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Questi miei ozi marini sono di norma dedicati alla lettura, ergo, eccovi questo interessante volume che faticherete assai a trovare, credo, in libreria, ma che vi darà piacere scovare (ed. Fogola) su qualche bancarella di mercatini polverosi. Già, il nostro Petruccelli della Gattina (nei suoi esili francesi detto De la Petite Chatte) è autore ormai scivolato nell’oblio che ha accompagnato tanti autori ottocenteschi, lui in particolare dopo i poco lusinghieri giudizi del Croce a ben altre penne abituato. Queste Memorie di Giuda sono il romanzo più importante della sua vastissima produzione e riflettono bene l’autore ed il suo tempo a dispetto dell’argomento trattato. Si tratta del più classico dei romanzi storici, un polpettone anche di greve lettura, argomentato dal noto schema del manoscritto ritrovato. Racconta appunto gli ultimi mesi della vita di Gesù attraverso l’occhio disincantato dell’apostolo più maltrattato dalla storia, quella scritta dagli altri naturalmente. In realtà la vicenda è impregnata completamente di tutti i condimenti risorgimentali e rivoluzionari del caso. In Giuda, ardente patriota, non si cela altri che un carbonaro repubblicano in continua ricerca dei modi per scatenare una rivoluzione che liberi finalmente gli Ebrei dal giogo degli odiati Romani. Appartenendo al partito liberista e laico dei sadducei, è in perenne conflitto con quei baciapile dei Farisei, con cui però, assieme alle altre correnti religiose presenti nel bailamme della Palestina del I secolo, dove profeti e Messia si vendevano un tanto al pezzo, non disdegnerebbe di fare alleanze pur di raggiungere il suo nobile fine. La strada ritiene di averla trovata scovando un sedicente Rabbi di paese, della periferica Nazareth, lanciandolo e facendolo crescere in credibilità nella capitale, al fine di metterlo a capo spirituale della rivolta che inevitabilmente si scatenerà contro l’odiato oppressore. Ma il Nazareno è riottoso a farsi manipolare, anzi chiarisce che la sua non è una rivoluzione politica, ma spirituale, perdendo così l’appoggio delle alte gerarchie del Sinedrio che in un primo momento avevano ritenuto di aver trovato la persona giusta a cui far guidare la rivolta. Il forte anticlericalismo dell’autore (cacciato dal seminario dopo aver scritto un pamphlet in cui augurava il crollo dello stesso e la morte del rettore) emerge di continuo nel raccontare dei miracoli prepararti con cura dai compari e di cui viene lasciato intendere il raggiro della credulità popolare, nel tratteggio della congrega dei discepoli profittatori e furfanti, nella figura del Rabbi così sognatrice ed al tempo stesso debole e travolta dagli eventi. Naturalmente anche la resurrezione è fasulla e ottenuta grazie alla complicità dello stesso Pilato e di apposito vino catalettico, inclusa la fuga finale a Roma dove Saulo, capita la potenzialità dell’inghippo prende in mano definitivamente il business. La stesura si potrebbe quasi definire predannunziana, con questo Giuda un po’ Andrea Sperelli che si aggira in ambienti descritti con la carica dell’esotismo erotico alla Delacroix , tali da far ricordare quegli ambienti delle rievocazioni della romanità del cinema muto. Spesso l’esteriorità degrada in un manierismo scenografico dalle volute liberty pour épater le bourgeois, ma non c’è dubbio che al tempo il libro abbia scosso gli ambienti del 1867 dando grave scandalo. Non un grande romanzo certamente, quindi giusto l’oblio che lo avvolge, ma interessante e suggestivo comunque, ricco di ricerca storica e riferimenti accurati, per cercare percorsi di successo comuni, anche se più degni di quanto non abbia fatto Dan Brown, tanto per citarne uno.
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