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[Recensione] I Origins (di Mike Cahill, 2014)
Creato il 28 gennaio 2015 da Frank_romantico @Combinazione_COrmai la fantascienza sta diventando sempre meno fanta. Nel senso che, per quanto possa essere fantastico ciò che racconta, non si allontana più dall'umanità e dintorni, non guarda più con meraviglia all'infinito ma punta i propri telescopi sulla terra, sull'uomo, cercando di penetrarlo e penetrare il più grande mistero che si porta appresso. Eppure, a volte, la scienza non basta. A volte le cose si fanno più complicate, così complicate da sembrare impossibili e la spiegazione bisogna andarla a trovare da qualche altra parte. La fantascienza, fino ad ora, non si era mai preoccupata di quell'altra parte. Se la scienza si basa sui fatti, sulle prove, sulla sperimentazione, la scienza fantastica va oltre ma mai al di là, esasperando, ingigantendo, andando contro, ma mai esplorando l'Altrove, il (non) luogo verso cui tutti abbiamo guardato, almeno una volta, ma che siamo poco disposti a visitare.
Eppure credo che le nuove scoperte possano rivoluzionare non solo il modo di intendere l'universo ma anche quello di intendere la scienza. Perché è il dubbio il motore principale che spinge l'individuo a conoscere, ma il dubbio è ciò che spinge anche a riconsiderare. L'immobilità, l'incapacità di cambiare idea, l'impossibilità dell'adattarsi sono in antitesi con il concetto di scienza stesso, per come lo vedo io che scienziato non sono. Perché la scienza non è un dogma, anzi. Quindi le domande diventano: cosa succederebbe se qualcosa mettesse in crisi l'idea stessa che abbiamo dell'universo? Come ci proporremmo di fronte al possibile cambiamento, alla possibile rivoluzione?
Sembrerebbero questi i quesiti che si pone il regista Mike Cahill, uno di quei made self man che popolano il cinema indi americano degli ultimi anni. Uno che mi ricorda il connazionale Shane Carruth per il tipo di approccio al cinema: se i mezzi sono pochi, meglio imparare a fare tutto da soli. E allora Cahill scrive, dirige, produce, monta. Nel suo primo lungometraggio, Another Earth, cura persino la fotografia. E arriva a presentare il suo secondo lungometraggio, I Origins, al Sundance Film Festival del 2014 dove ha attirato l'attenzione nientepopodimeno che della Fox.
Ian Gray è un biologo impegnato in uno studio sull'evoluzione oculare. Nel bel mezzo di una festa in maschera, un gioco, conosce Sofi e se ne innamora. Sembrerebbe quasi che i due siano nati per stare insieme ma viste le diversità che li contraddistinguono non manca mai l'occasione per l'infinito scontro tra scienza e spiritualità. Intanto però Ian fa una scoperta che potrebbe mettere in crisi tutto il suo mondo.
I Origins è un film complesso, inizialmente neanche tanto facile da seguire, il tipico film che la gente definirebbe lento, noioso, incapace di dare delle risposte. Perché lo spettatore questo vuole: risposte, che tutto venga digerito da qualcun'altro e poi spiegato come si farebbe a un bambino delle elementari. E l'opera seconda di Mike Cahill ci prova pure, senza per questo cadere nello spiegone o rischiare l'esemplificazione. Perché in fondo non è questo lo scopo di un film come I Origins. Più che altro sembrerebbe trattarsi di una riflessione sull'uomo e sul suo modo di guardare ciò che lo circonda, su come la visione di un individuo possa essere limitata. Su quanto ci possano essere più cose in cielo e in terra di quanto ne sogni la nostra filosofia. Cahill sembrerebbe volerci dire che l'uomo può pensare solo a misura d'uomo, ma che resta tanto, troppo al di fuori del nostro punto di vista per poterci spingere a definire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è vero e ciò che è falso. La scienza stessa è uno strumento che aiuta alla comprensione ma, appunto, è uno strumento: il mezzo, non l'obiettivo. In fondo I Origins sembra porre le basi di quella che è la fantascienza tutta: se una cosa non posso saperla, posso provare ad immaginarla. Se è una cosa è incredibile ma non impossibile, posso provare a renderla credibile.
Da qui in poi si potrebbe incorrere in qualche spoiler. Se non avete visto il film andate direttamente alle Conclusioni.
