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Recensione: Gray, di Francesco Falconi

Creato il 21 maggio 2014 da Mik_94
Ciao a tutti, amici! Come state? Io sono tornato all'università, anche se in un lunedì posticipato di due giorni, per la fine dei corsi. Manca poco e, ehi, manca poco anche alla fine del secondo libro della temibile Storia della Lingua. Qualche oretta gliel'ho sottratta, mi siete testimoni, ma non ditelo in giro. Ho lavorato, questa mattina, alla recensione dell'ultimo romanzo che ho letto: il chiacchierato Gray. Vi lascio con le mie riflessioni personali e ringrazio personalmente Francesco per aver voluto che lo leggessi. Sì, quella metà faccia nella prima foto è la mia: è vero che dovevano scegliere me per la copertina?! Imperdonabile. Avrei avuto una perfetta faccia da... cover. Già. Scherzando scherzando, vi abbandono anche oggi. M.
Siamo cuori in fiamme soffocati in un'anima nera.
Recensione: Gray, di Francesco Falconi Titolo: Gray Autore: Francesco Falconi Editore: Mondadori “Chrysalide” Numero di pagine: 372 Prezzo: € 17,00 Sinossi: Dorian osserva l'Anima Nera strisciare sulla sua pelle come un tatuaggio, avvolgersi alla spalla e raggiungere la sua schiena. È il serpente oscuro che l'ha condannato a un inferno in terra: l'immortalità. Cent'anni prima, di fronte a un ritratto che esaltava la sua bellezza, Dorian ha osato desiderare di rimanere giovane e seducente per sempre: il suo desiderio è stato esaudito, ma il prezzo da pagare è un baratro infinito di estasi e perdizione. Layla è tormentata da un demone che le toglie il respiro, la ragione e la volontà. È prigioniera di un corpo che sente disarmonico e deforme. Il suo rifugio è l'arte, e quel ritratto di ragazzo che da sempre disegna con precisione maniacale, occhi di ghiaccio e corpo perfetto, pur non avendolo mai conosciuto. In una Roma incantevole e superba, Dorian e Layla stanno per incontrarsi e i loro destini si allineano come tessere del domino in attesa di essere sfiorate.                                                  La recensione Recensione: Gray, di Francesco Falconi Vissi d'arte, vissi d'amore.”  Il sogno di un'epoca lontana, di un'altra vita. La speranza di divorare il mondo con gli occhi, di metterlo a posto con le proprie mani, e di riempirlo fino all'orlo di cose belle. Un vaso di Pandora finalmente libero dai mostri della notte, una coppa di splendore. L'appello al passato remoto che una Tosca con la voce di Maria Callas intonava a Dio. Tosca, l'infelice Tosca. La chimera, il melodramma, la tragedia in tre atti. Un salto nel vuoto, in cerca dell'eternità sul fondo buio del baratro. Anche Dorian Gray visse così. D'arte, d'amore. Nelle parole ispirate di Oscar Wilde, tra i salotti di una tetra Londra vittoriana e case del piacere. E morì, così. Una cornice squarciata per privarsi dell'arte, un pugnale nel petto per condannare l'amore. La pace, alla fine, ritrovata nell'unico spiragio che c'è d'eterno: la morte. Francesco Falconi ci ha stupiti spesso con un'originalità fuori dal comune. Con uno stile duttile, malleabile come metallo. La sua immaginazione è la fucina in cui la trasformazione diviene possibile. Il ferro battuto diventa spranga, spada, lancia, oro. In Muses aveva illustrato le strategie e le insidie di un mondo complesso: le dee delle arti scendevano sulla terra, camminavano su tacchi alti o sulle suole di un paio di scarpe da ginnastiche, si sporcavano, si uccidevano, risorgevano dalle ceneri. Anche il suo Dorian lo è. Una musa. Ispirazione per uomini ossessionato dal suo viso, dal suo corpo, da pennellate che riescono a immortalare solo i lineamenti prodigiosi di chi non è mai invecchiato. Di chi non è mai morto, perché semplicemente non poteva. Gray è l'ipotetica risposta a una domanda lanciata all'aria. E se... Se, in quella stanza umida di tanto tempo fa, la creatura di Wilde non avesse conosciuto il gusto del riscatto, la soddisfazione di