualche modo, fuori dai pasticci: tra tutti questi passi, anche piuttosto frequenti, non ce n’è uno che non sia risolto da un Deus ex Machina, e comunque da una serie di circostanze abbastanza improbabili. Stesso discorso vale per certe situazioni, il cui scopo è far prendere una particolare direzione alla storia, che in molti casi ho trovato ridicole e stereotipate: il passo in cui due personaggi vengono coinvolti in un crollo, rimanendo feriti (ma neanche poi tanto, per una caduta del genere!), per poi uscirsene quasi come se niente fosse; un altro personaggio trova un drago ferito, lo cura e lo libera, poi viene attaccato dalle Ombre e salvato dal drago, che per via telepatica gli comunica che è diventato cavaliere dei draghi; la scoperta di chi o cosa sono in realtà Varyhar e il Draconis Cor… insomma, ho trovato tutto tremendamente prevedibile e scontato.
Vogliamo parlare del finale, inoltre? Be’, la cosa non è facile, dato che il finale non c’è. Non sto scherzando: quando ho girato pagina e mi sono trovata davanti l’indice, ho seriamente pensato che un folletto cattivo si fosse intrufolato nella mia libreria di notte e avesse strappato il finale del libro. L’autrice, infatti, sembra aver preso alla lettera l’idea della “conclusione lasciata così in sospeso che più in sospeso non si può”. Certo, questa potrebbe essere una tecnica per invogliare i lettori ad acquistare il capitolo successivo della saga, ma non mi stancherò mai di dire che in un libro deve sempre esserci una conclusione: in Draconis Cor, al contrario, essa sembra sparita nel nulla… puff! Ribadisco che un finale del genere è stato un vero shock.
Ah, dimenticavo un appunto riguardo ai nomi: i personaggi si chiamano Rik, Ham, Zhara, Naja, Thriong, Efram, e così via. Dalla cartina (la trovate qui sotto… e vabbé, giudicate un po’ voi: io ormai guardo e passo ), invece, le città e i luoghi che si incontrano rispondono ai nomi di Chernack, Amenak, Kerik, Dwer, eccetera. Allora mi spiegate gentilmente che come hanno fatto l’inglese (la terra si chiama King’s Heaven) e il latino (lo stesso Draconis Cor) a finirsi in un mondo pieno di nomi del genere? No, nel libro non c’è scritto niente in proposito, nel caso ve lo steste chiedendo.
Ora tiriamo un po’ le somme, vi va? A lettura conclusa, dunque, l’impressione che Draconis Cor mi ha lasciato è stata quella di un romanzo decisamente acerbo: non nego che sia scritto in modo spigliato e tutto sommato trascinante, e il fatto che sia così corto mi ha permesso di tirare almeno un sospiro di sollievo, dopo un numero imprecisato di mattoni interminabili. Però i difetti non mancano: la trama è piena di cliché e di situazioni improbabili, lo stesso stile è zeppo di descrizioni e spiegazioni superflue, le idee stereotipate o prevedibili non si contano. È anche vero, tuttavia, che questo è solo il primo libro di una serie (non ho afferrato di quanti libri, ma dubito meno di tre, date anche le dimensioni), perciò l’autrice ha ancora ottime possibilità di migliorare il suo lavoro. Per il momento, non vado oltre le due goccioline, ma confido comunque che Alessia Piccolo sappia affinare il suo stile nei prossimi volumi.
* * *
In sintesi…
Personaggi ben caratterizzati, con
un buono spessore psicologico…
… ma i cliché che li coinvolgono non
si contano.
Stile semplice, fluido e scorrevole,
tutto sommato intrigante.
Troppe spiegazioni superflue che spez-
zano la storia da parte del narratore.
Breve, senz’altro invoglia a leggere
il seguito.
Sempre la stessa trama che gira, molti
cliché e situazioni stereotipate.
Ingenuità stilistiche, raccontato.
Deus ex Machina e scene improbabili
o scontate e banali.
Nomi inglesi e latini.
Finale inesistente.
* * *
Una frase significativa…
“Cosa facciamo?”
Il bimbo bruciava di febbre e ora guardava i ragazzi senza vederli. Il suo sguardo era annacquato e languido.
“Dobbiamo portarlo subito a Dwer!” esclamò Naja, che ora aveva scacciato le lacrime. “È il villaggio più vicino a noi e conosco qualcuno che ci aiuterà.”
“A chi ti riferisci?”
“È un vecchio amico. Sono sicura che lo salverà.”
“Dividiamoci. Io e Naja portiamo Efram a Dwer; voi andate al tempio e trovate Vanyhar” sentenziò Ham.
“Ma Galdaral ci ha consigliato di restare uniti!” replicò Rik.
“Non c’è tempo, Rik! Le Ombre ci stanno col fiato sul sollo. Se questo Varyhar è la nostra unica speranza, allora dobbiamo trovarlo il prima possibile! Verremo noi al tempio quando Efram starà meglio.”
I ragazzi si lanciarono occhiate disperate, ma ognuno di loro, in cuor suo, sapeva che era la cosa giusta da fare.