Crescere durante gli anni ’70 in Argentina non deve essere stato il massimo del divertimento e se i propri genitori erano attivi politicamente, allora c’era addirittura l’alta probabilità di dover dire addio alla propria infanzia. Juan, un bambino pre-adolescente come tanti altri, obbligato a imparare quanto alto possa essere il prezzo dell’amore per la patria ancor prima di assaporare l’emozione dei primi baci, è il protagonista di “Infanzia Clandestina” e attraverso i suoi occhi vediamo una storia ben lontana dai noiosi resoconti sui desaparecidos o dall’ennesimo film-TV strappalacrime incentrato sull’immenso straziante dolore nel cuore dei sopravvissuti.
Juan ha dodici anni e istintivamente vorrebbe fare il bambino, giocare con i compagni, fantasticare sulle ragazze e, perché no, conquistarne una. Ma lui non è come i suoi coetanei, è tornato in patria sotto falso nome, in casa è circondato da attivisti politici e i genitori sono spesso assenti perché assorbiti da una causa che ritengono più importante della propria esistenza di singoli individui. Il piccolo a fatica, e con la complicità dello zio, riesce a ritagliarsi sporadici momenti di normalità e ancor più di rado alcuni attimi felici, destinati ben presto a svanire.
“Infanzia Clandestina” è un’opera giovane, nella produzione (molti i talenti emergenti nel cast sia tecnico sia artistico) e nel taglio, e forse proprio per questo motivo entra con estrema facilità sottopelle, nonostante l’adolescenza sia alle spalle da diverse decadi. Perché lo sguardo del protagonista, i timori, i comportamenti, le passioni e le pretese degli adulti immortalati dalle inquadrature, pur non appartenendo – nello specifico – alla nostra storia e cultura, sono universali e senza tempo.
La forza di questa pellicola risiede nel linguaggio semplice e diretto che, senza mai prendere a calci i presenti in sala (ammaliati e sempre più disarmati con lo scorrere del tempo), evitando qualsiasi espediente strappalacrime, non indica dove risieda il giusto e dove si ponga il confine tra egoismo e sommo altruismo, ma si limita a mostrare dove ci possa portare la nobiltà d’animo e la passione e, al contempo, quanto alto sia il prezzo da pagare in termini affettivi.
E poi, c’è quel dubbio, che s’insinua silenziosamente nelle nostre teste, non si sa bene come, ma alla fine è evidente e ci pare di poter leggere a chiare lettere sullo schermo una sola domanda: “la passione può accecare al punto da non farci più percepire che abbiamo superato il limite, che stiamo annientando il nostro io in nome di una causa, e soprattutto che stiamo ferendo i nostri cari?” Perché il piccolo Juan non mette mai in dubbio l’amore dei genitori, ma la pretesa di tenerlo sino alla fine al loro fianco è la primaria fonte di tutti i suoi traumi!
“Infanzia Clandestina” è una storia sulla passione: per la famiglia, per un’idea, per una nazione, per la libertà; è l’accurata e gentile narrazione di un immenso dolore dominato dagli istinti che non vuole mai turbare lo spettatore (nelle scene più crude il filmato viene sostituito dal disegno in bianco e nero) perché alla fine è un forte e chiaro inno alla vita!