La spinta definitiva me l’ha data una opinione sentita tra gli armadietti: ”film americano per gli americani”. Frase che farebbe schizzare alle stelle la curiosità di chiunque e che quindi mi ha fatto correre in sala. Sciogliamo subito il dubbio: l’opera è decisamente americana e il messaggio è immediato per i figli dello zio Sam, mentre a noi poterebbe risultare mediato, ma non impossibile, da captare.
Prendendo spunto da una pièce, l’opera è incentrata sul teatrino mediatico delle elezioni primarie statunitensi, pretesto perfetto per dire senza mezzi termini, ma con intelligenza e grazia, al proprio paese di svegliarsi dal torpore in cui pare versare.
Il film è nelle sale da talmente tanto tempo da far sorgere il sospetto che abbia goduto anche dell’implicito contributo del fascino dell’astro nascente Ryan Gosling abbinato a quello del sempreverde George Clooney. Facile è scivolare nell’inganno e credere che i belloni ci faranno sognare e, in effetti, pur non essendoci alcun concorso di bellezza, rimaniamo per due ore sulle corde. Assistiamo ad una gara di arguzia, ad un susseguirsi di colpi bassi e ad un farsi le scarpe a vicenda senza crisi di coscienza perché parliamo di politica, anzi di conquista dei potere a palazzo, in cui l’errore non è ammesso. Si vince o si perde, si è in or out, la clemenza non appartiene a questo mondo. Sin dalle prime inquadrature si comprende che questa battaglia verrà combattuta sino alle estreme conseguenze e che quindi solo un cast dalle alte doti recitative potrà reggere il ritmo e non portare all’insuccesso un’opera potente.
Il regista dimostra di non sbagliare un colpo, una inquadratura, una battuta (anche se – probabilmente – l’opera teatrale di Beau Willimon ha dato un aiuto). Sempre più sicuro di sé, sia davanti che dietro la macchina da presa, George-Nespresso-Clooney ci regala un gran bel film con cui prova a scuotere (con intelligenza e senza sensazionalismi) la gente comune e non. Perché la morale di questo gioco al massacro non è circoscritta alla politica e diretta alle alte sfere, il fatto che a certi livelli le “porcherie” siano all’ordine del giorno, mentire diventi un hobby e scendere a compromessi a discapito dei propri ideali sia l’unico modo per ottenere soddisfazione, non è argomento nuovo nel cinema.
Fa invece riflettere che ci si rivolga all’elettorato, alla popolazione adulta e senziente, che subisce passivamente ogni capriccio di chi conta e le si ricordi che una nazione è fatta dai suoi cittadini e senza il loro supporto e voto nessuna persona otterrà mai alcun potere. Esso è invece saldamente nelle mani del popolo che spesso si dimentica non solo di poterlo usare ma di possederlo.
La narrazione è abile, è una crescente suspense che di fatto riesce a proporci una storia drammatica travestendola da thriller e noi ci ritroviamo immediatamente nella stanza insieme ai protagonisti, con una immedesimazione che è pressoché totale. Avvincente e convincente film, come da molto se ne sentiva il bisogno, che vuole indurci a riflettere sull’assenza di valore della parola data in un mondo in cui proprio con le parole si riescono a creare molte realtà illusorie e/o effimere, pericolose distrazioni da temi importanti che porterebbero a far vacillare i giganti.
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