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Recensione: Epitaffio per i vivi. La fuga. di Christa Wolf

Creato il 23 maggio 2015 da L'Angolino Di Ale @LangolinodiAle

Buon sabato a tutti! Oggi vi parlo della mia ultima lettura. Si tratta di "Epitaffio per i vivi. La fuga" di Christa Wolf. Non avevo ancora letto nulla di questa scrittrice tedesca e devo dire che questo racconto è stato davvero un buon inizio. Vi auguro buona lettura ed un sereno fine settimana!

Comunicazione di servizio : Prima di lasciarvi alla lettura della recensione, vi informo che dal 3 giugno entrerà in vigore una nuova normativa sulla privacy. Se anche voi avete un blog su WordPress.com vi consiglio di leggere post di Gaia dove vi spiega cosa è necessario fare per mettersi in regola. Anche " L'angolino di Ale " sta cercando di trovare la soluzione adatta e molto probabilmente cambierò piattaforma. Vi terrò aggiornati su eventuali "traslochi", stay tuned! ;-)

Recensione: Epitaffio per i vivi. La fuga. di Christa Wolf

Trama : Per la quindicenne che è l'io-narrante di questo testo, la madre Charlotte è il centro della famiglia, una madre amata che vigila su tutto e parla senza peli sulla lingua. Ma anche Charlotte passa sotto silenzio ciò che è ormai palese: che le notizie dal fronte sono preoccupanti e i convogli di profughi provenienti da est attraversano la città a intervalli sempre più ravvicinati. Fino a quel mattino di gennaio del 1945, quando all'improvviso in corridoio stanno pronti sacchi di biancheria imbottiti di roba, del quadro del Führer resta solo una macchia bianca sul muro e la madre ripone nell'armadio la sua volpe argentata con un gesto definitivo che sua figlia non dimenticherà più. In modo appassionante, toccante e con amorosa ironia Christa Wolf racconta i profondi grovigli di una famiglia, una quindicenne che diventa adulta, il trauma della fuga. Scritto nel 1971, questo racconto inedito è il preludio del successivo, ampio Trama d'infanzia, capolavoro autobiografico che ha avuto fino a oggi un'eco mondiale.

Recensione: Epitaffio per i vivi. La fuga. di Christa Wolf

Fuggire. A volte lo si desidera per evadere da una realtà che non ci soddisfa o di fronte a problematiche che non vogliano affrontare. Talvolta lo si fa per necessità, per evitare un pericolo e scappare in un luogo più sicuro. A quindici anni non è semplice abbandonare tutto e rinunciare a quelle piccole certezze accumulate fino a quel momento, per lasciarsi tutto alle spalle. Christa Wolf, la più nota scrittrice tedesca contemporanea, narra attraverso questo breve racconto autobiografico (preludio di " Trama d'infanzia") i sacrifici patiti durante la sua giovinezza. Ci troviamo nel gennaio del 1945, nel pieno dell' offensiva strategica che portò le forze armate dell'Unione Sovietica a combattere contro le truppe tedesche per l'invasione della Germania. Tali rappresaglie portarono i civili tedeschi ad abbandonare le proprie abitazioni per dirigersi verso zone di maggior sicurezza. Christa racconta in prima persona il disagio di dover lasciare tutto: la casa, gli oggetti, gli amici.

" Tutti avevano esperienze di fuga, tutti se n'erano stati svegli la notte a chiedersi se indossare due pullover uno sopra l'altro [...] sopra i letti di legno dei miei nonni era appeso un paffuto angelo ricamato che appoggiata il mento sulla mano e rifletteva sul motto: Anche se la speranza leva la sua ultima àncora, non scoraggiarti "

Inquadrata nei rigidi dogmi hitleriani, la giovane Christa fa emergere, tra le righe, quella necessità di essere forte e coraggiosa che caratterizza tutta la linea di pensiero del dittatore più temuto di tutti i tempi. Durante tutto il racconto tale sensazione si contrappone a quel senso di inutilità e di ricerca del significato di questo grande sacrificio che colpì, in quegli anni di fuoco, migliaia e migliaia di famiglie tedesche. È come se, velatamente, l'autrice si chiedesse: " Questa fuga ha un senso?". Molte cose non sono chiare, ci si domanda il perché di alcune decisioni prese da chi detta le regole del gioco. Quando ci si affida a qualcuno dalle idee folli, si corre il rischio di rimanere intrappolati nella sua stessa tela.

" Il nostro Führer era un quadro a olio formato 60×40 , sui toni del grigio [...] Non ci guardava [...] e ci mostrava il naso forte e dritto di profilo e un unico occhio grigioazzurro che era fisso e al quale perciò attribuivamo fermezza "

La fretta in cui viene organizzata la fuga non lascia spazio a grandi descrizioni ma solo a brevi frammenti di ricordo, attraverso i quali l'autrice ha tratteggiato cicatrici indelebili di storia. I suoi ricordi sono graffianti come cocci di un vaso rotto ed irrimediabilmente perso per sempre. Nonostante ciò, Christa sembra non abbattersi mai. Reagisce all'esodo forzato attraverso una presa di coscienza della situazione di provvisorietà della vita. Racconta, attraverso dei flashback, stralci di un passato complesso e di un'adolescenza rubata. La sua memoria narra di genitori, umili ed instancabili lavoratori, che le hanno insegnato a cavarsela sempre, senza arrendersi mai.

" Era fondata, dunque, la sensazione di potermi privare di tutto, di non dovermi aggrappare a niente "

Questo mio primo approccio con questa scrittrice è risultato più che positivo. Ho amato la sua schiettezza. La sua narrazione è veritiera e lucidissima. Questo racconto rappresenta quasi una missione attraverso la quale l'autrice sente la responsabilità di raccontarci, con assoluta sincerità,ciò che è realmente accaduto; quella cruda verità che nessun libro di storia potrà mai illustrare con la stessa autenticità di una testimone di quindici anni e della sua esperienza diretta.

" Una giovane tedesca non ha paura. [...] L'orrore è il sentimento peggiore "

È dura riuscire ad essere forti, senza scoraggiarsi, quando là fuori tutto è morte, distruzione, guerra. Ma Christa è una ragazzina astuta, amante dei libri ed attenta osservatrice di una realtà che annienta la sensibilità della gente, rendendola dura, indifferente. Il tutto è narrato con estrema cognizione sebbene, in alcuni passaggi, l'autrice sia quasi sul punto di esplodere, riversando in un fiume di lacrime tutta quella sofferenza e quel disagio che il regime nazista non le ha permesso di esprimere. La sua mente però è salda, , ben educata a non lasciar trapelare troppe emozioni.

Le ripercussioni di questo epitaffio sono tangibili e si riflettono su quei "vivi" che, su quel sottilissimo confine tra la speranza e la disperazione, hanno perso tutto, compresa la propria dignità.

" Gli spari sempre più vicini aboliscono le leggi alle quali ci si è sempre attenuti e l'immagine che tutti hanno fissato come ipnotizzati svela un asse longitudinale, sul quale ruota mostrando il suo rovescio orrendo, selvaggio "


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