Non so cosa sia ben successo, ma sembra che la nevicata di questi giorni mi abbia tolto quasi tutte le energie, anche se è riuscita a farmi tirare almeno un po’ il fiato tra le tante cose a cui devo tenere dietro in questo periodo. In ogni caso, ecco a voi la prossima recensione del progetto.
Titolo: Ho bisogno di un tom tom
Autore: Adriana Pasetto
Genere: diario, riflessivo, sentimentale
Editore: Booksprint
Pagine: 88
Anno di pubblicazione: 2011
ISBN: 9788865954966
Prezzo: €14,10
Formato: brossura
Valutazione:
Ringrazio l’autrice per avermelo inviato in formato ebook.
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La prima opera di una giovane ragazza che sta diventando donna. O semplicemente sta crescendo. Combattuta tra l’essere un’eterna sognatrice e il dover diventare obbligatoriamente un essere umano più razionale. “Un diario non datato e spensierato di una ragazza d’oggi. Pensieri confusi che si rincorrono senza indicare i giorni di vita ma le emozioni vissute. Idee improbabili e talvolta impossibili che vagano nell’aria attorno. O si respirano o si lasciano cadere nel vuoto. O si vivono o si sfuggono.” Storie o meglio vaghi pensieri della vita quotidiana, vissuta nascosta, in un mondo dentro sé che in pochi conoscono: un nuovo accesso al suo cuore per la prima volta permesso anche al di fuori dei pochi eletti. Un viaggio mentale tra l’amore, il dolore e le ingiustizie.“Da quando aveva incontrato la sua anima ancora non era riuscita a vivere nel suo profondo un attimo di noia, nonostante conoscessero una dell’altra rituali ben più intimi che a pochi era dato conoscere. Forse semplicemente si erano osservate bene, si erano studiate, non vedendo che all’epoca si erano già innamorate.” Un passaggio dentro a quel muro che aveva sempre scelto di tenere come invalicabile e che ora lasciava invece oltrepassare a tutti, aspettando un giudizio che non aveva mai voluto udire. Uno spiraglio di mondo in un arco di vita. Un’opera intimistica priva di velleità artistiche.
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Come trovate scritto sul simpatico post-it “appuntato” in copertina, il libro di cui parleremo in questa recensione ci viene presentato come un «diario non datato e spensierato di una ragazza di oggi»… che però, a mio parere, non rappresenta quasi nulla di ciò che si trova effettivamente nel libro. Anzi, secondo me, è addirittura fuorviante: in primis, “spensierato” è davvero un aggettivo poco adatto, dato che l’intero racconto riporta i pensieri e le riflessioni dell’autrice; inoltre, di primo acchito sembra comunicare ironia, di cui però vi è traccia dentro al libro.
Insomma, a lettura ultimata è tuttora un mistero come mai siano stati scelti un’immagine e soprattutto un titolo del genere, dato che l’idea evocata dalla copertina è del tutto diversa da quel che poi vi si trova effettivamente all’interno, ma non ho voglia di soffermarmi troppo sull’aspetto estetico del nostro «diario», perciò procediamo.
Non è facile per me dare un quadro generale di questo libro, forse perché è davvero particolare: si tratta di una serie di riflessioni in parte in poesia e in parte in prosa (anche se queste ultime spesso hanno un tono poetico), di pensieri che parlano d’amore, di filosofia, di vita e di desiderio di libertà, ma sarebbe difficile, per non dire impossibile, racchiuderli in un’unica categoria. Il fatto è che sono tutti piuttosto staccati e differenziati tra di loro, cosa che mi ha dato un’impressione non del tutto positiva: sembrava che l’autrice fosse andata a frugare nei suoi vecchi diari – o, se preferite, tra gli articoli del suo vecchio blog – di “non più adolescente ma non ancora del tutto adulta” e avesse inserito nel suo libro gli appunti che le piacevano di più, senza però preoccuparsi di posizionarli secondo una sequenza logica o di raggrupparli per temi.
Un buon modo per definirli, sempre a mio giudizio, si trova scritto anche nella sinossi stessa, ovvero «pensieri confusi che si rincorrono»: un senso di confusione, oppure di poca organicità, è un’impressione che sembra trasparire fin dalla prima pagina; ed è un peccato, perché i pensieri che vi si trovano sono tutt’altro che infantili o privi di coerenza, come invece spesso sono i diari personali.