Prima ho parlato di fantascienza umana, che non vuol dire per forza fantascienza a misura d'uomo. Vuol dire, piuttosto, fantascienza che indaga l'essere umano, i suoi sentimenti, il suo modo di concepire il mondo. L'elemento fantascientifico stesso, in I Origins, è puramente funzionale ad una storia drammatica, ad una storia d'amore. Ad uno spiritualismo di fondo che permea tutta la pellicola. Il punto di partenza sembrerebbe, inizialmente, l'amore tra Ian e Sofi. Persone completamente diverse l'una dall'altra che però sembrerebbero completarsi a vicenda. Che gli opposti si attraggano in effetti è una grande verità, ma che gli opposti possano stare insieme un'enorme idiozia: Ian e Sofi in comune non hanno un bel niente, eppure sembrerebbe che sia stato il destino (o una qualunque forza superiore) a farli incontrare. A farli innamorare. Eppure rimangono distanti come il giorno e la notte, matematica e poesia, bianco e nero.
Sofi è convinta che tutto sia permeato di spiritualità. Che lo spirito sopravviva al corpo, che ci sia qualcosa che l'uomo non possa indagare e che, quindi, non possa scoprire. Sofi rappresenta il sentimento, il sentire. Ian d'altro capo è uno scienziato, un biologo, uno di quelli che crede solo in quel che può vedere, sperimentare, pensare. La razionalità. Allo stesso tempo Ian pensa che per uno scienziato sia lecito cambiare idea in base alle prove acquisite. Sofi, al contrario, non ha bisogno di prove: ci crede e basta. Le prove per lei sono quelle che Ian chiama casualità. Si tratta quindi di due visioni opposte, di due atteggiamenti differenti nei confronti della vita che sembrerebbero non poter giungere ad un compromesso. Il confronto tra i due sembrerebbe quindi non essere destinato ad alcun che, stessa cosa per la loro relazione: gli opposti si attraggono ma non collimano, la coppia è destinata alla crisi. Lo stesso film sembrerebbe non essere destinato ad andare da nessuna parte ma è proprio a questo punto che il regista ribalta tutto con un colpo di scena a metà pellicola: Sofi muore, Ian cade in pezzi e per non sprofondare si aggrappa all'unica cosa veramente importante della sua vita: il lavoro, la ricerca, l'obiettività della scienza. La risoluzione di ogni dubbio attraverso la sperimentazione.
E' a questo punto che il film prende una piega fantascientifica che inizialmente sembra negare quanto mostrato durante la prima ora di pellicola ma che poi, lentamente, tenta una conciliazione tra i due opposti iniziali. La fantascienza, come ho già detto, in questo caso si rivela funzionale all'argomento: in seguito allo sviluppo di nuove teorie sull'occhio umano e di nuove tecnologie per lo studio di quest'ultimo, Ian sarà in grado di dare un senso a teorie spiritualistiche che non gli appartengono, che non era mai stato in grado di confutare e che, anzi, mettono in dubbio tutto quel che lui aveva sempre creduto di conoscere. Concetti come il destino, la reincarnazione e l'aldilà assumono nuovi significati alla luce di nuove scoperte, mettendo in crisi prima l'uomo che lo scienziato che Ian rappresenta e rendendo la figura di Sofi profetica, addirittura messianica. Il tutto raccontato da un punto di vista umano, fatto di emozioni, desideri, rimpianti. Di odio e amore. E' per questo che un film come I Origins riesce ad emozionare lo spettatore, a fargli venire la pelle d'ora, ponendolo in un ruolo attivo che troppo spesso si ritrova a rifiutare.
Conclusioni
I Origins è un prodotto indi eccellente, un film dalla doppia anima che non ha paura di affrontare argomenti ostici o porsi dubbi e domande a cui probabilmente è impossibile dare una risposta. A metà strada tra spiritualità e scienza, con una vena fantascientifica che si sviluppa soprattutto in una sottotrama (a tratti distopica) purtroppo poco accennata (guardate bene dopo i titoli di coda), è un film che non si dimentica di quel che ci rende veramente umani: i sentimenti, le sensazioni, i dubbi e le certezze. Cahill è bravissimo, poco invadente, abilissimo in una rappresentazione quasi plastica delle scene, così concentrato sui volti, così attento agli sviluppi di una trama difficile. Ad aiutarlo ci sono attori come il monoespressivo Michael Pitt (qui però davvero in parte), l'attrice/regista Brit Marling e la modella spagnola Àstrid Bergès-Frisbey. Tutti perfetti, tutti fondamentali al film stesso. I Origins è un opera da poco che da tanto e che riesce nel difficile compito di dire qualcosa. Basta avere la pazienza di guardarlo tutto e di non fermarsi alla superficie. Basta avere il coraggio di credere.
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