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[Recensione] Gone Girl (di David Fincher, 2014)
Creato il 07 gennaio 2015 da Frank_romantico @Combinazione_CCredo che ben pochi registi contemporanei possano vantarsi di aver lasciato un segno tangibile del loro percorso. Ancora meno registi contemporanei (tutt'ora in vita) possono affermare di aver cambiato il modo di fare cinema. Di aver agito e di aver ottenuto una reazione, loro, in prima persona. Me ne vengono davvero pochi in mente, ma sicuramente David Fincher è uno di questi. Era il 1995 quando questo signore (all'epoca trentatreenne) arrivò zitto zitto e sganciò la bomba Seven su tutti noi, certamente non il capolavoro di cui molti parlano ma un film che ha cambiato modo di fare thriller. Opera seconda e già boom, tutti giù per terra nonostante una certa immaturità di fondo tradita da quello stile un po' videoclipparo (Fincher veniva dalle pubblicità e dai videoclip musicali) che lasciava intravvedere l'incredibile capacità poetica del nostro. La capacità di sovvertire i canoni di genere, di cambiare punto di vista, di prendere un film su un serial killer e far sparire il killer, di basare una detective story sui detective e non sulla story. Idea che Fincher sviluppa con maturità nella sua sesta pellicola, il suo capolavoro, Zodiac (2007), dove del killer ci si dimentica e ci si concentra sull'ossessione. E io pensai "lo ha fatto per la seconda volta, lo ha fatto persino meglio".
La decima pellicola di David Fincher, Gone Girl, è arrivata a fine 2014 giusto il tempo di diventare uno dei migliori film dell'anno. Un thriller nato dalla penna di Gillian Flynn, autrice della sceneggiatura e del romanzo omonimo da cui il film è stato tratto. Niente di strano visto che Fincher non è mai stato autore delle sue pellicole, se per autore si intende chi partorisce il soggetto. Se invece parliamo di autorialità, beh, Fincher diventa uno dei più grandi autori di questo secolo, perché le sue opere mantengono un'identità assoluta che le accomuna e le rende "percorso".
In Gone Girl c'è tutto quello che rende un film film di Fincher. C'è la critica massmediale, i demoni interiori di ogni personaggio, il thriller che perde la propria fisionomia e diventa altro. L'estetica pulita, la sporcizia che si fa patinata e ordinata, la finzione. Ecco, la finzione è alla base di ogni crimine premeditato. Premeditazione coincide spesso con simulazione e simulare è quello che fanno quasi tutti i personaggi di Gone Girl. E' quello che facciamo noi. Ce lo impone la società, la famiglia, la vita sentimentale: elaborare un piano che ci permetta di essere felici, accettati, apprezzati. Una prigione comunemente accettata, spesso desiderata, da cui è impossibile evadere. Pena la morte, fisica o sociale essa sia. In un certo senso queste regole si adattano anche al mondo del cinema.
La recensione, da questo punto in poi, contiene spoiler. Se non avete ancora visto il film (male) staccatevi dal pc e correte al cinema, poi tornate qui e continuate a leggere.
Fincher, alle regole che impone il thriller (e Hollywood) non si è mai sottratto. Per questo, secondo me, è il più grande regista commerciale di genere tutt'ora in vita. Però con queste regole Fincher ci ha sempre giocato, ci ha sempre lavorato per farci poi un po' quel cazzo che gli pare. Per questo la sua ultima pellicola è tratta da un libro (che io non ho letto) che sembrerebbe fare la stessa a livello narrativo. Lo do per scontato considerando che lo sceneggiatore è la stessa autrice. Infatti Gone Girl è virtualmente diviso in due (forse addirittura in tre) con una prima parte dalla struttura classica che vede un uomo alle prese con la scomparsa della moglie e i relativi indizi che lo accusano di tale scomparsa. Un uomo la cui vita appare come un'enorme bugia, il tipo di carnefice da Tg nazionale. Nick Dunne è l'arrampicatore sociale che, stanco dei vincoli matrimoniali, ha ammazzato la bella, brava e intelligente Amy Elliott. Il classico uxoricida contro cui si accaniscono stampa, società e polizia. Il film procede, in tal senso, come un thriller tra i tanti, ammucchiando indizi (anzi, prove), raccontando la verità attraverso le parole postume della vittima e tendendo verso una soluzione assolutamente scontata.
