Trama: Simon Japp è tra i pochi superstiti di una catastrofe dalle proporzioni immani: una forza oscura ha distrutto la civiltà umana e gli Stranieri, una stirpe di immortali assetati di sangue, vagano nel mondo assoggettando le popolazioni al loro potere. Simon è stato una persona inaffidabile, violenta, e sa che non potrà mai fare abbastanza per redimersi e ritrovare la fiducia in se stesso. Eppure ha un dono, lo straordinario potere di rendersi invisibile, ed è l'unico che può tentare di salvare l'umanità. Insieme a lui, decisa a combattere al suo fianco, c'è una donna splendida e misteriosa, Sage Corrigan. E quando cercheranno di infiltrarsi in un gruppo nemico fingendo di essere amanti, tra i due si accenderà una bruciante passione...
RECENSIONE Risultato davvero buono per la Gleason che con questo libro riesce a riscattarsi da un primo capitolo di serie deludente e poco convincente. Nei limiti, canoni e parametri del paranormal romance, l’autrice riesce a confezionare un libro gradevole e ricco, a esclusione della parte finale in cui sembra che il controllo esercitato e l’equilibrio mantenuto per quasi tutto il libro le sfuggano di mano e lei scivoli nella fretta, nella banalità e in certi cliché di superficialità, e i protagonisti non riescano più a mantenere saldo il loro profilo scadendo in atteggiamenti poco credibili e leggeri. Non che nel resto del libro appaiano particolarmente incisivi o profondi (a pagina 118 si possono fare delle grosse risate con un monologo interiore di Sage che tradisce ampiamente il suo profilo di intelligente e brillante giovane donna perdendosi in frasi sconnesse e attribuendo a ogni cosa, persona e azione l’aggettivo “intenso”), ma hanno caratterizzazioni particolari e non scontate e, ciascuno, un background originale e interessante. A coronamento delle quali vivono una storia d’amore che cresce lentamente, che fa i passi giusti, se pur nell’arco di pochi giorni, coinvolgendo il lettore nel suo alternare tenerezza e rimpianto, desiderio e necessità di mantenere le distanze.
Più debole invece la caratterizzazione dei nemici che, se pur sulla carta sufficientemente cattivi visto che hanno distrutto la civiltà umana per ottenere per se stessi l’immortalità, quando compaiono sulla scena, nei fatti, risultano poco convincenti. Ma anche gli scivoloni finali e questi limiti oggettivi del libro, non riescono ad appannare completamente ciò che l’autrice è riuscita a costruire: un mondo post-apocalittico inquietante e soprattutto “possibile”, nella sua varietà di espressione e di reazione umana, nella sua diversificazione degli elementi distopici. La realtà dei piccoli agglomerati umani conosciuta nel libro precedente era sicuramente interessante, per la solitudine profonda che li braccava e il nulla minaccioso che li circondava. Ma è maggiormente alienante e in qualche modo più possibile e prevedibile la realtà alternativa di Falling Creek presentata in questo libro, basata sull’obiettivo comune di ripopolare il pianeta, vissuto come priorità assoluta, ciecamente e con eccessivi esaltazione e zelo, con le annesse scomode e deprecabili conseguenze della poligamia, del sesso senza amore e rigidamente controllato per il favorimento del concepimento, di una vita in cui le persone sono più numeri che individui, o meglio ancora categorie (la categoria che ha il seme, la categoria che può accogliere il seme, le categorie di contorno che devono ancora impossessarsi di tali capacità o le hanno perse).
La credibilità dell’intera ambientazione post-apocalittica è sostenuta e rafforzata dai continui riferimenti a oggetti, status symbol, marche, citazioni, personaggi famosi di questi primi anni del Ventunesimo secolo (il Cambiamento, la catastrofe che ha quasi portato all’estinzione la razza umana e che ha distrutto quasi tutto ciò che essa aveva costruito, stravolgendo anche l’asse terreste e quindi clima, distribuzione delle terre e degli oceani, stabilità dell’assetto, è avvenuto nel giugno 2010); e dai resti, distrutti e quasi irriconoscibili, che se ne trovano nelle città e nei tratti tra una città e l’altra, disabitati e ormai territorio della natura che se ne appropria senza freni umani. Ma soprattutto dai brani, inseriti alla fine dei capitoli dedicati alla storia principale (che si colloca cinquant’anni dopo il Cambiamento), estrapolati dal blog di Julie Davis Beecher e ritrovati in uno dei pochi notebook sopravvissuti alla catastrofe: una sorta di diretta, emotiva e reale, del soverchiante terrore, del dolore, della disperazione di coloro che hanno vissuto prima i terremoti, l’intrappolamento in qualche edificio semi-distrutto, l’interruzione delle comunicazioni via internet, via televisione e via telefono, l’assenza di energia elettrica, e poi la morte improvvisa delle persone attorno a loro che, circa tre giorni dopo quello effettivo del Cambiamento, senza motivazione e senza preavviso si afflosciavano a terra per non rialzarsi più. Il modo di scrivere di Julie, che si trova a Las Vegas in viaggio di nozze, spaventato, a tratti sincopato, pieno di “perché” e “come” che rimbalzano inarticolati tra le righe, riesce a raggiungere l’immaginazione più dello scenario post-apocalittico e ricorda documentary movie come Cloverfield, riuscendo a proiettare nella mente la scena descritta come se ripresa con l’uso della shaky camera, con gli stessi effetti di nausea, claustrofobia e ansia. Il merito del buon risultato va all’originalità e alla riuscita dell’ambientazione!
THE ENVY CHRONICLES SERIES