Il terribile muro di testo è purtroppo un incubo ricorrente...
A parte questo, ci sono altri aspetti del testo che rendono la lettura non facile e soprattutto non rilassante, come invece cercava di comunicare la copertina.
Intanto, un’impaginazione a dir poco atroce: spesso e volentieri non si va a capo per intere pagine, in cui tra l’altro chi scrive pare farlo assolutamente di getto, come una sorta di flusso libero di pensieri. Si tratta di una tecnica di scrittura che può risultare efficace solo se saputa sfruttare a dovere, cosa che purtroppo qui non succede. Infatti, le riflessioni si accavallano l’una sull’altra quasi senza criterio, ma soprattutto tendono a ripetersi, tanto che più di una volta mi sono posta la famosa domanda: “Ma non sarebbero bastate sei parole, al posto di queste dieci?”
Aggiungete a questa monotonia di fondo un bel “muro di testo” che procede per dieci, venti, trenta righe ed ecco servito un libro che più pesante di così non si può.
C’è da dire, comunque, che per fortuna non tutte sono così: il racconto del “Dizionario portatile” (una serie di pensieri sulla vita, ciascuno dei quali inizia con una lettera dell’alfabeto), per esempio, mi è piaciuto e mi ha divertito un sacco per il modo brillante con cui è stata trattata questa idea già di per sé originale; e poi, in mezzo a quei paragrafi interminabili, a volte si trovano riflessioni che hanno un che di aforistico e che ho apprezzato molto, come ad esempio queste due:
“Come sei?”
“Simpatica, spiritosa, gioviale e tanto generosa.”
E quindi? Anche io lo sono. Ci manca che qualcuno risponda “Sono antipatico, poco spiritoso anzi per nulla..” e via dicendo. Che banalità. Io voglio il peggio. Adoro il peggio delle persone.Scrivi. Usa le tue dita come fossero le tue corde vocali. Capirai di aver detto una cosa ma averne scritta un’altra decisamente migliore.
Non si tratta dell’eccezione: ne ho trovati parecchi, infatti, di spunti come questi. Il problema, però, è che in certi capitoli, prima di riuscire a scovarne uno, bisognava annaspare affannosamente all’interno di pagine che sembravano non finire più.
Del buono, dunque, c’è e in abbondanza, ma non è sempre facile riuscire a coglierlo.
Peccato invece per i numerosi refusi che ho trovato (perlopiù sviste, ma mi sono capitate anche un paio di pagine in cui gli spazi dopo la punteggiatura sembravano spariti per i fatti loro…): non era spaventosi e non infastidivano nemmeno la lettura, ma sono convinta che una passata di editing un pelo più approfondita avrebbe eliminato senza danni gli errori e le (tante) ripetizioni.
Un libro che si piazza nella fascia media, quindi: contiene pensieri indubbiamente interessanti e profondi, ma che purtroppo non sono stati valorizzati abbastanza, per colpa di uno stile che tende a essere noioso e di una mancata organizzazione delle idee che lo ha reso purtroppo un po’ confuso. Sia il cosa raccontare che il come raccontarlo non sono male se guardati nel complesso: a mio giudizio, occorre solo una maggiore cura nei dettagli per renderla davvero una raccolta piacevole.
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Avevo perso la mia strada e avevo iniziato a scrivere. Pensavo di immettermi nel mondo, magari iniziando da un piccolo angolo. Avevo finito di scrivere e avevo ritrovato la giusta strada per me. Non quella nella grande Terra ma quella che mi avrebbe portato alla pura pace personale. Forse avevo riscoperto che se le tue azioni saranno mosse dai sentimenti, nonostante gli sbagli che sicuramente compirai nel percorso, arriverai alla meta con un rimpianto in meno. Avevo finito di scrivere ed ero nuovamente al punto di partenza. Eppure avevo viaggiato in me stessa, in lungo e in largo.
Uno schermo acceso e una scritta “Salvare il documento?”. Questa volta ho deciso di salvarlo per tutte le volte in cui ho scritto parti di me e le ho cestinate per non mostrarle a nessuno. Per paura.
Perché scrivere così velocemente tutto questo “abbattendo” la tastiera e sperando che questo faccia un giorno clamore? Perché lo scrittore non è colui che ci insegna la vita ma è semplicemente un essere umano che ci mostra la sua prospettiva del mondo con le sue parole.
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