Ci sono dei film che istintivamente ci lasciamo alle spalle, sovrascriviamo (in)volontariamente gli appunti, perdiamo il file con la bozza dello scritto e commettiamo altre simili dimenticanze. E’ come se il nostro inconscio ci stesse proteggendo. Altrimenti non si comprende quale potrebbe essere la giustificazione di una visione sofferta e portata a termine solo dopo diversi tentativi e le costanti “emergenze” che mi impedivano di mettere mano agli appunti su “The Rum Diary”, non credete?
Questa è la storia del primo libro scritto da Hunter S. Thompson, lo scrittore che diede vita al giornalismo c.d. “gonzo” (quello che da spazio ad emozioni ed opinioni descritte con uno stile ben poco asettico) dopo una esperienza lavorativa in quel dei Caraibi. Intimo amico di Johnny Depp, morto in circostanze misteriose nel 2005 mentre pare stesse lavorando su ipotesi di complotto, viene omaggiato dal suo migliore amico con la realizzazione e conclusione di un progetto a cui l’attore teneva molto.
Di nuovo, come per “Paura e Delirio a Las Vegas”, siamo di fronte alla trasposizione su grande schermo di un libro con grossi tratti autobiografici in cui il protagonista viene interpretato da quell’amico che meglio di qualsiasi altro attore è in grado di riprodurre ogni movenza, intonazione della voce e tic più o meno voluto: Johnny Depp.
E ancora, come in passato, i soggetti attorno ai quali la narrazione si sviluppa hanno un serio problema nel rimanere sobri: Depp, Rispoli e Ribisi appaiono instabili e strafatti di alcol e droghe per la maggior parte del tempo. Anche qui domina un’accoppiata, il nostro Kemp e il coinquilino-collega-compagno di notti brave Sala, ma si avverte chiaramente la mancanza di un non-so-che rispetto alla pellicola del 1998.
Sono gli anni 60, siamo in un paradiso fiscale in procinto di venire cementificato sino all’estremo da avidi speculatori sprovvisti di una coscienza, quando un giornalista che ha smarrito la via approda al quasi fallito giornale locale per ottenere un’opportunità. La chance in effetti l’avrà, ma non come credeva inizialmente, saranno infatti prima una donna e poi la rabbia, le cause scatenanti di un cambiamento tanto cercato e mai ottenuto sino ad allora.
L’autore lascerà quel paradiso per tornare in patria e infine scrivere senza sosta con uno stile controcorrente ed eccentrico che farà la sua fortuna. E forse, è proprio l’assenza di uno script a tratti inappropriato e dirompente, con scene cariche di emozioni, quel qualcosa di cui si sente tanto la mancanza. L’opera è ben fatta ma sprovvista di un’anima e con il cast dall’alto potenziale presente sul set non possiamo che stupirci: nulla brilla, addirittura il ritmo crolla a più riprese e, complice la durata non proprio esigua, si rischia la pennichella.
Sorge il dubbio che la presenza sul set di Thompson avrebbe mantenuto sia il regista sia l’amico sulla retta via regalandoci un’inaspettata sorpresa in una stagione cinematografica (molto spesso) popolata da buoni “compiti a casa”. Sufficienza raggiunta, occasione sprecata.