L’8 marzo si avvicina a grandi passi e i palinsesti dei nostri cinema si stanno riempiendo di pellicole con protagoniste assolute le donne, tutte diverse ma a loro modo forti. Dopo “La Cuoca del Presidente”, oggi apriamo la nostra carrellata con “Just like a Woman”, il nuovo lavoro del noto regista di origini algerine Rachid Bouchareb. Un film rosa e orientato ad un pubblico amante del genere, non una storia strappalacrime, né un’avventura carica di suspense e scordatevi di vedere inseguimenti tra gli immensi canyon americani. Non siamo sul set di “Thelma e Louise” 20 anni dopo e le protagoniste non sono così audaci (o fuori di testa) e non devono liberarsi da violenze inaudite, necessitano solo di un cambiamento.
Il profumo dello storico film con le esplosive Susan Sarandon e Geena Davis si sente forte e chiaro, ma qui non viene proposta alcuna versione 2k della storia che tutti conosciamo, l’adrenalina in questa pellicola scarseggia e ci si domanda se sia una forma di rispetto verso Ridley Scott oppure se si volesse raggiungere altro scopo ma, in tal caso, ho bisogno del vostro aiuto per coglierlo.
Tutto è molto tranquillo in “Just like a Woman”, dalla fotografia, allo stile narrativo morbido sino alla storia che non disturberà il sonno di nessuno. La pellicola non eccede e le immagini non turbano, anzi, il problema in questo caso è opposto: ci pare di essere in una valle fatta di silenzio e assopimento in cui lo spettatore spera avvenga quel qualcosa in grado di ridestare la sua curiosità.
Questa è, infatti, la storia di due donne, Marylin e Mona, con origini diversissime e con due mariti altrettanto differenti nell’indifferenza, unite dalla tristezza. La prima, dopo l’ennesima mortificazione, esasperata salta in macchina per inseguire – per la prima volta nella sua (giovane) vita – i propri sogni; la seconda, invece, alla morte della suocera si terrorizza e scappa senza meta con rinato coraggio di vivere.
Le due ragazze, sino al giorno prima accomunate solo dal minimarket di quartiere, si incrociano per caso ma riescono a formare un sodalizio che appiana le differenze e rende ben presto il loro legame l’unica cosa solida delle proprie frantumate esistenze.
La voglia di fare un’opera intimistico è molto forte, l’omaggio al c.d. sesso debole pure, le due protagoniste di questo on the road da Chicago a Santa Fe hanno il volto di Sienna Miller e di Golshifteh Farahani (già apprezzata nel magico “Pollo alle Prugne”) e la delicatezza in regia non viene mai meno, ma tutto questo non è sufficiente a promuovere un film debole che non riesce a imporsi né come dramma né come avventuroso viaggio alla ricerca di sé e, nonostante la presenza di un cadavere, non tenta neppure di introdurre un po’ di tensione.
Malgrado i curricula e le buone intenzioni di tutti, la prova ha poca personalità e temo verrà presto dimenticata: bocciata.