Fratelli unici, un film di Alessio Maria Federici. Sceneggiatura di Luca Miniero e Elena Bucaccio. Con Raoul Bova, Luca Argentero, Carolina Crescentini, Miriam Leone.
Uno fa il chirurgo ed è uno stronzo, l’altro è uno smandrappato stuntman femminiere incorreggibile. Fratelli diversi, anzi unici. Poi al primo capita un incidente che gli fa perdere la memoria. E le cose cambiano: con il fratello, con la ex moglie ecc. Già l’idea dell’amnesia non è il massimo della novità. Ma qui a rovinare le cose ci sono dialoghi ansimanti, un’intenzionalità edificante, la coazione a edulcorare e smussare. Voto 3
Pessimo, oltre ogni più pessimistica previsione. Dialoghi sconfortanti, con sentenziosità e moralismi disseminati (abbondamentemente) qua e là che tolgono a questa commedia ogni aculeo, arrotondano ogni spigolo, inibiscono ogni guizzo e ogni possibile volo oltre la medietà. Producono Matilde e Luca Bernabei per Lux e Rai Cinema, e l’odore stantio di Don Matteo, se non sbaglio il prodotto-guida della casa, si fa sentire fin qui. Qui, in questo Fratelli unici che pure sembrerebbe a un primo, superficiale sguardo una commedia di una qualche brillantezza e di una qualche ambizione non cinepanettonica, e rivolta a un pubblico young adult abbastanza scafato. Ma le fintissime trasgressioncine e maleducazioni e giovanotterie tipo il dito medio alzato alzato della caruccia, perfin troppo, Miriam Leone al vicino Luca Argentero (ma chi disprezza, compra; dunque si sa già come va a finire tra i due), tipo il loft con tanto di scritta al neon Black Hole che fa tanto New York sul Tevere (siamo a Roma difatti), non ce la fanno a nascondere quel sapore di sacrestia donmatteiana, quella compulsione e coazione a svoltare in Bene e in Buoni Sentimenti e in Discorso Edificante anche le peggio cose, e le peggio gesta dei peggio stronzi. Con quel trionfo dei family values (io non ho niente contro la faniglia, anzi son dell’idea che la si debba sostenere e difendere in questi tempi complicati) anche oltre ogni buonsenso e ragionevolezza. Mi riferisco al finale che aggiusta i cocci tra Raoul Bova e la ex Carolina Crescentini, e chi ha visto il film capirà. Perché se vogliam realizzare un prodotto pro-family va benissimo, però che il messaggio venga veicolato attraverso un plot convincente, una scrittura adeguata, una sceneggiatura astuta, uno storytelling acchiappante. Sennò siamo alla predica, al filmuccio con tesi incorporata, al teorema già dimostrato in partenza, e non va. Che poi, già lo spunto narrativo su cui si impianta Fratelli unici non è il massimo del nuovo, anzi è tra i più frusti déjà-vu della storia del cinema. Dico, ma quante volte l’abbiam vista la storia dell’amnesia di un tizio o tizia che provoca un effetto a catena, anzi a valanga, su famiglia, amici, colleghi e quanti altri dei dintorni umani del soggetto colpito? Dico solo A proposito di Henry e un film italiano dell’anno scorso con Ambra Angiolini e Edoardo Leo, Ti ricordi di me?, per non parlare di Se mi lasci ti cancello ecc. ecc. Ma avanziamo con ordine. Pietro e Francesco – e meno male, due bei nomi italiani veri, una delle poche cose buone del film – sono i classici fratelli diversi, anzi opposti e tendenzialmente serpenti. Il primo (Raoul Bova) è un chirurgo di fama e successo egoriferito e votato solo al proprio interesse personale, l’altro (Luca Argentero) uno stuntman sempre a corto di euro, sempre a caccia di figa, eterno ragazzo sempre al di qua della soglia della responsabilità e della maturità. Il primo odioso, il secondo simpatico, perfino troppo, fino alla piacioneria. Poi Pietro, il chirugo, per via di un incidente perde la memoria: chi sono? dove mi trovo? cosa è successo? come mi chiamo?, ma come, tu sei mio fratello? ma se io non ho fratelli. Ecco, ci siamo capiti, quel genere lì di cose. Oltre che smemorato, regredito pure a uno stadio infantile, che manca solo che si succhi il pollice. Si dovrebbe ridere, ma non ce la si fa. Bisogna reinsegnargli tutto, a partire dal significato delle cose e dai loro nomi, e questo è il water e questo il bidè ecc. Se lo prende nel loft, con scarsa voglia, il fratello smandrappato stuntman, giacché la ex moglie (con cui lo smemorato condivide una figlia adesso grandicella) non ha nessuna intenzione di curarsene visto che sta per risposarsi con un altro, peraltro noiosissimo e inostenibile. Ecco, le figurine son state messe tutte sul tavolo, la partita, prevedibilissima, va a incominciare. Lo stronzo Pietro da senza memoria si rivela essere più sopportabile, tra lui e il fratello si instaura un qualcosa che somiglia a una vicinanza. Il resto della storia procede in automatico, tant’è che alla mezz’ora si è già capito tutto. Ma il guaio non è questo, il guaio è il tono dolciastro con cui l’operazione viene condotta e la cartavelina profumata al talco con cui i vari personaggi vengono incartati. Se appena appena un’asperità si affaccia, vien subito piallata via. Nessuno è mai veramente una carogna. Anche i personaggi più stronzi sono tali perché non sanno di essere nel loro fondo degli angeli. Basta farglielo scoprire. Anche Frank Capra la pensava così, ma qui di lui e del suo genio non c’è traccia, e peraltro i tempi son cambiati parecchio. Sugli attori non vorrei dire più di tanto. Qualcuno si salva, e l’unico che si sbatta davvero per cavare anche l’impossibile dal film e dal suo charcater è Luca Argentero, che però non ce la fa ad arginare più di tanto il disastro. La scena in cui la figlia di Bova e della Crescentini racconta del suo impegno ecologista e della borsa di studio (o qualcosa del gente) cui vuole concorrere a non so quale missione ambientalista, è tra le più brutte e imbarazzanti cui mi sia capitato di assistere al cinema da molto, molto tempo in qua. Certo che la mano di Luca Miniero (regista di Benvenuti al Sud e poi al Nord e di Un boss in salotto) alla sceneggiatura la si sente poco, dell’ironia acre che ha sparso in altri suoi film qui resta solo una labile traccia.