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Recensione film The Immigrant – C’era una volta a New York

Creato il 15 gennaio 2014 da Masedomani @ma_se_domani

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In un’epoca di crisi economica, di forte emigrazione verso paesi che offrano lavoro e vita più sicura, James Gray, regista da sempre ammaliato dagli aneddoti di famiglia, decide di portare su grande schermo il passato dei suoi avi e di molte altre persone. Un pezzo di storia del secolo scorso che vedeva, per motivi diversi e atroci, moltitudini di europei cercare fortuna nel Nuovo Mondo.

Ellis Island era il primo vero ostacolo a un nuovo inizio: ogni emigrante veniva esaminato, visitato e osservato prima che gli venisse concesso di entrare nel Paese delle opportunità. Donne sole e senza un referente sicuro sul territorio erano rimpatriate  ogni giorno. Nonostante le migliori intenzioni, la presenza di favoritismi, ripicche e alleanza, dilagava anche su quell’isola. Non erano, quindi, infrequenti ingiustizie animate dal portafoglio o dallo scambio di favori.

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Ewa (Marion Cotillard) è una giovane e bella donna in fuga dalla Polonia devastata dalla guerra mondiale, che riesce a imbarcarsi con la sorella alla volta di New York, città in cui vivono gli zii. Ma l’immigrazione ospedalizza per un’infezione polmonare Magda e nega il visto ad Ewa adducendo l’inesistenza dell’indirizzo riportato sui documenti di viaggio e la poca moralità tenuta dalla donna durante la transoceanica. Qualcosa chiaramente non quadra, l’accanimento nei confronti della ragazza è eccessivo, ma non sappiamo esattamente il motivo. Non ci resta che attendere e assistere alla parabola discendente della giovane mentre tenta in tutti i modi di rimanere dov’è e di ricongiungersi con l’unico familiare che le è rimasto.

Integrazione, sfruttamento, fini che giustificano scelte discutibili, ostilità per sopravvivere, sfortuna senza fine, ma anche redenzione e seconde opportunità (davvero agognate) sono narrate attraverso una manciata di personaggi che da soli riescono a fotografare un’intera epoca.

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Complice una fine e accurata fotografia (del bravissimo Darius Khondji), che rende l’opera quasi un viaggio dentro gli scatti dei nostri nonni; supportato da un cast strabiliante in cui Marion Cotillard è, sin dai primi impietosi primi piani, un’incredibile eroina romantica, forte e fragile tipica di storie andate, ma che molto ancora può dire e insegnare oggi; il film è visivamente impeccabile, ma il taglio da melodramma retrò, con alcuni passaggi addirittura simili ad una soap in costume (quasi una versione rimodernata di “Moll Flanders”), non ci ha catturati del tutto nella sua tela.

Le (dis)avventure di una donna che trova il lato positivo nelle ingiustizie, che perde tutto tranne il proprio obiettivo (ricongiungersi con la sorella), ma anche l’espiazione di un uomo che ha talmente subito da essersi tramutato nel suo peggior nemico, e che per amore è disposto a tutto, vuole impartirci una lezione ben più di quanto dovrebbe. L’aria è pensate, si percepiscono toni elegiaci, talvolta sembra di udire omelie, che preferiamo ignorare per focalizzarci sulla recitazione dei tre attori principali (Marion Cotillard/Ewa è contesa da Joaquin Phoenix/Bruno e Jeremy Renner/Orlando), convincente come non mai, motivo per cui non demoliamo un film che non passerà alla storia.

Voto finale: 6+. Tutti troppo bravi perché paghino le conseguenze delle scelte di un singolo o di alcuni.


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