Parlare di politica, enti pubblici, ministeri e ministri in questo periodo e in particolar modo negli ultimi mesi nel nostro Paese può essere causa di malumore, sconforto se non addirittura di rabbia. Esausti di sentire notizie che mai esaltino efficienza, dedizione al cittadino e eccellenza, avvertiamo la necessità di ricevere rassicurazioni e conferme che vi sia la luce in fondo al tunnel. Perché, qualcuno che crede ancora nella carica che ricopre ci deve pur essere da qualche parte, no? Ma allora, come mai la mosca bianca non è mai riconoscibile ai nostri occhi?
“Il Ministro” di Pierre Schoeller ci offre una possibile soluzione al mistero, narrandoci la storia (di finzione!) del Ministro dei trasporti francese Bertrand Saint-Jean: uomo efficiente, innovatore diverso dai suoi pari, disponibile, forte di un ampio consenso interno (ed esterno) e poco incline alle concessioni per fini puramente politici. Nessuna tratta delle guarentigie sino al giorno in cui accade la disgrazia, che ironicamente distrae dai temi più scottanti e apre uno spiraglio al vecchio modo di fare politica. Pierre scivola, accusa il colpo e pian piano deve iniziare a tamponare le falle che si aprono nella sua struttura: staff che va, errori decisionali, pubblica gogna sempre in agguato e il tutto solo ed esclusivamente per salvaguardare carriera, fama e assicurarsi un posto sulla giostra sino alla pensione.
In questo mondo, per esempio, le privatizzazioni delle infrastrutture divengono merce di scambio al pari di riforme scolastiche, tagli alla sanità etc. insomma, i soliti argomenti che sentiamo tutti i giorni al TG. Punto di forza di quest’opera è sicuramente uno script sobrio che mostra in modo disarmante quanto sia semplice per un uomo entrare nel gorgo e non uscirne più. Un po’ come il vizio del gioco, qui è la visibilità e il voler primeggiare sugli altri compagni di “giochi” che insinua sottopelle il virus della dipendenza cronica.
Onore al regista, la fagocitazione del nostro eroe dura quanto basta per mostrarci la sua evoluzione emotiva, la contrapposizione tra vecchie abitudini e le necessità del nuovo millennio è portata all’estremo e il rapporto tra la realtà dei potenti e quella dell’uomo qualunque è ben esemplificata nel legame che si viene a creare tra il Ministro e il suo autista (un precario non più giovanissimo) che mai scivola nel piagnisteo nonostante l’epilogo.
Le lacrime però arrivano – anche se solo in senso figurato – nella seconda parte della storia, quando purtroppo il film perde il suo fascino e il ritmo: la narrazione rallenta sempre più, le inquadrature diventano più dilatate e vengono introdotti elementi voyeuristici di cui non sentivamo la necessità. La parabola dell’uomo brillante che entra nel sistema descritto inizialmente con abbozzato sarcasmo, chiude con dialoghi poveri che rendono la trama esile ed impediscono il coinvolgimento del pubblico.
“Il Ministro” è il classico film che parte bene, ma si perde nel bel mezzo del cammino avvicinandosi alla fiction. Forse, quindi,è più adatto al video casalingo che non alla sala cinematografica: voto dal 5 al 6. I cineasti francesi sanno confezionare opere più fredde, decise e dirompenti, di questa blanda pellicola.