una definitiva disfatta, il riposo agognato? Se il seduttore, la musa, il demonio racchiusi nella sua unica persona fossero giunti alle soglie della modernità, in questa nostra era tecnologica e dissipata? Come scontare, allora, il prezzo del per sempre? L'originalità è insita nell'idea stessa. Usare un personaggio iconico, leggendario, come protagonista di una storia nuova. Un doppelganger: sì. Un doppelganer: no. L'autore non si lava le mani sulla scia di un Pilato qualsiasi. Dorian è Dorian. Una responsabilità, una certezza. Ha cambiato nomi, paesi, identità; ha incontrato le copie riflesse di Henry e Basil e, per istinto, si è avvicanto a quelle esistente sottratte al passato, in misteriose vite parallele e rinascite inspiegate. Un surrogato del padre, il primo. Un rimpiazzo del pittore che lo dipinse e lo amò di un amore insano, il secondo. Remake entrambi. Déjà vu. Il protagonista ha messo a distanza la noia, a bada il desiderio di una casa. Ha visto crescere i semi delle Avanguardie Storiche, ha conversato con Dalì, è stato gallerista in Europa e gigolò in ogni altro luogo. Roma, Firenze, Venezia, Siena, Praga: il suo corpo sempre uguale come bagaglio e unico lasciapassare, il richiamo dell'arte a influenzarne le tendenze e le infinite traiettorie. Layla Vanni è una studentessa universitaria con la stanza piena di ritratti di Dorian Gray: il suo Charming Prince. Non lo conosce, non sa se sia reale oppure no, ma è una passione intensa. Un hobby strano, un lavoro di immaginazione. Lei non si vede. Non sa descriversi, non sa disegnare il suo stesso profilo. Le sue mani abili disegnano linee comuni, il carboncino gratta il bianco della carta per formare l'ombra di un naso, la sfumatura di un labbro, una palpebra, una voglia a forma di fiore. Ombre fitte e nere. Come quella che la perseguita. 
Recensione: Gray, di Francesco Falconi Un mostro, per lei che si percepisce mostro. Evita di specchiarsi, odia il chiasso, adora Frida Kahlo. Osessionata, come lei, da un corpo ostile che le si è rivoltato contro. La bellezza era anche il suo demone. L'entrata di Dorian nella sua vita è trionfale. Teatrale, queer. Ballerini sui tacchi a spillo, calze a rete, costumi succinti color carne. Monaci seduttori, chiese sconsacrate, una Roma chiesa e bordello come in Sorrentino. Gaga, Madonna, Adam Lambert, la regia di un Almodovar. Mucca assassina. Eternità assassina. Vacca sacra, Nirvana, limbo. Purgatorio e inferno. Layla è la sua sfida, l'ennesima vittima. La più difficile. Divorerà a morsi la sua innocenza. Lui è una tela da riempire in cui si incontrano e si scontrano i tratti del Bel Ami di Maupassant, la spigolosità del Conte di Valmont; le Cruel Intensions – dunque – dei fratellastri incestuosi Sarah Michelle Gellar e Ryan Philippe. Ho bramato quei rari flashback come l'acqua: assolutamente intriganti, ben inseriti. Il Dorian che si muove all'interno di quei ricordi – spietato, calcolatore, egocentrico – è quello che ho preferito. E' bello, ma il fascino, secondo me, è slegato dalla perfezione di un viso, dalla solidità dei muscoli, dal bianco di denti drittissimi. Lui ha forme troppo nette e precise. Terreno, ultraterreno. Il Dorian che ho sempre immaginato io è un Peter Pan guidato da una fata nera. Un bambino col volto pulito, il fisico asciutto, la fronte spianata. Gli uomini e le donne vogliono possederlo per quell'innocenza astratta, per il suo corpo da angelo in terra. Fragile, pallido, efebico. Il protagonista di Falconi è più aitante del Ben Barnes che gli diede il viso nella libera trasposizione cinematografica del 2009, meno comune del Reeve Carney della serie rivelazione Penny Dreaful