Poi però le cose cambiano e, andando contro quel che ci si aspetterebbe da un thriller, la soluzione viene svelata e il film prende una strada altra, divenendo diverso da se stesso. Perché, ad un certo punto, la verità ci viene sbattuta in faccia e Amy, la povera mogliettina assassinata, si rivela in tutta la sua psicoticità, una donna che ha agito in maniera programmata per rovinare la vita del marito, reo non tanto di averla tradita quanto di aver rovinato un piano perfetto: la vita stessa della coppia. Perché Amy, inserita perfettamente nei meccanismi di cui sopra, ha basato la propria esistenza sul mantenimento degli stessi: tendendo verso una vita perfetta, l'ha premeditata, l'ha modellata. Nick si è rivelato, per lei, il marito prefetto proprio per la tendenza dell'uomo di lasciarsi trasformare, conscio dei benefici che ne avrebbe tratto. In effetti le cose cambiano nel momento in cui il meccanismo si infrange e in Nick (quindi nella coppia) subentra l'insoddisfazione. Colui che è stato complice di una finzione condivisa suo malgrado, vede le crepe di un'esistenza che non sa accettare e crea una messa in scena tutta sua attraverso una storia d'amore (forse reale) con una sua studentessa. E' allora che Amy, vedendo infrangesi il sogno in cui tanto si era prodigata, decide di punire Nick. La sua vendetta, a quel punto, diventa frutto della psicopatologia che l'affligge: il suo scopo non è liberasi del marito per poter ripartire da zero, il suo scopo è vendicarsi della fine stessa della sua esistenza, quella pubblica/sociale che coincide con quella fisica.
Quindi in Gone Girl l'attenzione si sposta dalla situazione ai personaggi, svelandoli nel privato fino a renderli pubblici. Aprendoli, analizzandoli, svelandoceli. Procedendo verso una risoluzione che di certo non è quella classica, quella che lo spettatore si aspetterebbe: il finale di Gone Girl è quanto di più cupo e pessimista possa esistere, con la situazione iniziale che viene ristabilita, persino rafforzata. Perché l'unico modo per liberarsi da quella prigione, l'ho già detto, è morire. La finzione che racconta Fincher è implicita nel dna del suo cinema. Chi ne è al di fuori è reietto, folle o, più semplicemente, diverso. Ma Fincher non emette mai sentenze contro i suoi personaggi.
Non esiste bene o male, giusto o sbagliato: qualsiasi visione manichea del mondo viene esclusa. Nick è un figlio di puttana ma non si merita quel che gli sta succedendo: è un essere umano, non un mostro. Amy è una psicopatica ma resta una donna tradita e ferita, che vede il proprio mondo infrangersi. Tutto intorno i media, pilastro di quel sistema, pronti ad emettere giudizi e a cambiarli, determinati a mantenere lo status quo, avvoltoi sintetici di storie umane. E infine la gente, sciocca, manipolabile, una massa insignificante che non sa, non capisce ma pensa di capire, che non vuole sapere, le basta poterne parlare. Che va dove tira il vento.
Gone Girl è un film che impone un nuovo modo di concepire il cinema (commerciale) di genere. Diretto con quello sguardo asettico di un regista che non cede mai alla tentazione del puro esercizio di stile, che si avvale di geometrie perfette e di un montaggio secco. Un vero architetto del cinema. Infine, un regista che dimostra ancora una volta di saper dirigere i suoi attori, di saperli scegliere. Ben Affleck è un cane ma è perfettamente adatto al ruolo. Rosamund Pike è una grande attrice e in questo film è eccelsa. I comprimari sono quelli giusti al momento giusto, tutti perfetti, tutti immersi in ruoli importantissimi, piccoli o grandi essi siano. Gone Girl è un filmone per tutti questi motivi. Ma soprattutto è un grande film per il semplice motivo che, nel suo essere diretto al grande pubblico, è riuscito a creare polemiche e a far parlare di se come avrebbe fatto qualsiasi film di nicchia capitato per caso alla ribalta. Meditate gente. Meditate.
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