Recensione: Gray, di Francesco Falconi La bellezza la vedi, la vuoi, la fai tua. Il carisma è qualcosa di più sottile, sotteso, vago, però. E' un tarlo. E' saper persuadere con la nuda parola. L'estetica di Oscar Wilde viveva dell'arte per il gusto dell'arte. E il coerente Dorian Gray dei giorni nostri vive del bello per il gusto del bello. E' un modello, un ballerino, una creatura notturna. Io, tuttavia, se rileggessi il capolavoro dell'autore ottocentesco, penserei – ora - al Dane DeHaan di Giovani Ribelli. Al Lucien Carr del movimento Beat, vale a dire; al Lucignolo del Pinocchio Allen Ginsberg. Un metro e settanta, sessanta chili, faccia nella media, occhi blu. E' tutta questione di atteggiamento: un languore inespresso, dato da una consapevolezza non palesata. Qualcosa che si muove nel profondo; dietro le palpebre, sotto la stoffa della camicia. Figlio della Pop Culture, Gray parla di redenzione. La storia di una Bestia che, in un frammento stroboscopico di infinità, guarda la sua rosa nera spogliarsi di tutti i petali. Una delle stonature che, personalmente, ho rintracciato, è legata giusto al cambiamento del protagonista: troppo concreto. A dialoghi finali che mantenevano una parvenza troppo da favola. Più che dolci, dolciastri: momenti romantici ritagliati in altri apparentemente pieni di disperazione; inscatolati nella speranza di non far danni. Poi, salvifica, una scena grandiosa a liberarmi da quella smorfia venuta per caso: un zoom puntato nella squallida stanzetta di una persona che ama morbosamente. Chi non dovrebbe, come non dovrebbe. Quell'alone fiabesco accoltellato con brutalità e coraggio, quel sentimentalismo zuccheroso – almeno per chi, come me, il caffé lo prende amaro – stordito dai pesticidi. Per protagonisti interessanti, ma insieme un po' meno, in una cornice ordinaria che aggiunge realismo alla vita di Laya e sottrae perdizione a quella di Dorian. Falconi è una specie di kamikaze. E' bravo, ma fino a che punto ne era consapevole? Ha una bella prosa – secca, personale, con una musicalità ricercata, quasi tribale. Ma una bella pagina, una penna affilata, un'idea buona servono a farti capire che ciò che fai è giusto? Che quella è la strada? Lui procede: sfrontato, sicuro, audace. Chat su Facebook comprese di faccine sorridenti, messaggi, spogliarelli. Come fare qualcosa di simile e capire che non è troppo – grottesca, adolescenziale, trash? Non lo so Francesco come lo sapeva. Ma aveva indovinato. Un esordiente non credo l'avrebbe fatto con una simile sicurezza. E parlo della pazzia dell'impresa, del folle volo, non esclusivamente della gestione di una trama, senz'altro più semplice di quella di Muses, che, in quegli sporadici momenti noir, sfodera a pieno la sua bestiale potenza. Questo Gray è una statua bianca che invece qualche segno del tempo lo conosce. Ha un neo sulla guancia, un molare scheggiato, qualche sbavatura perdonabile nel nero della prosa. Ma divertete per il suo desiderio di divertirsi e macchiarsi: è l'importante. Sguazza nel torbido. Gli schizzi di nero sono più belli. Il petrolio delle industrie nell'acqua del mare fa più vero il mondo. Elementi di distrazione, tinte forti e malate che generano un erotismo convulso da elettropop. L'ambiguità di cui è punteggiato il tutto, una coinvolgente scena di sesso descritta nel dettaglio, il sospetto cattivo dell'incesto... La volgarità, in una scrittura simile, non esiste mai. Vietato porsi il problema. La collana Chrysalide dà fiducia al Falconi pioniere e, in una trama che oscilla di tanto in tanto sul limite del classico young adult e del moderno retelling, ma senza mai cadere, lascia entrare chili di sporco, senza il bisogno di nasconderlo sotto il tappeto, subito dopo. Su un post-it giallo, all'interno del libro, ho una freccia stilizzata che collega il nome di Francesco Falconi a quello di Baz Luhrmann. Feste sensazionali, musica assordante, kitsh-non kitsh, perdizione in bicchiere, gocce di assenzio incendiario. C'è un disegno anche nella confusione. Una coreografia anche in questo seducente caos stroboscopico. Il mio voto: ★★★½ Il mio consiglio musicale: Jack White - Love is Blindness



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